Don Efrem e la missionarietà della fede cubana

Per Don Efrem Lazzaroni questo è il settimo Natale a Cuba. Nella missione dove è rientrato da poche settimane, dopo una permanenza in Italia che si è protratta da maggio a novembre a causa delle limitazioni sanitarie che hanno costretto don Efrem e don Pierluigi Manenti a procrastinare più volte il loro ritorno in terra cubana.

Durante la sua permanenza in bergamasca, don Efrem ci aveva raccontato la sua esperienza missionaria, a partire dalla prima partenza.

“Sono stato ordinato 17 anni fa – spiega il sacerdote, quarantaduenne -. Ho fatto dieci anni in oratorio, a Verdello, poi nel 2014 il Vescovo, quando era arrivata l’ora di spostarmi, non mi ha dato un’altra parrocchia ma mi ha inviato in missione a Cuba”.

Ed è stata una chiamata inattesa. “Ho sempre avuto attenzione verso le missioni e passione per il tema, ma non mi aspettavo di andare io lontano. È stata una proposta inaspettata, ma mi sono sentito contento di dire sì”.

Il primo impatto è stato subito positivo. “Bellissimo, davvero. A Cuba c’erano già altri missionari bergamaschi prima di me, quindi non ero allo sbaraglio. Hai l’impressione subito di una comunità accogliente, allegra. Il clima è diverso, la cultura è diversa ma c’è tanto entusiasmo. L’accoglienza era stata indubbiamente delle migliori: ti senti subito a casa, la comunità cristiana ti fa sentire in famiglia, nonostante la distanza e le differenze culturali. Ti senti fratello anche di questa gente, anche se alla lunga escono anche le fatiche e porti pazienza, come la gente la porta con noi”.

Il territorio in cui opera don Efrem è molto ampio, come per gli altri tre sacerdoti bergamaschi che lavorano a Guantanamo (don Mario Maffi, don Pierluigi Manenti e don Massimo Peracchi). “Portiamo avanti le attività parrocchiali che si fanno anche qui: le messe, la catechesi di bambini e adulti, gli incontri per adolescenti e giovani, le visite agli ammalati e i progetti con le famiglie dei disabili. Abbiamo inventato il CRE per il periodo estivo”. 

Ma il contesto in cui si opera è profondamente diverso da quello bergamasco. “C’è una situazione di grande povertà, dovuta al sistema politico ed economico. È diverso dall’indigenza di altri paesi, ma la situazione è molto faticosa. Per quanto riguarda la chiesa, non abbiamo strutture da portare avanti: non si tratta di missioni con ospedali, scuole e collegi; lì non si può, solo lo Stato può portare avanti queste attività. Noi facciamo la semplice attività parrocchiale. Considera che io ho due parrocchie, ma neanche una chiesa – sorride -. Avevamo una palafitta, ma il ciclone del 2016 ha raso al suolo anche quella”. Il territorio in cui opera don Efrem è molto ampio. “Oltre alla povertà di mezzi, l’altra differenza rispetto alle parrocchie bergamasche è proprio l’estensione: la mia parrocchia si estende per un raggio di 25 km, è divisa in 30 piccole comunità (per raggiungere la più lontana si impiega un’ora in jeep). Siamo nella periferia di Baracoa, tra monti, valli e spiagge. Questo significa che vado una volta al mese o ogni 15 giorni per la celebrazione e le catechesi nelle singole comunità, mentre nella sede principale facciamo più attività, anche con i ragazzi. Le altre, però, hanno i loro animatori e responsabili”.

Ma in mezzo alle difficoltà, c’è una vita che fiorisce. “La gente ti sorprende: hanno pochi mezzi e vivono in una situazione così povera, ma riescono a inventare iniziative, non rinunciano mai ad organizzare feste e celebrazioni. Per loro questi momenti sono molto importanti, non vogliono rassegnarsi: adornano e organizzano le feste con grande cura, pur avendo molto poco. Sono proprio le iniziative come le feste di compleanno o di Natale che danno forza ed entusiasmo, nonostante la situazione quotidiana difficile”. 

E don Efrem porta ancora scolpiti nel cuore alcuni ricordi dei suoi primi tempi a Cuba. “Una sera avevamo in programma una riunione con gli animatori del CRE nella mia parrocchia. Io ero arrivato in ritardo perché ero dovuto andare in una comunità lontana a fare la preghiera per una persona defunta. Mentre rientravo in macchina, pensavo: Staranno facendo qualcosa senza di me? Avranno almeno colorato la scenografia? Quando sono arrivato, erano già tutti riuniti e stavano preparando il percorso di preghiera del CRE. Partono sempre dalla spiritualità, dalla fede, per tradurla poi in eventi e feste”.

Un’altra caratteristica che ha colpito don Efrem è la missionarietà insita nella fede dei cubani. “Ricordo la prima riunione per organizzare la festa patronale nella parrocchia dedicata alla Madonna del Carmine: chiedo al consiglio pastorale cosa facciamo, pensavo che mi dicessero subito della festa, della processione, invece come prima cosa mi dicono: dobbiamo fare una missione. La cosa più importante per loro è la missione, ovvero andare in giro nelle case della gente, a parlare di Gesù, ad invitarli a venire alla chiesa. In spagnolo esiste proprio il verbo ‘missionare’, che loro utilizzano per parlare di questo andare dalla gente porta a porta. È la Chiesa in uscita di cui parla papa Francesco. Noi siamo abituati ad essere arroccati nei nostri centri e ci aspettiamo che la gente venga alle nostre iniziative (e se non viene ci lamentiamo). Lì, non avendo strutture, sono abituati a vivere la chiesa in uscita, ad andare, incontrare le persone, annunciare il Vangelo. È una fede che vive nelle strade e nelle case, non in chiese e oratori”.

E don Efrem, dopo i mesi di permanenza in Italia della scorsa estate, a novembre è ripartito per Cuba. Per ‘missionare’.