“L’Angelo in famiglia”: uno strumento di formazione per parrocchie e famiglie. 98 anni di storia

Dopo 98 anni di vita, in questo mese di dicembre il mensile diocesano «L’Angelo in famiglia» cessa le pubblicazioni. Dunque una lunga storia, in cui il mensile è stato indubbiamente di grande ausilio formativo e informativo alle parrocchie e ai cristiani nelle diverse epoche, caratterizzate da profondi cambiamenti sociali, culturali ed ecclesiali.

Dagli anni Venti del ‘900 “L’Angelo in famiglia” arriva nelle case

Il primo numero del mensile diocesano vide la luce il 1* gennaio 1923 con la denominazione «L’Angelo della Famiglia», appoggiandosi a un’analoga pubblicazione edita nella diocesi di Novara. Nel settembre 1927 il mensile si rese autonomo e prese la denominazione «L’Angelo in Famiglia», raccogliendo da subito vasto successo di diffusione, ritagliandosi un proprio spazio nella comunicazione come presenza semplice e modesta, ma nell’accezione positiva dei termini, vista la generale povertà economica e culturale in Italia.

Al suo interno venivano inserite le pagine dei bollettini parrocchiali, soprattutto della provincia, scelta arrivata fino ai giorni nostri, anche se, negli anni Duemila, numerose parrocchie hanno scelto di mettersi in proprio.

Come direttore venne chiamato don Alessandro Bulla, che rimase in carica fino al 1959, anno della morte. Riteniamo siano stati essenzialmente tre gli obiettivi primari della sua direzione: il mensile era «un angelo» che entrava nelle case come «messaggero di bontà e verità»; necessità di una stampa «buona» che combattesse quella «cattiva», spesso angustamente anticlericale; presentare notizie e tematiche che toccavano da vicino la gente attinenti fede, morale e vita di parrocchie, diocesi e magistero pontificio.

In fedeltà all’omiletica del tempo e allo stile di «cittadella assediata», come gli storici definiscono la Chiesa di Pio XII, i temi erano presentati in chiave apologetica e moraleggiante. Costanti gli strali contro i nuovi costumi che infierivano sul tessuto cristiano (moda immorale, cinema, ballo) e interessavano la vita sociale (diffusione dell’ubriachezza, la ricostruzione nel dopoguerra, elezioni politiche). Ogni novità nei costumi era giudicata soltanto per gli effetti negativi sul tessuto parrocchiale. Tipico il caso delle accuse alle ferie, di cui non si coglieva l’ineluttabilità del nuovo fenomeno, viste schematicamente come ulteriore novità che incideva negativamente sulla pratica religiosa e sulla morale. 

Il mensile come la voce del parroco che ascolta, parla e consiglia

A succedere a don Bulla venne chiamato monsignor Angiolino Nodari, che rimase in carica fino alla morte, sopraggiunta il 26 novembre 1983, e che circondò il mensile, secondo il giudizio dell’arcivescovo Clemente Gaddi, di un amore «quasi geloso e quasi permaloso».

L’intero arco della sua direzione ci sembra caratterizzato dalla volontà di rendere il mensile come la voce del parroco che, entrando nelle case, ascoltava, parlava e ammaestrava. I fedeli potevano intervenire sulle pagine del mensile per un fruttuoso scambio reciproco.

Secondo monsignor Nodari, per svolgere un ruolo efficace il mensile doveva mantenere un linguaggio accessibile, cioè «potabile come l’acqua».

Fu aumentato il numero dei collaboratori e delle rubriche sulle tematiche più dibattute a livello nazionale, anche se talvolta venivano affrontate con una rielaborazione a livello più popolare che culturale, nonostante l’allargamento della fascia scolastica.

Un aiuto per comprendere le riforme del Concilio Vaticano II

Da sottolineare il grande contributo del mensile nell’illustrare le riforme del Concilio Vaticano II, che per Nodari non era uno spartiacque verso un passato da disconoscere e da cui allontanarsi correndo, ma si inseriva nel solco della plurisecolare storia della Chiesa cattolica. In questa ottica il mensile presentava le riforme al clero e ai lettori.

Riteniamo di dover dividere in due fasi la sua direzione. La prima, che giunge fino agli anni Settanta inoltrati,  c’era la convinzione del permanere della realtà di cristianità in Italia, che si sarebbe rafforzata o difesa dal Concilio. I contenuti del mensile trasmettevano ottimismo, speranza e progettualità sul nuovo che stava avanzando anche nella Chiesa, sia fiducia nelle giovani generazioni che invocavano cambiamenti sociali. Nella seconda fase, nelle pagine emergeva un forte pessimismo verso l’evoluzione della società, alla quale si contrapponeva come diga l’idealizzazione del mondo di valori morali e religiosi delle generazioni più anziane. Invece, guardando l’evoluzione degli ultimi decenni, il mensile, con lucidità di analisi, non scivolò nella mentalità manichea della cultura e di alcune frange cattoliche coeve, che vedevano nel giovane non una persona che stava crescendo, ma un uomo già fatto, sempre migliore del proprio padre e lanciato con impeto verso gli orizzonti dell’impegno sociale, ecclesiale e politico per cambiare la società.