Papa Francesco a Cipro e in Grecia. Gianni Valente: “Un viaggio nel segno dell’accoglienza e del dialogo interreligioso”

Cipro
Il Papa in viaggio a Lesbo

Papa Francesco effettuerà dal 2 al 6 dicembre il suo trentacinquesimo viaggio apostolico dall’inizio del Pontificato. Le tappe saranno Cipro, dal 2 al 4 dicembre, dove il Santo Padre  vi si recherà la prima volta visitando la città di Nicosia e da lì si sposterà in Grecia, dove rimarrà dal 4 al 6 dicembre. 

Per quanto riguarda Cipro, il logo del viaggio presenta impressa sullo sfondo la carta geografica dell’isola. Sulla sinistra Papa Francesco rivolge lo sguardo al Santo Patrono, San Barnaba, mentre sulla destra, un ramoscello di ulivo legato a una spiga di grano, segni di pace e comunione. In alto e in basso, in lingua greca e inglese, il motto del Viaggio Apostolico, al di sotto, la scritta della visita del Santo Padre a Cipro e la data del Viaggio. I colori arancione e verde della bandiera cipriota risaltano accanto al bianco e al giallo di quella vaticana. Il motto recita: “Comforting each other in faith”,  “Consolandoci a vicenda  nella fede”, ed è ispirato al nome dell’Apostolo Barnaba, che significa figlio della consolazione o dell’esortazione, per evidenziare l’importanza dell’incoraggiamento reciproco e del conforto, dimensioni essenziali per il dialogo, l’incontro e l’accoglienza, caratteri salienti della vita e della storia dell’Isola.

Per il viaggio in Grecia il logo rappresenta la Chiesa come una barca che attraversa le acque turbolente del mondo, con la croce di Cristo come albero maestro e lo Spirito Santo a gonfiarne le vele, la cui forma stilizzata evoca la figura del Papa, che vi si reca come amico.  I colori giallo e blu, simboleggiano le bandiere della Repubblica Ellenica e della Santa Sede. La frase del motto è tratta dal Messaggio del Papa per la 36° Giornata Mondiale della Gioventù, che completa recita: “Apriamoci alle sorprese di Dio, che vuole far risplendere la sua luce sul nostro cammino”. 

Tutto questo in un periodo che risente delle conseguenze della pandemia e della recente crisi finanziaria, con la fondata speranza che la visita del Pontefice porti un raggio di luce per l’avvenire della Grecia, Paese dalla fede radicata e dai trascorsi luminosi. 

Dunque quello di Papa Francesco è un doppio viaggio fondamentale, che ruota attorno al ruolo dell’Europa e sul quale dialoghiamo con Gianni Valente, giornalista dell’Agenzia missionaria Fides, collaboratore della rivista italiana di geo-politica “Limes”.

  • Cinque giorni, nove discorsi, due omelie e un Angelus. Quali saranno le tappe più importanti del viaggio pastorale di Papa Francesco a Cipro e in Grecia?

«È un viaggio in Paesi che rappresentano la frontiera dell’Europa rispetto a mondi non europei, che quindi percepiscono più direttamente gli effetti di quella attrattiva magnetica che la condizione europea esercita verso le moltitudini spesso afflitte dell’Africa e dell’Asia. Nello stesso tempo, è un viaggio nel cuore di quel Mediterraneo, quella faglia mediterranea che è diventata una delle aree cruciali nello speciale atlante geopolitico seguito da Papa Francesco nel suo magistero. Il Papa ha preso parte alla Conferenza dei vescovi cattolici dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, che si svolse a Bari il 23 febbraio 2020, poco prima che anche tutti quei Paesi fossero travolti e bloccati dalla pandemia. Lo stesso Papa parteciperà alla conferenza con i vescovi e i sindaci del Mediterraneo, che si terrà a Firenze nel marzo 2022 su iniziativa della Conferenza episcopale italiana. Il Mediterraneo rimane uno snodo centrale, da millenni è  luogo di incontri e scontri tra popoli, poteri e civiltà. Ora è al centro di quel fenomeno epocale delle migrazioni, che assume spesso connotati tragici, e stanno trasformando quello spazio marino nel “più grande cimitero d’Europa”, come ripete sempre il vescovo di Roma. Il Mediterraneo è un’area cruciale anche per verificare quello che tutti possono guadagnare o perdere in quella scommessa della fraternità e della pacifica convivenza tra diversi, che il Papa stesso ha lanciato con l’Enciclica Fratelli Tutti e poi con il Documento di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune sottoscritto nel febbraio 2019 insieme al Grande Imam di al Azhar. Il viaggio in Grecia e a Cipro si inserisce in questo percorso ideale. Per questo, guardando poi i singoli appuntamenti del programma, immagino che i momenti più importanti saranno gli incontri con i fratelli delle Chiese ortodosse, a cominciare dall’Arcivescovo Chrysostomos di Cipro e dall’Arcivescovo Ieronymos di Atene, e poi ovviamente gli incontri con i migranti e i rifugiati. A Nicosia il Papa condividerà un momento di preghiera ecumenica con migranti di diverse confessioni cristiane, mentre nel programma della visita in Grecia ha voluto inserire anche il suo ritorno nell’isola di Lesbo, dove di era recato già nel 2016 per incontrare insieme al Patriarca ecumenico Bartolomeo e all’Arcivescovo Ieronymos i  rifugiati tenuti nei campi profughi per dare loro conforto e vicinanza».   

