Silvia Comotti, da Bergamo a Parigi: “La missione italiana è un punto di riferimento prezioso per centinaia di italiani”

Silvia Comotti mci Paris

La missione cristiana italiana nel cuore di Parigi è come un seme, un punto di riferimento, un luogo molto frequentato che contribuisce a tenere vivi rapporti tra le persone, a rafforzare i legami di solidarietà, ad alimentare la fede e il senso di comunità.

Fra le centinaia di italiani che considerano casa la parrocchia di Saint Pierre de Chaillot, nel XVI Arrondissement, c’è anche una bergamasca, Silvia Comotti, che vive nella capitale francese da dieci anni: “Ho cresciuto qui – spiega – i miei tre figli”. Svolge una intensa attività per la parrocchia come catechista, come segretaria, e di recente anche come volontaria di una rete di solidarietà che dà una mano alle persone più fragili e alle famiglie in difficoltà: “Con la pandemia le necessità sono sensibilmente aumentate”. Nelle scorse settimane Silvia ha incontrato una piccola delegazione bergamasca del gruppo di lavoro Fileo, che opera presso l’abbazia di San Paolo d’Argon, con il coinvolgimento di diversi uffici diocesani, compreso il Centro Missionario diocesano (Cmd) ed è così che l’abbiamo conosciuta.

Il desiderio di partire e di mettersi in gioco

Silvia è originaria della parrocchia di Santa Maria delle Grazie, che si trova nel centro di città bassa: “È lì che sono cresciuta e dove mi sono sposata nel 2000. Anche durante l’infanzia e la giovinezza frequentavo le attività e facevo la catechista, arrivata a Parigi è stato naturale continuare. Siamo partiti da Bergamo nel 2002 per motivi di lavoro: mio marito, infatti, lavora per una società che fa parte di un gruppo francese. Abbiamo vissuto a Madrid per tre anni, ma lì non non ho trovato una comunità italiana a cui riferirmi e ne sentivo la mancanza. Così prima di partire per Parigi ho svolto qualche ricerca, mi sono informata, e ho trovato questa realtà gestita dalla congregazione dei padri scalabriniani. Mio marito ed io siamo entrambi originari di Bergamo e ci torniamo di frequente per incontrare le nostre famiglie”.

La missione nata durante la crisi degli anni Trenta del ‘900

La missione è nata negli anni Trenta, un periodo in cui con la crisi ci fu un’emigrazione di massa di italiani in Francia, oltre settecentomila. Svolgevano lavori umili, dagli artigiani alle collaboratrici domestiche.

“Ora la realtà è molto diversa – spiega Silvia – ma la missione continua ad essere un luogo molto vivace e molto prezioso per gli italiani che vivono a Parigi. Sono felice di poter dare il mio contributo accompagnando come catechista i ragazzi ai sacramenti della prima comunione e della cresima”.

Silvia Comotti mci Paris

In una metropoli in cui i ritmi di vita sono forsennati come in tutte le capitali europee, la missione cattolica italiana rappresenta un luogo dove fermarsi a pregare, a trovare uno spazio di silenzio e di riflessione. Ogni domenica c’è la Messa, una volta alla settimana c’è la preghiera comunitaria, una volta al mese la catechesi comunitaria.

“Negli anni abbiamo coltivato sia i legami con la comunità cristiana e con gli altri italiani che la frequentano sia con le persone del luogo, e questo non ha rallentato il processo di integrazione, ma ci ha permesso di non sentirci mai soli, di avere un luogo dove coltivare la nostra spiritualità e rafforzare le nostre radici religiose e culturali. VIaggiare e vivere all’estero apre gli orizzonti, cambia la mentalità, permette di conoscere persone di altre culture e tradizioni.”.

Ci sono molti italiani nati a Parigi ma che mantengono ancora l’identità d’origine. C’è anche l’associazione dei bergamaschi, e persone che non sanno più la lingua madre ma non si sono dimenticate il dialetto, magari sentito dai nonni. “La migrazione è cambiata, la maggior parte degli italiani quando arriva in Francia ha già un lavoro. La comunità italiana nel tempo ha dato un contributo imporrtante e sifnidicativo”.

Un’esperienza che lascia il segno anche a chi è di passaggio

Sono tante le persone che passano per la missione, anche solo brevemente, ma sicuramente per ognuno è “un’esperienza che lascia il segno”. Capitano anche tante persone “di passaggio”.

Durante la pandemia c’è stato un forte impegno a mantenere vivi i legami: “C’erano le Messe – racconta Silvia – e il catechismo online, c’era un legame e la consapevolezza di avere qualcuno vicino. Io venivo comunque negli uffici della missione, continuavo ad avere contatti con il parroco Padre Barly Joseph Kiweme, di origine congolese e altre persone. Sono aumentate le richieste d’aiuto e le segnalazioni di difficoltà sia umane sia economiche”

Ora c’è il progetto di creare un nuovo spazio per ritrovarsi con la comunità e stabilire legami più forti. “Anche la pandemia ci ha aiutato ad acquisire maggiore consapevolezza di quanto sia importante avere un luogo d’incontro”.

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