Giovanni Paolo I diventa beato. Accattoli: “L’umiltà primo titolo della sua santità”

Giovanni Paolo I
Città del Vaticano - Aula Nervi - Settembre 1978 - Udienza di Papa Giovanni Paolo I - Papa Albino Luciani

Papa Albino Luciani, un Pontefice rimasto nel cuore della gente, sarà proclamato beato. Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sulla guarigione miracolosa attribuita all’intercessione di Giovanni Paolo I, nato a Canale d’Agordo il 17 ottobre 1912 e morto il 28 settembre 1978 in Vaticano, dopo solo 33 giorni dall’elezione al soglio di Pietro.  

Ricordiamo la figura del “Papa breve” con Luigi Accattoli vaticanista, giornalista e scrittore, firma del “Corriere della Sera” e del “Regno”, e moderatore del blog www.luigiaccattoli.it.

  • Dottor Accattoli, desidera raccontare in poche parole alle giovani generazioni quali erano le origini di Albino Luciani, 263º Vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica?

«Origini povere, montanare, ai margini di un piccolo borgo, con un padre d’ogni mestiere, emigrato già a undici anni in Austria e poi in Germania, Francia, Svizzera. Ricevendo un gruppo di bellunesi poco dopo l’elezione disse: “Durante l’anno dell’invasione [il 1918, dopo Caporetto, quando aveva cinque e sei anni] ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame”. Il papà Giovanni era socialista e così scrisse dalla Svizzera ad Albino che a undici anni gli chiedeva il permesso di entrare in seminario: “Spero che quando tu sarai prete, starai dalla parte dei poveri, perché Cristo era dalla loro parte”».  

  • Il Patriarca di Venezia Albino Luciani fu eletto Papa il 26 agosto 1978 con un’amplissima maggioranza. Per quale motivo il nuovo Pontefice scelse di chiamarsi proprio Giovanni Paolo I?

«Ebbe 99 voti su 111 votanti: così dicono indiscrezioni attendibili. Prese i nomi dei due Papi che gli erano stati padri nel servizio alla Chiesa: Giovanni XXIII che l’aveva fatto vescovo e Paolo VI che l’aveva mandato a Venezia e fatto cardinale. Un nome che legava insieme l’eredità dei due Papi del Concilio, al quale il neoeletto intendeva restare fedele: “Vogliamo continuare nell’attuazione della grande eredità del Concilio Vaticano II” disse nel primo discorso dopo l’elezione». 

  • “Possa Dio perdonarvi per quello che avete fatto”. Appena eletto, così rimproverò scherzosamente i cardinali. In questa frase c’era un fondo di verità?

«Si sentiva inadeguato: non aveva esperienza diplomatica, o curiale, o dottrinale. Era intimorito dalle responsabilità di governo e dai dibattiti sul futuro della Chiesa. Aveva partecipato a tutte le sessioni del Concilio senza mai intervenire. Quando lo fanno vescovo di Vittorio Veneto si sente ‘perduto’: “È tutto troppo grande per me”. Mandato a Venezia dirà: “Non so fare il patriarca”. Figuriamoci fare il Papa. Un’umiltà che forse è il primo titolo della sua santità. Ma anche uno spavento per le decisioni da prendere, che forse ne ha affrettato la morte».

  • Papa Luciani durò poco più di un mese, ma in quei pochi giorni compì gesti di rinnovamento che fecero intuire ciò che il suo Pontificato avrebbe potuto essere, e lasciarono una traccia per i suoi successori di come interpretare la figura papale. Ce ne vuole parlare?

«Non ha avuto il tempo di fare riforme ma ha preso alcune decisioni mirate a proporre un nuovo modo d’essere Papa: più semplice, più personale, più evangelico, che poi è stato fatto proprio dai successori, fino alle innovazioni clamorose di Papa Bergoglio, che non sarebbero arrivate così presto se non ci fossero stati il sorriso e la discesa dal trono di Papa Luciani. Parlava in prima persona, dicendo “io” invece del “noi” maiestatico. Non ha voluto la tiara – o triregno – e nessun altro poi l’ha presa. Ha trasformato la cerimonia della Incoronazione papale in una “celebrazione di inizio del ministero di Pastore universale”: e anche questo è restato. Di relativamente nuovo c’è – c’era, allora – la centralità di questo messaggio che il cardinale Luciani poco prima dell’elezione aveva così proposto: “Il Dio del cristianesimo è Dio che ci ama: chi non ha capito questo, non capisce il cristianesimo”. C’è qui un preludio all’enciclica “Dives in misericordia” di Papa Wojtyla (1980), alla “Deus caritas est” di Benedetto (2006), al volume “Il nome di Dio è misericordia” di Francesco (2016)».

  • Qual è il “miracolo attribuito all’intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo I”?

«La guarigione inaspettata – e per i medici inspiegabile – avvenuta nel 2011, a Buenos Aires, di una bambina undicenne colpita da encefalopatia acuta. Le “virtù eroiche”, che comportano il titolo di “venerabile”, erano state riconosciute già nel 2017».

  • Lei ha conosciuto Luciani. Ci lascia un ricordo, una parola da memorizzare di questo Papa che sarà proclamato beato presumibilmente prima della Pasqua 2022?

«L’ho conosciuto da cardinale e non l’ho amato. Ero allora nella Fuci, la federazione degli universitari cattolici, e il patriarca Luciani aveva sciolto il gruppo Fuci di Venezia per il “no” nel referendum sul divorzio del 1974: un “no” che condividevo. L’ho amato invece da Papa per il sorriso e per il conforto che cercava di offrire a tutti con la predicazione di Dio che ama l’umanità tribolata. “La gente ha tanto bisogno di incoraggiamento” disse una volta. La frase più famosa, detta all’Angelus del 10 settembre: Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. È papà; più ancora è madre. Vuol farci solo del bene, a tutti. E se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore”. Conviene notare come queste parole siano simili a quelle che ogni giorno ci propone Papa Francesco».

  • Ha un aneddoto?

«Il primo settembre 1978, sei giorni dopo l’elezione, ricevette noi giornalisti ed ebbi modo di mostrargli una vignetta di Giorgio Forattini, apparsa quel giorno sul quotidiano “La Repubblica” di cui ero il vaticanista: in essa il Papa era ritratto, tiara in testa, che rideva di sé davanti allo specchio. Si fermò a guardare e rispose al mio gesto con un aperto sorriso: aveva appena fatto annunciare che non avrebbe preso la tiara e la vignetta interpretava simpaticamente quella decisione».