  • “Cipro è l’unico Paese europeo dove esiste ancora un muro che separa la zona di influenza greca da quella turca. È un segno, una ferita aperta nel cuore del Vecchio Continente, che la Storia ci ha consegnato e con cui dobbiamo fare i conti, anche se l’Europa tende a dimenticarlo”, ha dichiarato di recente il Patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Che cosa ne pensa?

«Nel Vecchio Continente europeo si aprono anche adesso nuove ferite, basti pensare a quello che vediamo accadere oggi al confine tra Polonia e Bielorussia. Ma il muro militarizzato che taglia Cipro è come una piaga antica e ancora aperta che rischia di infiammarsi di più con i nuovi batteri che circolano nel presente, fino a incancrenirsi e diventare focolaio di nuove infezioni. Gli eventi che nel 1974 portarono alla divisione dell’isola appaiono lontani e per certi versi sbiaditi: il regime dei colonnelli greci che sostiene il golpe per affossare il governo legittimo guidato dall’Arcivescovo greco ortodosso Makarios, e l’intervento dell’esercito turco su richiesta dei turco-ciprioti, che divide l’isola in due, con la parte nord controllata da un governo turco-cipriota riconosciuto e sostenuto solo dalla Turchia. Ma sta di fatto che finora i tentativi di riunificare politicamente l’isola creando uno Stato federale bi-comunitario sono falliti, e quella prospettiva appare di fatto travolta dalle nuove pulsioni nazionaliste ed espansioniste che destabilizzano quell’area del Mediterraneo e tutto il Medio Oriente. La linea politica identitaria e interventista dell’attuale leadership turca rischia di riaccendere ostilità ancestrali. Mi ha colpito che quando Erdogan ha consentito la riconversione in moschea della antica Basilica cristiana di Hagia Sophia a Istanbul, l’Arcivescovo Chrysostomos di Cipro ha commentato quel fatto dicendo che “i turchi sono sempre stati e sempre saranno rozzi e incivili”. Il viaggio del Papa attraversa anche questo grumo di ostilità incancrenite, di antiche diffidenze, per farsene carico e suggerire a tutti che la “scommessa della fraternità” non è idealismo sdolcinato, ma realismo conveniente per tutti». 

  • È vero che ad Atene l’ultima presenza di un Pontefice risale al 2001 con Giovanni Paolo II? 

«Sì. Fu a maggio 2001. Si trattò della tappa dell’intenso “pellegrinaggio giubilare”, compiuto dopo il Grande Giubileo del Duemila, sulle orme dei viaggi dell’Apostolo Paolo. Un pellegrinaggio che portò il Papa polacco anche a Malta e in Siria. Era la prima volta che un Vescovo di Roma si recava in Grecia dopo lo scisma che nel 1054 aveva diviso Roma dalle comunità cristiane legate al Patriarcato di Costantinopoli. Fu davvero un viaggio importante, dopo tante tensioni che c’erano state in quegli anni tra la Chiesa di Roma e alcune Chiese ortodosse, soprattutto perché alcune frange della Chiesa di Grecia coltivavano un forte sentimento di ostilità “antipapista”. Nel giugno successivo Papa Wojtyla si recò anche in Ucraina. E nell’enciclica “Ut unum sint” aveva aperto alla ricerca di nuove modalità di esercizio del primato papale, che potessero  favorire il ritorno alla piena comunione con tutti i fratelli delle Chiese ortodosse e delle antiche Chiese d’Oriente. Ricordo la scena suggestiva di Cristodulos, il sessantenne arcivescovo ortodosso di Atene, che sulla collina dell’Aeropago dopo mille anni di ostilità tra le due Chiese sorreggeva il passo incerto dell’anziano e malato Vescovo di Roma. E poi entrambi che ascoltavano le parole lette in greco e inglese del discorso che San Paolo rivolse senza successo ai greci, proprio sull’Aeropago: “Passando e osservando i vostri monumenti, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: ‘A un dio ignoto’. Ebbene, colui che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annuncio…”». 

