Se lo dici tu. Cosa insegnano i giovani alla Chiesa, oggi

Debutta questa settimana tra gli autori degli “Sguardi” don Matteo Cella, curato dell’oratorio di Nembro.

L’aveva intuito con chiarezza San Benedetto, tanto da lasciarlo come impegno vincolante ai suoi monaci. Ascoltare i giovani è illuminante: nel loro sguardo sulla vita, nelle intuizioni ancora da far maturare, nelle domande impertinenti che sollevano a volte con irriverenza si intravede la possibilità di compiere quei passi in avanti che conservano il carattere promettente del tempo futuro. Il santo che ha rinnovato l’occidente attraverso la radicalità della vita monastica probabilmente offrirebbe alla Chiesa del nostro tempo lo stesso suggerimento: fatti aiutare dai più giovani a comprendere il presente, lasciati provocare di loro dubbi, offri la possibilità delle loro intuizioni all’intera comunità.

Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore.

Regola di San Benedetto, capitolo III

Vorrei provare a raccogliere questa indicazione che appartiene alla tradizione della chiesa da sempre, anche se non si direbbe che nei tempi più recenti il rapporto tra l’istituzione ecclesiale e il mondo giovanile sia idilliaco. La stagione che si è aperta con la pandemia di Covid-19 ha inaugurato una pagina nuova della nostra comune storia: i mesi della paura e dello smarrimento, il contatto stretto con la malattia e la morte, i lunghi periodi di “stop” forzati per cercare di salvaguardare la vita delle persone e il totale ribaltamento delle abitudini e degli stili di vita hanno costretto tutti a fare i conti con domande, dubbi, ferite normalmente nascoste sotto la coltre della quotidianità e delle abitudini. Proprio ora, nel momento del ripensamento di chi siamo, di cosa vogliamo e possiamo essere, di quale “nuova normalità” ambiamo ad assimilare, ascoltare i giovani è una sfida che sarebbe sbagliato lasciar cadere. 

Nei lunghi mesi cominciati a marzo 2020 con l’avvio della crisi sanitaria, la categoria dei giovani è stata una delle più penalizzate: il sistema scolastico e formativo ha faticato non poco per garantire loro il diritto all’istruzione; l’attenzione collettiva si è concentrata sulle categorie più fragili dal punto di vista della tutela della salute trascurando le nuove generazioni perché apparentemente forti; la Chiesa ha continuato ad essere incerta sulle parole da condividere con gli under 30. Eppure, loro, i giovani, sono stati protagonisti di alcuni gesti esemplari e indimenticabili. Si sono resi disponibili per molti servizi nel momento collettivamente più difficile. Hanno continuato, per lo più inascoltati, a sollecitare l’opinione pubblica riguardo ad alcune sfide epocali che il mondo adulto fatica a mettere a fuoco: l’ambiente, i diritti, la formazione, l’abbattimento delle barriere e dei confini. Ovviamente i segni positivi e provocanti non sono di tutti e non sempre ripetuti, ma sarebbe un grave errore non cogliere la voce di chi avrà nelle proprie mani il futuro tra poco tempo e che già ora chiede attenzione ad alcune sfide che permetterebbero all’umanità di ricomprendersi a fondo. 

Riaccendere una ricerca del senso dell’esistenza è uno dei grandi desideri dei discepoli di Gesù oggi, soprattutto in occidente. Incontrare le esperienze e le spinte del mondo giovanile e stringere una profonda alleanza con loro è un sogno da non spegnere.

Se la prova ci ha mostrato le nostre fragilità, ha fatto emergere anche le nostre virtù, tra cui la predisposizione alla solidarietà. In ogni parte del mondo abbiamo visto molte persone, tra cui tanti giovani, lottare per la vita, seminare speranza, difendere la libertà e la giustizia, essere artefici di pace e costruttori di ponti

Papa Francesco, Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale della Gioventù

Da molti anni sono impegnato nella pastorale giovanile. L’oratorio è la mia casa, non solo perché fisicamente lo abito. Cercare di capire i bisogni, i pensieri, le arrabbiature e le distanze che i ragazzi esprimono è il mio pane quotidiano. Durante i mesi di marzo – aprile – maggio 2020 ho condiviso con alcuni ragazzi esperienze che sono come semi di bene velocemente trasformati in piante piene di germogli: gesti di grande generosità e di servizio alla comunità, azioni di cura per il bene collettivo, assunzione di responsabilità con una maturità e una serietà invidiabili. Nel periodo immediatamente successivo ho condiviso con loro l’esigenza di fare tesoro di ciò che stata emergendo con forza a causa della pandemia: un mondo vecchio è andato in crisi e ancora non si sa quale nuovo equilibrio prenderà forma al termine della burrasca. Ad alcune scelte di valore non si dovrà venire meno: il rispetto della dignità della vita, l’importanza delle relazioni, la costruzione di autentiche comunità solidali, il bisogno di confrontarsi sul senso del tempo che ci è donato, la convinzione che apparteniamo tutti ad un’unica storia e a una sola terra. 

Il bisogno di raccontarsi, di accogliere il pensiero di altri e di porre le giuste domande si è espresso grazie ad alcune esperienze che la comunità di Nembro ha accolto e sostenuto. Si sono aperti spazi di riflessione e di costruzione del futuro anche per la disponibilità di tanti a sedere allo stesso tavolo, ad aprirsi a un dialogo autentico e senza pregiudizi. I giovani hanno così permesso l’avverarsi del miracolo dell’incontro tra le generazioni, tra il religioso e il civile, tra il sacro e il profano. 

I giovani non chiedono di essere diretti e non vogliono imposizioni, ma sono pronti a camminare insieme a chi ha camminato davanti a loro e si lascia da loro accompagnare. Per me è grande la gioia quando osservo il succedersi delle relazioni, perché promettono sempre nuove primavere per il mondo

Enzo Bianchi, La Repubblica, 08/11/2021

Ora, il cammino intrapreso merita di essere condiviso con una comunità allargata nella speranza che molti siano pronti ad accogliere l’occasione della pandemia per rimuovere vecchi ostacoli, pesanti fardelli ereditati dal passato e stanchezze che limitano la creatività e generare cammini nuovi, condivisi e promettenti. Il mondo ne ha certamente un grande bisogno. Soprattutto la Chiesa non ne può fare a meno. 

La domanda-provocazione alla quale possiamo tentare di rispondere insieme è “che cosa insegnano i giovani alla Chiesa?”. 

La Chiesa si è autodefinita “Maestra”. Forse questo momento storico le chiede un radicalmente cambio di atteggiamento, una spogliazione: deve imparare nuovamente a interrogarsi e a dialogare. Solo disarmati e precari, come lo sono i giovani, si possono cogliere le opportunità. Solo sedendo allo stesso tavolo da disarmati si riescono a intessere dei dialoghi autentici. Solo nella convinzione di non avere conquistato tutte le verità si può intuire la possibilità del nuovo. Solo stando a contatto con le nuove generazioni e le loro provocazioni si può gustare la ricchezza del Vangelo di sempre.