La storia di Alice, bimba con la sindrome di Down: “Ogni nascita è un miracolo. Abbiamo seguito la stella della vita”

Il buio squarciato da migliaia di luci e di stelle: Natale sta per tornare e sarà il secondo da vivere nel tempo della pandemia. Gianfranco Mattera, da noi intervistato, vanta una ventennale esperienza professionale come educatore e assistente sociale, e nel libro “La prima volta che ho visto le stelle” (San Paolo 2021, Collana “Le Vele”, pp. 112, euro 12,50), conduce il lettore con toccante empatia attraverso “La meraviglia negli occhi di Alice”, come recita il sottotitolo del testo.

“Si è presentata in punta di piedi Alice. In silenzio. Per paura di disturbare. Non ha urlato o pianto, come usano i bambini appena nati”.

Il libro racconta la storia di Milena e Carlo, genitori alle prese con una figlia con sindrome di Down, le loro difficoltà, timori e incomprensioni. In questo caso la nascita di Alice non è solo un momento pieno di gioia, ma anche un evento che stravolge la vita e porta a ripensarla in modo diverso: «Assolutamente sì. – racconta Gianfranco Mattera – Le attese dei genitori vengono disattese: i loro sogni devono fare i conti con la realtà, con la disabilità. Milena e Carlo capiscono subito che Alice dovrà dipendere in tutto e per tutto da loro. La loro vita, quindi, viene sconvolta, del resto già la vita cambia quando nasce un figlio. Qui avviene una doppia rivoluzione».

Progetti e certezze crollano, il futuro appare difficile

Milena e Carlo reagiscono in modo diverso alla nascita di Alice. «Hanno due reazioni diverse. – continua Mattera – In questo caso, chi resta completamente sbalestrato è il padre di Alice, perché tutte le sue certezze crollano, così come tutti i suoi progetti. Il futuro appare problematico, Alice sfugge a ogni logica, a ogni controllo. Chiunque viva con una storia di disabilità è costretto a scontrarsi con i luoghi comuni di parenti e amici. Occorrerebbe invece chiedersi che vita ci sia dietro la carrozzina che passa per strada. Non si riuscirebbe nemmeno lontanamente a capire, ecco perché la maggior parte delle persone distolgono lo sguardo e attraversano la strada».

Guardare le stelle: riconoscere la bellezza del mondo

“È stata la prima volta, la prima volta che ho visto le stelle”. Chiediamo all’autore che cosa rappresenta per Carlo il momento nel quale Alice gli ha indicato le stelle e ci replica: «Rappresenta un nuovo modo di stare al mondo. C’è un’altra possibilità. Ovvio che dietro c’è tutto il lavoro dei servizi sociali che io non racconto nel libro. Il lavoro di accompagnare Carlo e Milena a guardare Alice e a far capire loro, che quella è la sua “normalità”.
Alice non chiede nulla di diverso di quello che vive, chiede di danzare in modo sgraziato perché quello la fa star bene. Quindi guardare le stelle rappresenta guardare questo mondo sgraziato e fragile dove c’è una bellezza e riconoscerla».

“Nonostante Alice sia come un tubo che perde, funziona male e non si può aggiustare. Nonostante non ci siamo scelti e forse non piacciamo l’uno all’altra. Nonostante tutto questo, Alice è mia figlia, e io suo padre”.

Anche una nascita “imperfetta” può accendere una stella


È dunque vero che anche una nascita “imperfetta” può accendere una stella?: «Sì, nella mia veste di assistente sociale (sono sempre un passo di fianco, mai davanti, faccio l’assistente sociale, non “sono”, è molto pericoloso esserlo), conferma Mattera – durante gli incontri con i genitori di figli con Sindrome di Down, una madre si è avvicinata a me piangendo dicendo questa frase: “Adesso è lei che tiene me. Lei è la vita, anzi il mio scopo di vita”. È come se i ruoli si fossero ribaltati. Non accade la stessa cosa a tutti noi quando i nostri genitori si invecchiano, perdono la loro autonomia e noi figli dobbiamo occuparci di loro?». 

L’Istat nel bollettino sulla natalità e fecondità della popolazione residente per l’anno 2020, ha rilevato un record negativo per la natalità: nel 2020 i nati sono 404.892 (-15 mila sul 2019). Domandiamo se ciò è dovuto alle scarse politiche sociali oppure agli italiani non piace più crescere i figli? «Faccio il mio esempio: vivo in Trentino da 17 anni, sono originario di Ischia e mia moglie è veneta. Non abbiamo parenti vicino a noi e siamo costretti a incastrare orari, sacrificare noi stessi e il lavoro, la vita di coppia di prima non esiste più, perché ci sono i bambini e basta. Credo che prima di tutto sia una questione culturale, fare un figlio vuol dire lasciargli spazio e sottrarre qualcosa di noi. Questo è “un sacrificio” e perdiamo il senso della bellezza di accompagnare un figlio verso il futuro. Inoltre le politiche di sostegno sono manchevoli su certe cose. Io vengo dal Sud d’Italia e mi rendo conto di come sia inclusivo il Nord d’Italia dal punto di vista dei servizi, che sono carenti al Sud, anzi mancano proprio. Qui al Nord, vedo parchi giochi con altalena dappertutto, a Ischia non ho ricordi d’infanzia di parchi gioco con relativa altalena». 

“Ogni figlio è un dono. Si rinnova il miracolo del Natale”

Il Natale sta arrivando e il mondo si sta preparando a festeggiarlo con le dovute precauzioni a causa della pandemia ancora in atto. Un evento che con il trascorrere degli anni è diventato via via sempre più consumistico, in questo Natale 2021 di ripartenza, nonostante tutto, come riscoprire la sua magia? «Sto scrivendo un libro che racconta tante storie di fragilità – conclude l’autore – e tra le tante storie credo che quella che racchiude meglio di altre il senso del Natale, sia quella di una migrante, perseguitata a causa della sua religione e per questo sempre fatta oggetto di violenza sessuale, costretta ad avere un figlio senza sapere chi ne sia il padre. Ogni figlio è una benedizione, un dono del Signore. Pensiamo alle feste natalizie fuori da qualsiasi orpello o pacco regalo, ricordandoci che anche quest’anno si rinnova il miracolo del Natale: la notte del 24 dicembre nasce Gesù Bambino, in una umile mangiatoia in una grotta di Betlemme».