Smartphone vietato ai minori di anni 14? Barbara Tamborini: “Una sfida educativa”

“Sai davvero quando è il momento giusto per dare lo smartphone ai tuoi figli?” 

È la domanda chiave che tutti i genitori di figli preadolescenti si pongono quando i loro pargoli chiedono a gran voce un cellulare degno di navigare su Internet. 

A questa domanda rispondono Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore presso il dipartimento di Scienze Bio-Mediche dell’Università degli Studi di Milano, dove si occupa di prevenzione in età evolutiva, e Barbara Tamborini, psicopedagogista, con il loro  nuovo libro “Vietato ai minori di anni 14” (De Agostini 2021, Collana “Parenting”, pp. 240, 15,00 euro).

Nelle pagine di questo manuale gli autori, coniugi con quattro figli, guidati dalla loro esperienza, dalle testimonianze dei genitori che incontrano ogni anno, sostenuti dai risultati delle più recenti ricerche scientifiche che indagano il rapporto tra minori e dispositivi, propongono un percorso di accompagnamento all’uso delle tecnologie, che consentirà ai ragazzi di gestire in modo consapevole la loro futura vita online. 

Abbiamo intervistato Barbara Tamborini, autrice di numerosi testi educativi per l’età evolutiva, che ha vinto il Premio Giovanni Arpino inediti, e da anni conduce laboratori nella scuola primaria e secondaria. 

  • Mettere in mano a un bambino o a un giovanissimo un cellulare o un tablet può essere una risorsa per la sua crescita, oppure l’iper-connessione può fare danni al cervello di un preadolescente? 

«C’è differenza tra mettere in mano a un bambino per uno scopo preciso e per un tempo determinato uno strumento di questo tipo piuttosto che regalarne uno e dire che il bambino che lo riceve diventa il gestore, che ha la responsabilità di autoregolarsi e di usarlo. Quindi che un bambino sotto i 14 anni abbia uno strumento così di proprietà totale, è sicuramente un’area in cui gli adulti devono avere grande attenzione. Questa è una sfida educativa sulla quale dobbiamo confrontarci come adulti».

  • Qual è l’età minima per avere un proprio dispositivo tecnologico anche se notiamo che quasi tutti i ragazzini sopra i dieci anni di età dispongono di uno smartphone? 

«Quasi la totalità dei ragazzini prima dei 14 anni hanno un cellulare o un tablet di proprietà. La sfida che abbiamo esplorato con questo manuale è tutta in questa domanda: “Vivere senza un cellulare di proprietà cosa aggiunge alla vita di un figlio, che non ha ancora compiuto 14 anni?”. Il volume esplora tanti studi di ricerca spiegando tutti gli aspetti controversi e i problemi di salute legati all’uso precoce di un dispositivo di proprietà. Ciò non vuol dire non toccare un cellulare, un PC o un tablet prima dei 14 anni, ma non averlo di proprietà, questo è il concetto fondamentale. Prima dei 14 anni, i figli possono usare il cellulare dei genitori per mantenere i contatti con gli amici, usarlo quindi come uno strumento comune, che diventa una palestra impegnativa ma stimolante dove le regole sono necessariamente più chiare». 

  • Se l’utilizzo dello smartphone da parte del ragazzo è scorretto, la colpa è sempre del genitore assente o debole? 

«Chi progetta tutte le App ha ben chiaro come funziona il cervello di un preadolescente. Quindi sa bene che cosa piace ai ragazzi e fa in modo che ne siano sempre più attirati, stimolando, con una serie di comunicazioni sociali, culturali nelle quali siamo tutti immersi. I genitori si trovano ad affrontare delle sfide veramente impegnative e si domandano: “Come possiamo farcela da soli e affrontare una simile pressione?”. Nel libro quindi parliamo anche di questo aspetto, coniugato nella pratica quando incontriamo nelle scuole genitori e studenti. Sto parlando dell’idea di “fare squadra”, condividendo, tutti insieme, i “sì” e i “no” che vogliamo dire ai nostri figli. In questo modo ci sentiamo immediatamente più forti, più rassicurati. Dire no a un cellulare di proprietà vuol dire dei sì, perché educare non vuol dire sempre vietare, ma vietare con un senso in funzione di avere uno spazio per altro. Dentro ad alcuni paletti, il bambino si sente libero, quindi il principio è lo stesso: dico dei no per dare uno spazio ai miei figli. Se mi alleo con le altre famiglie ho la possibilità di valorizzare il fatto che mio figlio possa sentirsi dentro una rete sociale, che è proprio quello che serve per stare bene a chi sta crescendo». 

