Quel senso di libertà che solo l’acqua può donare

Qualche giorno fa, scansando pigrizia e timori, decido di regalarmi una giornata in piscina. Sono quasi due anni che, causa pandemia e necessarie chiusure, non metto piede in una piscina e la cosa mi spiace molto, dato che il nuoto, per me che sportivo non sono, è l’unica attività fisica che, stranamente, sono sempre riuscito a portare avanti con una certa regolarità.

Prima di uscire di casa, preparo la borsa e penso quanto sia bello (e quasi solenne) riappropriarmi di un rito che avevo ormai dimenticato, poi faccio un colpo di telefono per assicurarmi che ci sia posto (con le norme anti-Covid, non si sa mai). Una voce dall’altra parte del telefono mi ringrazia per la premura e mi ricorda che è necessario esibire il Green pass. Parto. Nel giro di un quarto d’ora (minuto più, minuto meno), sto già parcheggiando l’automobile nei pressi dell’ingresso della piscina. Esco dalla macchina e in pochi secondi mi trovo davanti alla porta di ingresso, ma mi fermo di colpo: ho dimenticato la mascherina nel cruscotto. Torno indietro, apro l’auto, afferro la mascherina e la indosso, chiudo l’auto e mi dirigo, di nuovo, verso l’entrata: entro tutto contento, non vedo l’ora di farmi qualche bracciata. La ragazza al bancone mi chiede se possiedo già la loro card. Rispondo di sì e spiego che è ancora carica. Mi chiede di esibire il Green pass per poi spiegarmi come, a partire da adesso, la certificazione verde sarà collegata direttamente alla carta di ingresso. Mi dice anche che le docce, ora, sono a tempo e che vengono a costare due euro (scalabili direttamente dalla tessera). Domando il perché e mi viene spiegato che, in questo modo, la gente si sbriga più velocemente e non si rischiano assembramenti. Mi sento un po’ spaesato e mi pare una motivazione un po’ farlocca, ma non importa: non vedo l’ora di immergermi nell’acqua e fare qualche vasca. Mi dirigo quindi verso gli spogliatoi, ma, prima di accedervi, la ragazza al bancone mi ricorda che bisogna indossare la mascherina fino a bordo piscina e che l’ingresso dello spogliatoio non è più adibito al cambio scarpe. Non riesco a capire bene cosa significhi o, per lo meno, a comprendere dove io possa togliermi le sneakers, ma non mi soffermo troppo a riflettere: il desiderio di farmi qualche bracciata è più potente di qualsiasi pensiero. Entro nello spogliatoio e, effettivamente, sulle panche sono stati apposti dei nastri-gialli-in-stile-crime-scene a croce di sant’Andrea. Mi chiedo
come possa fare a mettermi le ciabatte se non posso sedermi. Non fa nulla, la fretta di entrare in acqua mi fa bypassare serenamente anche questo problema. Mi addentro nello spogliatoio, ma non faccio in tempo a togliermi le scarpe che la signora addetta alla pulizia urla verso di me, dicendomi che le scarpe vanno tolte fuori, all’ingresso. Le dico che non c’è possibilità di sedersi, ma fa spallucce. Esco nuovamente e mi tolgo le scarpe e mi metto le ciabatte, senza sedermi. Paio un po’ un equilibrista del circo Orfei, ma tant’è. Inserisco le scarpe in un sacchetto di plastica e avanzo, per la seconda volta, verso la parte più interna dello spogliatoio. In pochi secondi sono già in costume, faccio per dirigermi alla piscina ma la signora addetta alle pulizie mi richiama ancora, ricordandomi la mascherina. Non ho la mascherina, l’ho lasciata nei jeans. Ritorno verso l’armadietto, lo apro, tiro fuori la sacca, poi i jeans, dai quali estraggo la mascherina. Rimetto tutto nell’armadietto e infilo la mascherina. Mi dirigo ancora verso la piscina, ma, prima di entrare, voglio farmi una doccia, per non soffrire troppo