«La Caritas non è un gruppo che distribuisce pacchi di aiuti, ma aiuta la persona a risolvere i propri problemi, altrimenti tutto si riduce ad assistenzialismo. La carità delle mani deve essere preceduta dalla carità del cervello, cioè conoscere i bisogni del territorio e la possibilità di prevenirli».
Sono affermazioni forti quelle del cardinale Enrico Feroci, 81 anni, parroco di Santa Maria del Divino Amore a Roma e in precedenza per nove anni direttore della Caritas romana. Ieri sera, nel tendone dell’oratorio di Torre Boldone, ha parlato in occasione del 50° di fondazione della Caritas alla luce della sua esperienza. È stato invitato in occasione della festa patronale di San Martino dal parroco monsignor Leone Lussana, che in gioventù era stato suo compagno di studi al Seminario Romano. Fra i presenti c’era il sindaco Luca Macario.
«Carità e Caritas sono parole diverse — ha esordito il cardinale —. Carità è testimoniare l’amore di Dio verso ogni persona, come ha fatto il buon samaritano. La parabola ha un senso forte, perché i samaritani erano considerati eretici dai giudei e dai quali tenersi ben lontani. Questa parabola rappresenta il viaggio di ogni cristiano verso la liberazione dall’egoismo per mettere al centro la cura di ogni altro. Il catechismo è indispensabile, ma non dà il diploma per essere veri cristiani. La carità scaturisce dall’Eucaristia, che rende presente “qui e ora” il sacrificio di Cristo per l’umanità. E la Messa domenicale deve far spezzare il pane di Cristo verso l’uomo. Il cardinale Carlo Maria Martini disse che “il cristiano è colui che ama il prossimo perché va alla Messa domenicale”».
Il cardinale ha poi spiegato il significato di Caritas, fondata da Papa Paolo VI nel 1971. «L’obiettivo era ed è di essere sostegno alla formazione di una cultura della solidarietà e i suoi destinatari non sono i poveri, ma la comunità cristiana che aiuta i poveri. La Caritas diocesana e parrocchiale sono chiamate a diventare pane spezzato per gli altri. La Caritas deve favorire una preparazione pedagogica per far crescere i poveri e le comunità cristiane. Detto in sintesi: la Caritas mostra come fare perché tu lo faccia. Purtroppo, negli ultimi anni — ha ammesso il cardinale — il limite di non poche Caritas diocesane è di fare puro assistenzialismo, che non
responsabilizza il povero e neppure lo spinge a uscire dalla sua situazione». Ogni Caritas si inserisce nella pastorale con alcune caratteristiche proprie, elencate dal cardinale: educare al Vangelo, agire facendo e facendo fare, stimolare atteggiamenti di carità, evangelizzare con le opere, «perché la fede senza le opere si riduce a sentimentalismo».
Parlando della situazione di Roma, il cardinale ha affermato che la ludopatia è fra le povertà molto diffuse in ogni ceto sociale, tanto che non pochi si sono follemente indebitati. «In questi casi, compito della Caritas non è soltanto di aiutare, ma soprattutto è di farli guarire da questa che è una vera malattia. Inoltre, molti poveri affermano che, oltre agli aiuti, hanno bisogno di essere ascoltati e di relazionarsi. Più che dare denaro o aiuti, pur necessari, ma che in molti casi
alimentano le povertà, la Caritas deve cercare il rimettere in carreggiata la persona, che spesso non conosce i propri diritti o la possibilità di risolvere i problemi grazie agli interventi statali o comunali. In questo senso, la Caritas può avere un ruolo profetico».
Concludendo, il cardinale ha ricordato le non poche critiche rivolte a Papa Francesco perché parla troppo di povertà. «Ne parla spesso perché i poveri sono presenza di Gesù Cristo e in ogni povero c’è il volto di Cristo».