La difficile arte di fermarsi e lasciare andare, per costruire equilibri nuovi

Capitano mattine nelle quali faccio davvero fatica ad alzarmi. La sveglia suona, il mondo bussa, il cellulare vibra ricordando appuntamenti in agenda e cose da fare. “Devo andare a svegliare i bambini”, mi ripeto nella testa. Sarà il freddo, sarà che al mattino e alla sera c’è sempre troppo buio per i miei gusti, sarà che a volte, semplicemente, bisognerebbe poter mollare.

Sì, salutare tutti, buttarsi sotto il piumone, tenersi accanto un bel libro e una tazza con qualcosa di caldo, tipo quelle tisane speziate che mi fanno pensare al Natale. E niente, spegnere tutto. Cellulare, cervello, pensieri, obblighi, sensi di colpa, responsabilità. “E’ colpa di quell’articolo che ho letto sull’Internazionale”, penso. Diceva che, qualche volta, la cosa più coraggiosa che si può fare è smettere, tirare i remi in barca per poi ricercare equilibri diversi e migliori. Perché, alla fin fine, ci riempiamo la vita di obblighi inutili, di situazioni da portare avanti a tutti i costi, di abitudini, di bisogno d’approvazione sociale. A quella mail devo rispondere subito, a quel messaggio pure, là mi aspettano, qui ancora non ho finito quel che dovevo fare.

E ai miei obblighi aggiungo il carico di quelli dei miei figli. Che a me sembrano tantissimi, ma che forse no, non sono poi così tanti, se guardati con lucidità. Stamattina sono stanca di dover essere efficiente, di dover essere vincente. Eppure, come ogni giorno, le braccia scostano le coperte, le gambe scendono dal letto, il corpo si attiva. Vado dai bambini. “Mamma no dai, c’è ancora buio, lasciami qui”. “Forza Alice, dai che oggi sarà una giornata bellissima, corriamo a farci una super colazione. Ti porto io in braccio, viene anche Orso”. Tommy mi guarda con quel suo sorrisino da bambino di 8 otto anni che in realtà ne sa più di un adulto, mi abbraccia forte. “Come fai ad esser sempre così piena di sole e di allegria?”.

No dai, non glielo dico che fino a tre minuti prima ero solo nebbia, nubi e foschia. Ma il pensiero mi resta: forse quella sensazione, che poi cancello e ignoro per affrontare la giornata, dovrei tenerla stretta, farne tesoro. Imparare a lasciare andare, a investire tempo ed energia solo in ciò che davvero conta. Smontare enormi castelli barcollanti fatti di sabbia e costruire casette solide, semplici, capaci di accogliere e rassicurare, di far stare bene, di spalancare finestre su orizzonti pieni di meraviglia.