Don Michele o don Matteo? Nella fiction “Canonico” su Tv2000 Michele La Ginestra sulle tracce di Terence Hill

Michele La Ginestra nella fiction "Canonico" (Fonte Ufficio Stampa Tv 2000, foto di Stefania Casellato)

Indossa la tonaca ma non fa il detective dilettante, è amato e stimato dai suoi parrocchiani ma coltiva la nobile arte del dubbio. È Don Michele, il parroco dal volto umano, moderno e comprensivo, interpretato da Michele La Ginestra, protagonista della fiction “Canonico”.

Si tratta della prima serie tv originale realizzata per Tv 2000, emittente della Cei, in onda dal 14 dicembre alle ore 19.30 dal lunedì al venerdì.

Una lettura divertente e concreta sulla vita quotidiana dentro una parrocchia composta da 20 puntate da 20 minuti ciascuna, stile sit-com USA, diretta da Peppe Toia, prodotta da Map to the Stars, Morgana Studio per Tv2000 e con un cast di tutto rispetto: Fabio Ferrari, Mariateresa Pascale, Elisabetta Mandalari, Federico Perrotta, Andrea D’Andreagiovanni, Federico Lima Roque, Alessandro La Ginestra, Eugenia Barda.

Il personaggio di Don Michele, sacerdote appena tornato da una missione in Sud America e che il vescovo invia in un piccolo paese, è sicuramente destinato a soppiantare nell’affetto dei telespettatori il “Don Matteo” di Terence Hill.

Abbiamo intervistato Michele La Ginestra, cattolico praticante, cresciuto all’oratorio, sposato con due figli, conduttore, attore televisivo e teatrale, tra i volti più amati dal grande pubblico, che regala al parroco suo omonimo una schiettezza, un’ironia e una empatia trascinante, perfetto simbolo di una Chiesa aperta e accogliente.

  • Possiamo definire Don Michele come un parroco che non è visto solo come guida spirituale, ma portavoce dei problemi quotidiani e che anche ai non credenti ispira simpatia?

«Sì, secondo me un parroco dovrebbe essere una figura di riferimento, non solo per la sua parrocchia. Soprattutto nei paesi, un tempo il parroco, così come il maresciallo dei carabinieri e il farmacista, erano figure di riferimento per tutti. Il motivo è da ricercarsi in questa apertura verso l’altro che da sempre caratterizza chi indossa una tonaca, un camice bianco o una divisa da carabiniere. Il farmacista, il parroco e il maresciallo sono persone che ascoltano, sono sempre disponibili e si prodigano per tentare di risolvere i problemi delle persone. Don Michele, ex pilota di aerei conquistato dalla parola del Signore, non hala pretesa di voler essere un supereroe, da lui traspare la sua grande umanità, non è un parroco “tuttologo”, concetto molto in voga oggi. Ha dubbi, timori, difficoltà, anche lui ha i suoi difetti ma ha il pregio di sapere ascoltare e confortare. Anche noi laici dovremmo essere capaci di relazionarci con chi ci chiede aiuto, forse saremmo apprezzati per la sincerità e l’affetto che sapremmo donare a chi ci chiede di dargli una mano».

  • Quali sono gli elementi di novità di “Canonico”, ancora una fiction che ha come protagonista “un sacerdote qualunque”?

«La novità sta tutta nel fatto che parliamo della realtà di ogni giorno che avviene nella vita di una parrocchia. Del resto il parroco è un “capo” di una casa, che è la parrocchia. Costretto anche a occuparsi di cose pratiche, che so, come riparare un tubo in cucina. Questa attitudine alla “praticità” di un sacerdote, dovrebbe andare di pari passo con l’attività spirituale. Quando mi hanno proposto di interpretare Don Michele ho detto: “Sono d’accordo, però dobbiamo raccontare la verità”. Sì, è una fiction, però abbiamo bisogno di capire come un sacerdote agisca nei momenti difficili, non solo nei momenti quotidiani. In un episodio di “Canonico”, Don Michele si trova a dover dare l’unzione degli infermi a un uomo, colpevole di aver ucciso i propri figli. Usiamo anche dei toni brillanti, che mi appartengono per natura, ma non fuggiamo dagli argomenti importanti, e tutto in 20 minuti. È un tempo abbastanza limitato, ma secondo il mio modesto parere, siamo stati bravi a gestirlo. Gli argomenti sono sviscerati bene, ogni puntata chiude, si racconta anche la crisi di questo sacerdote e la necessità di un confronto. Con il Padre attraverso la preghiera e poi con il suo vescovo, interpretato da Fabio Ferrari, che è il punto di riferimento di Don Michele. Il sacerdote ha bisogno del conforto dell’intera comunità, in alcuni momenti anche la parola, un gesto o un’azione da parte di qualcuno della comunità può essere per lui illuminante e portare a trovare una soluzione».

