Stare di fronte al mondo che cambia. Quali risposte ecclesiali?

Il mondo sta cambiando. Beh, dirà tra sé il lettore.. te ne accorgi adesso, don Alberto? No, certamente no; semplicemente, in questi giorni ci sto riflettendo di più.

Il motivo di questa riflessione è stato.. il registro di scuola! Stavo confrontando il registro cartaceo dello scorso anno con quello di quest’anno (non l’ho abbandonato nonostante l’avvento, già qualche anno fa, del registro elettronico.. non solo per la mia passione per la carta, ma perché dovessero cancellarsi da quello informatico alcuni voti sarebbero guai seri..) per confrontare gli argomenti di lezione, verificando di essere in linea con la programmazione dei vari argomenti fino a dicembre: tutto procede bene e secondo le tempistiche stabilite.

Lo scorso anno, a Telgate, c’erano due terze medie con  23 alunni in 3°A e 21 in 3° B; io, in religione, ne avevo 10 per ciascuna classe. Ricordo in particolare che in terza A ci trovavamo al terzo piano, in un’aula enorme che fino al tempo pre-pandemico era stata sede delle prove della banda del paese: faceva una certa impressione l’esodo di più di metà classe e la permanenza di così pochi ragazzi in uno spazio sproporzionato.

Il calo degli allievi che scelgono l’ora di religione

Quest’anno le classi terze, sempre due, sono composte da 19 ragazzi nella sezione A e 21 ragazzi nella B. Gli alunni che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica sono, rispettivamente, 8 e 7.

I colleghi titolari dell’ora di alternativa, di fatto, portano con loro la stragrande maggioranza della classe. Lo stesso avviene per molte classi della scuola primaria. Tutti i ragazzi che frequentano l’ora di alternativa sono figli di persone immigrate in Italia, soprattutto a inizi anni 2000, anche se vi sono diversi alunni giunti in Italia negli ultimi anni.

Anche poche settimane fa, in una delle due terze medie, è arrivata una ragazzina dal Pakistan di 15 anni, arrivata a scuola con uno splendido abito tradizionale della sua terra nativa: non conoscendo una sola parola di italiano, le scuole superiori non l’hanno iscritta, dicendo alla famiglia di farle frequentare per un anno la scuola secondaria di primo grado.

Ero presente al momento del suo inserimento. La giovane, spaesata ma molto seria, è entrata in classe e si è seduta al posto indicatole dalla collega: grazie a Dio, una ragazza già nostra alunna da anni è in grado di parlare la sua lingua e ha potuto comunicare con lei, traducendole le indicazioni dei docenti.

L’ostacolo pressante della lingua e le difficoltà di comunicazione

Mi capita di pensare a lei e a chi, come lei, si trova all’improvviso in un paese straniero, senza poter comunicare con nessuno per via della lingua. La questione, inevitabilmente, riguarda anche la Chiesa e il nostro Oratorio.

Non è difficile comprendere che, essendo per la maggior parte i nostri ragazzi delle scuole non cattolici, i frequentatori  ordinari dell’oratorio non sono più i ragazzi che vi si recano per il catechismo o per attività legate alla sfera confessionale, ma bambini e bambine, adolescenti di diverse culture che vi si recano per trovarsi, giocare liberamente o nella società di calcio, trascorrere del tempo in sala giochi, fare feste di compleanno ecc.

Risulta chiaro non solo che l’Oratorio di oggi, anche solo per gli utenti che lo frequentano, non è più quello anche solo di venti/venticinque fa, quando il fenomeno migratorio era agli inizi (nel 1998 erano stimati circa 400 extracomunitari a Telgate su 4.800 persone, oggi sono più di 1.300 su poco più di 4.900), ma anche che le modalità di proposte pastorali devono tener sempre più presente di rivolgersi a una realtà mutata.

Alimentare il lavoro educativo con la conoscenza reciproca

Se la condivisione della stessa religione conduceva, nei decenni scorsi, al riferimento a un universo di valori condivisi, con la multiculturalità e la pluralità di confessioni religiose non è più così. Occorre pertanto far sì che cresca il confronto, la frequentazione e la reciproca conoscenza, assolutamente necessari per un lavoro educativo efficace.

Se non riflettiamo e non rifletteremo congiuntamente in futuro sul nostro vivere insieme sullo stesso territorio, su alcune regole e su principi educativi comuni, sarà sempre più difficile vivere una vita che sia definibile come comunitaria.

Sarà altrettanto importante investire risorse, anche economiche oltre che umane, per favorire una cultura dell’incontro che permetta l’integrazione di persone con cultura differente. Non ho ricette pronte, ma credo che, come Chiesa, questa questione non possa essere rimandata ulteriormente: essa va collocata all’ordine del giorno non di un consiglio pastorale o di un’equipe educativa, magari per una sola seduta, ma di una progettualità comune e trasversale ai vari settori ecclesiali, così che possano ragionarci stabilmente. Non possiamo aspettare: va fatto adesso.