un eventuale sbalzo di temperatura. Mi ricordo solo in quel momento che le docce ora si pagano e si pagano tramite card (che, inesorabilmente, ho lasciato nella sacca). Torno all’armadietto, lo apro, tiro fuori la sacca, estraggo la tessera e la ripongo nell’accappatoio, assieme alle chiavi dell’armadietto e al bagnoschiuma. Cambio idea, punto sul risparmio ed evito di entrare in doccia. Faccio per prendere una tavoletta, ma il bagnino, dopo aver utilizzato in maniera a dir poco spropositata il fischietto, mi avverte che non si può. Chiedo il perché e mi sento rispondere che il motivo è la sicurezza, causa Covid. Vorrei sottolineare l’assurdità di tutto ciò, ma lascio stare.
Finalmente, arrivo a bordo vasca. Prima, però, appendo l’accappatoio e, in una delle sue tasche, inserisco anche la mascherina. Scruto le vasche, sono quasi tutte libere, è mattina presto del resto.
Mi sistemo la cuffia e raddrizzo gli occhialini, per poi sedermi a bordo vasca pucciando i piedi. Tre, due, uno… dopo tanto tempo, sono infine in acqua. Una gioia immensa. Incomincio a immergermi e poi a nuotare. Prima a rana, poi a dorso, poi a stile, poi un po’ a caso. È davvero significativo il senso di libertà che l’acqua, anche grazie ai suoi tanti giochi di luce, può trasmettere. La mente si libera dai pensieri ingombranti e dolcemente vaga, fino a quando non ti senti più un uomo in piscina, ma una nuvola in mezzo ai campi del cielo. Dopo un’oretta e cinquanta vasche, decido di uscire. Le mani, ovviamente, sono bagnate e mi chiedo come farò a prendere la mascherina senza inzupparla, ma, soprattutto, mi domando quanto sia sensato doversela mettere quando, qualche secondo prima, ho condiviso spazi, tempo e acqua con almeno una ventina di persone. Non fa nulla, chiudo il cervello e mi affretto. Arrivo alle docce, tolgo la mascherina e estraggo dall’accappatoio la card. Le docce sono state munite di un apposito schermo con tanto di orologio che, prontamente, legge la tesserina e fa partire il cronometro. Appoggio la card e inizia il conto alla rovescia. Ho a disposizione 190 secondi per insaponarmi e lavarmi. La cosa mi ricorda un film distopico di dieci anni fa, In Time, e un po’ di ansia si fa sentire, ma non ci faccio caso. La cosa è pure un po’ inquietante, ma evito di pensarci. Alla fine, finisco la doccia prima che il countdown si esaurisca e mi spiace pure. Pazienza. Torno allo spogliatoio. La signora delle pulizie, con kafkiana puntualità, mi ammonisce perché, anche questa volta, mi sono dimenticato di indossare la mascherina. Le rispondo un po’ per le rime, dicendole che non ha senso tutto ciò, che sono appena uscito dalla doccia e che non c’è nessuno nello spogliatoio, ma lei fa spallucce e sparisce dietro la colonna. Piglio dalla tasca la mascherina e la indosso. Un tanfo di cloro mi toglie il fiato. Raggiungo il più velocemente possibile uno dei tanti stanzini dello spogliatoio e mi cambio. Nel giro di qualche minuto, sono vestito e pronto per uscire. Prima, però, mi tocca sempre fare l’equilibrista per asciugarmi i piedi e mettere le scarpe. Attraverso il corridoio e, dopo un saluto svogliato alla ragazza del bancone, raggiungo l’uscita.

Fa freddo, ma il cielo è limpido e il sole è caldo e i marciapiedi sono puntinati dai ricci delle castagne. Sono davvero contento di essere tornato in piscina dopo tanto tempo, ma mi chiedo se tutte queste norme siano davvero necessarie e funzionali. Mi domando se la cosa non ci stia un po’ fuggendo di mano. Ma prima che i pensieri ingombranti mi tirino a terra, ripenso alla piscina, ai suoi giochi di luce e a quel senso di libertà che solo l’acqua può donare.