  • Il viaggio arriva nell’anno delle celebrazioni per i 200 anni dell’indipendenza greca dall’Impero ottomano (25 marzo 1821). Il Papa andrà anche per dare sostegno e incoraggiamento ai cattolici che in Grecia sono una minoranza?

«Immagino di sì, sono inseriti nel programma incontri con la comunità cattolica locale, che tra l’altro anche in Grecia comincia a essere composta soprattutto non da nativi greci, ma da immigrati di prima e seconda generazione provenienti da altri Paesi, come l’India, le Filippine e diverse nazioni latinoamericane. Immagino anche che nelle parole del Papa non ci sarà nessuna ombra di recriminazione o di lamentela che enfatizzi la categoria di “minoranza assediata”. Quella della lamentosità recriminante è una prospettiva che non rientra nelle corde di questo Pontefice, anche quando parla di comunità cristiane o cattoliche presenti in contesti dominati socialmente da altre fedi o da mentalità lontane o addirittura ostili nei confronti della Chiesa cattolica. Anche ad Atene immagino che l’accento cadrà sul riconoscimento della missione comune di annuncio del Vangelo e di testimonianza nella carità che i cristiani delle diverse confessioni hanno in contesti sempre più secolarizzati, Grecia compresa». 

  • Lesbo, il lager d’Europa, luogo molto a cuore a Papa Francesco perché punto di raccolta di migranti in transito verso l’Europa, in cerca di futuro e di pace, sarà una delle mete più simboliche del viaggio. Ce ne vuole parlare?

«Il fatto stesso che il Papa ritorni a Lesbo per la seconda volta lascia emergere la sua intenzione di voler ancora una volta richiamare l’attenzione sul fenomeno epocale dei flussi migratori, delle tragedie che lo accompagnano e anche delle reazioni ciniche che si manifestano in ogni parte del mondo davanti alle moltitudini di derelitti che lasciano le proprie terre per cercare di sopravvivere o per assicurare un futuro migliore ai propri figli. Papa Francesco in passato ha riconosciuto la disponibilità e l’umanità mostrata da tanti greci verso i migranti che raggiungevano il loro Paese, soprattutto dal mare. Il Papa ha anche più volte ripetuto che i Paesi che si trovano alle frontiere dell’Europa, come la Grecia e l’Italia, non possono essere lasciati soli nell’affrontare il flusso degli immigrati che cercano di raggiungere l’Europa dai Paesi dell’Asia e dell’Africa, con viaggi stremanti in cui rischiano la vita. Mi ha colpito il fatto che proprio qualche giorno fa, nell’imminenza del viaggio del Papa, è iniziato a Lesbo il processo contro 24 volontari colpevoli di aver soccorso nel 2015 i migranti e salvato vite umane nel mare Egeo. Quei volontari erano stati arrestati nel 2018 con le accuse di traffico di persone, riciclaggio di denaro, spionaggio e appartenenza a un’organizzazione criminale».

  • “Non vi dimentico”. Domenica 24 ottobre, Papa Francesco al termine della preghiera dell’Angelus domenicale ha lanciato un accorato appello alla comunità internazionale in difesa dei rifugiati e dei migranti detenuti in Libia in condizioni disumane e degradanti. Con questo appello si dimostra ancora una volta come il pontefice degli “ultimi”, quindi anche dei migranti?

«Sappiamo che questa sollecitudine verso i migranti e i rifugiati come “ultimi tra gli ultimi” rappresenta come una nota di fondo nel pontificato di Papa Francesco. L’attenzione continua a questi fenomeni e alle necessità delle moltitudini di migranti, di sfruttati, di nuovi schiavi e di vittime del traffico di persone espongono il Papa a critiche crescenti. C’è chi lo accusa di essere idealista e buonista, i più deliranti lo attaccano come esponente delle teorie che puntano a sciogliere le identità dei popoli e delle nazioni in un mondialismo manipolato da anonime centrali di potere globale. A me sembra che i fatti stiano dimostrando sempre più quanto sia stata profetica la intuizione di Papa Francesco quando già nella sua visita a Lampedusa ha indicato l’esodo dei migranti dal sud del mondo come una cifra cruciale del nostro tempo. Un fenomeno che mette sotto pressione assetti di potere consolidati, e di fronte al quale, per così dire, si svelano i cuori dei singoli e anche delle nazioni. Ad esempio, lo spettacolo dell’indifferenza e delle barriere militari e di polizia messe a protezione delle isole di relativo benessere occidentali, assediate da quelli che già Papa Paolo VI chiamava “i popoli della fame” smaschera in un sol colpo quanta retorica vuota ci fosse in tanti discorsi, che esaltavano le cosiddette “radici cristiane” dell’Europa e ne rivendicavano una qualche sorta di riconoscimento giuridico anche da parte delle istituzioni comunitarie europee».