  • Spesso e volentieri sono gli stessi genitori a dare il cattivo esempio, stando sempre connessi al loro smartphone… 

«Questo è vero. Siamo tutti immersi proprio perché chi progetta le tecnologie sa bene anche come funziona il cervello degli adulti. Ciò che noi adulti troviamo dentro al cellulare richiede un bassissimo livello di energia ed è la cosa più facile, a portata di mano, soprattutto quando siamo stanchi e abbiamo bisogno di “staccare”. Il cellulare stimola i nostri sensi, è accessibile con tanti aspetti di gratificazione. Quindi anche noi adulti spesso siamo in balìa di uno smartphone o di un tablet tanto quanto i ragazzi. In famiglia, nel momento in cui ci mettiamo a tavolino, per riprogettare la vita iper-connessa dei nostri figli, dobbiamo riprogettare anche la nostra. Abbiamo fatto tutti indigestione di questo strumento e abbiamo perso la misura. Al ristorante i bambini stanno sempre con il cellulare in mano, invece di guardarsi intorno e assaporare i cibi. Idem i genitori, cellulare davanti agli occhi, per rendere tollerabile quel tempo, per gestire l’attesa delle pietanze. Ovvio che è necessario fare una riflessione più ampia, ma in questo momento, l’emergenza riguarda le nuove generazioni e come educarle. Noi adulti abbiamo fatto l’esperienza limitata di quando c’era spazio per tanto altro, chi sta crescendo ora rischia di essere così immerso in un’iper-connessione da non avere quel moto spontaneo che ti fa capire che nella vita c’è anche altro. Sta a noi genitori cercare di riaprire spazi liberi dalla tecnologia e rafforzare quella fatica sana di stare in relazione. Esperienza stimolante, che è necessaria per chi sta crescendo, per esempio stare a contatto con la natura. Un problema di salute fortissimo, che riguarda i bambini è l’aumento della miopia che tocca sia la Corea del Sud, sia l’Italia. In alcuni Paesi raggiunge più dell’80%. Questo è un dato legato al fatto che i bambini sempre più piccoli stanno molte ore a mettere a fuoco uno schermo, che è molto vicino a loro e molto meno tempo passano a mettere a fuoco oggetti lontani da loro, fondamentale questa esperienza per un corretto sviluppo della vista. Se noi osserviamo un bambino molto piccolo, che non usa le tecnologie, notiamo che ha delle curiosità e fa milioni di esperimenti con le materie che incontra, per esempio la sabbia al mare. Esperimenti che aiutano il bambino a costruire tutta una serie di connessioni per potenziare il suo cervello. Se diamo al bambino uno schermo, è come se immediatamente ipnotizzassimo tutta la sua attenzione su questo stimolo, venendo meno tutto l’aspetto di esplorazione e di stimolazione sensoriale, fondamentale per la crescita. Notiamo anche nei bambini iper-connessi il problema dell’obesità, la diminuzione delle competenze pro-sociali, dell’empatia, tutte ricerche citate nel libro. Quindi dobbiamo fare in modo che i nostri figli crescano ancora in una dimensione di realtà, dove la connessione è solo una delle esperienze della loro vita, non l’esperienza dove dover passare la maggior parte del tempo, come una protesi, sempre accessibile e attaccata a sé». 

  • Per la stesura del testo quanto è stata importante l’esperienza con i Vostri figli?

«Importantissima, come del resto è avvenuto per tutti i nostri libri. Loro ci raccontano un mondo nel quale noi viviamo solo marginalmente. Nostro figlio più grande ha 21 anni ed è stato il primo con il quale abbiamo sperimentato la regola: “Vietato ai minori di 14 anni”. Il maggiore ha avuto il cellulare solo dopo l’esame di terza media ed è stata una lotta dura, finché non ha ricevuto il cellulare ha lottato con tutte le sue forze per averlo. Alla fine ce l’ha fatta. Quando ora parliamo con i fratelli minori del divieto di possedere un cellulare sotto i 14 anni di età, il maggiore concorda con noi che il cellulare non va regalato prima della III Media. Evidentemente non ha il ricordo comune di questa esperienza traumatica che l’ha impoverito. Questo ci dà molta speranza».