  • Il target al quale vi rivolgete?

«Ci rivolgiamo a chiunque! La mia aspirazione sarebbe quella di parlare a chi non crede, è troppo facile parlare a chi la pensa come te. Quindi far comprendere a chi non crede quanto sia bello vivere con la consapevolezza che ci si può rivolgere a un Dio che non è lontano, che è un Padre, per ricevere aiuto. Quanto sia bello il precetto che dice quanto sia significativo amare l’altro come un fratello, per vivere uniti in questa grande famiglia, che si chiama mondo. Essere un’unica assemblea familiare. Questo concetto non può che essere apprezzato e se attraverso questa fiction riusciamo a fare ragionare una, due persone che invece la pensano diversamente, beh, sarei veramente molto, molto contento».

  • “È una serie che parla le parole del Vangelo: le più semplici, le più attuali, spesso le più rivoluzionarie. E dietro l’intonazione a volte scanzonata si chiede che senso abbia la missione del prete ai giorni nostri”, ha dichiarato il direttore di Tv2000 Vincenzo Morgante. Che cosa ne pensa?

«Le parole di Vincenzo Morgante mi hanno molto emozionato. Don Michele, rifacendosi al pensiero di Papa Francesco sulla Chiesa “in uscita”, dice: “La Chiesa deve essere aperta. Lasciamo le porte aperte, affinché la gente possa entrare, possa entrare l’ultimo che ha bisogno”. Cerchiamo di ascoltare e di comprendere le varie difficoltà dell’uomo. Ritengo di aver fatto un buon lavoro, sono del parere che il nostro talento debba essere messo a disposizione anche degli altri».

  • Quali sono le “armi” che usa Don Michele per risolvere i  problemi del suo gregge?

«La prima è una grande fede, l’arma principale è affidarsi al Padre, da soli non ce la facciamo. Chiedere aiuto, questo è importante. Essere disponibili con un sorriso e avere voglia di partecipare ai problemi degli altri».

  • Nel cast di “Canonico” c’è anche Suo figlio Alessandro, quale ruolo interpreta?

«Interpreta uno dei ragazzi della parrocchia, che poi si fidanzerà con la nipote di Don Michele, venuta a vivere con lo zio in questo borgo sperduto.Ogni personaggio che gravita intorno alla parrocchia ha un suo perché e i telespettatori lo scopriranno puntata dopo puntata. Semmai svilupperemo questi tanti perché nella seconda serie, che mi auguro si faccia, considerata l’attenzione mediatica che ha “Canonico” prima della messa in onda. Abbiamo fatto un prodotto alto in poco tempo, e non è facile».

  • Tra i ruoli che vanno per la maggiore a teatro, di sicuro c’è quello del prete. Come mai?

«Tanti anni fa quando per la prima volta ho interpretato a teatro il personaggio del prete Don Michele nello spettacolo “È cosa buona e giusta” volevo far parlare tutti quei sacerdoti che avrebbero voluto dire alcune cose dal pulpito ma non osavano. Don Michele cerca di scuotere le coscienze con simpatia ma sempre coerente con i dettami della religione cattolica. Ora non riesco a fare uno spettacolo se non c’è dentro Don Michele, me lo chiede il pubblico.  Il prete, a parte qualche scapestrato che non ha capito quale responsabilità abbia indossando una tonaca, è una figura che dà conforto, si dedica agli altri e dà fiducia. Quando il sacerdote dice una cosa, forse va ascoltato, un tempo era così, almeno per me quando ero piccolo. Stasera dunque partiamo, sperando di far divertire e di far riflettere piccoli e grandi».