La liturgia di questa quarta domenica di Avvento già ci accompagna nel cuore del mistero di un Dio che non solo visita il suo popolo, ma sceglie di dimorare stabilmente in mezzo ad esso; che opera una sorta di capovolgimento dei criteri e delle attese dell’uomo, di ieri e di oggi.
Betlemme è un piccolo borgo della Giudea che ha dato i natali a re Davide che riunirà tutte le tribù di Israele in un’unica realtà politica. È in questa borgo, “così piccolo per essere tra i villaggi di Giuda”, che vede la luce “colui che deve essere il dominatore di Israele” come leggiamo nel testo del profeta Michea. Natale, allora, “non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell’umanità in cerca della vera pace”, diceva Benedetto XVI, per il quale c’è “un disegno divino che comprende e spiega i tempi e i luoghi della venuta del figlio di Dio nel mondo”, disegno di pace, come leggiamo in Michea.
La domenica di papa Francesco è incontro con i bambini assistiti al dispensario pediatrico Santa Marta in Vaticano; è messaggio all’università cattolica, inaugurazione dell’anno accademico nel centenario della sua nascita, appello ai giovani a non avere paura di porre domande, di cercare risposte, e combattere così la deriva individualista. È incontro con le ventimila persone in piazza per l’Angelus, invito a imitare Maria che, dopo il suo “sì”, dopo l’annuncio dell’angelo, “si alzò e andò in fretta” da Elisabetta. Due donne in attesa, due bambini non ancora nati, immagini del disegno di Dio che agisce nella storia.
Alzarsi e camminare in fretta, dice papa Francesco, “sono i due movimenti che Maria ha fatto e che invita anche noi a fare in vista del Natale”. Per Maria, ricorda il vescovo di Roma, “si profilava un periodo difficile: la sua gravidanza inattesa la esponeva a incomprensioni e anche a pene severe, anche alla lapidazione, nella cultura di quel tempo. Immaginiamo quanti pensieri e turbamenti aveva. Tuttavia, non si scoraggia, non si abbatte, ma si alza. Non volge lo sguardo in basso, verso i problemi, ma in alto, verso Dio. E non pensa a chi chiedere aiuto, ma a chi portare aiuto”. Anche Dante, nella sua Divina Commedia, esalta questo andare verso l’altro, perché “la sua benignità” non solo viene in aiuto a chi chiede il suo intervento, ma spontaneamente anticipa la domanda, o, come scrive il poeta, “molte fiate liberamente al dimandar precorre”.
Francesco chiede, nelle parole che precedono la preghiera mariana, di imparare da Maria a reagire in questo modo: “alzarci, soprattutto quando le difficoltà rischiano di schiacciarci”. Alzarsi, afferma ancora, “per non rimanere impantanati nei problemi, sprofondando nell’autocommiserazione e in una tristezza che paralizza”. Alzarsi perché “Dio è grande ed è pronto a rialzarci se noi gli tendiamo la mano. Allora gettiamo in lui i pensieri negativi, le paure che bloccano ogni slancio e impediscono di andare avanti”. Di più guardiamoci attorno, dice il Papa, “cerchiamo qualche persona cui possiamo essere di aiuto”, qualche anziano “cui posso fare un po’ di compagnia, un servizio, una gentilezza, una telefonata? Aiutando gli altri, aiuteremo noi stessi a rialzarci dalle difficoltà”.
Poi il secondo movimento: andò in fretta. “Maria si mette in viaggio con generosità, senza lasciarsi intimorire dai disagi del tragitto, rispondendo a un impulso interiore che la chiama a farsi vicina e a dare aiuto. Una lunga strada, chilometri e chilometri, e non c’era un bus che andava: è dovuta andare a piedi. Lei esce per dare aiuto, condividendo la sua gioia”.
Andare in fretta non significa “procedere con agitazione, in modo affannato: si tratta invece di condurre le nostre giornate con passo lieto, guardando avanti con fiducia, senza trascinarci di malavoglia, schiavi delle lamentele, che rovinano la vita, sempre alla ricerca di qualcuno da incolpare”.
Francesco chiede di pensare ai nostri passi, positivi “oppure mi attardo nella malinconia. Vado avanti con speranza o mi fermo per piangermi addosso? Se procediamo con il passo stanco dei brontolii e delle chiacchiere, non porteremo Dio a nessuno. Soltanto porteremo amarezza e cose oscure”. Fa bene, invece, “un sano umorismo”, perché “il primo atto di carità che possiamo fare al prossimo è offrirgli un volto sereno e sorridente”.