Il contagio della solidarietà vince ogni pandemia e ogni barriera. Il racconto dal cuore del carcere

Una volontaria vincenziana di Villa d’Almè racconta il “Premio Letterario Carlo Castelli” 2021

Da 14 anni a questa parte si svolge, sempre in autunno, un evento davvero significativo per il volontariato vincenziano: “Il Premio letterario Carlo Castelli per la solidarietà” promosso 
dalla Federazione Nazionale Italiana della Società di San Vincenzo de Paoli, destinato a composizioni letterarie che nel 2021 riflettono sul tema “Il contagio della solidarietà vince ogni pandemia e ogni barriera”. I partecipanti possono essere tutti i detenuti e detenute d’Italia.

Il concorso nasce con il desiderio di dare maggiore attenzione al mondo del carcere e come occasione di libertà al detenuto attraverso la composizione letteraria.  Sono soprattutto la lettura, lo studio e la scrittura a rivelarsi un sostegno decisivo nel processo di cambiamento, nella scoperta di interessi e risorse insospettate. Il Concorso vuole essere segno di vicinanza per coloro che hanno intrapreso un cammino di cambiamento, ma anche per coloro che ancora non sono pronti, nonché provocare una riflessione in tutti coloro che di questo mondo carcerario non vogliono sentir parlare.

L’8 ottobre 2021 è toccato a Bergamo, presso la Casa Circondariale da poco intitolata a don Fausto Resmini, ospitare la XIV cerimonia di premiazione del “Premio Carlo Castelli”, a cui hanno partecipato diversi detenuti in tutta Italia e nella quale sono stati premiati tre detenuti-scrittori, che con le loro riflessioni e i loro testi hanno dato un assaggio di cosa significhi essere solidali da reclusi e in tempo di pandemia.

Il tema proposto “Il contagio della solidarietà vince ogni barriera e ogni pandemia” ha portato alla luce un nuovo concetto di solidarietà e di legami. In un luogo quale il carcere, dove l’isolamento legato alla condizione si è associato a quello specifico della pandemia, ogni gesto di solidarietà, ogni parola detta o ascoltata, assume un significato nuovo e profondo. Le persone detenute hanno dato vita a nuove forme di solidarietà verso coloro che erano fuori ma che come loro erano “chiuse dentro le proprie mura”, raccogliendo generi alimentari, donando sangue, producendo mascherine e raccontando la loro storia.

La scelta di svolgere la premiazione nel territorio di Bergamo assume poi un significato ancora più profondo. Bergamo, così duramente colpita dalla pandemia, e il carcere, luogo della città intitolato a Don Fausto Resmini, sacerdote e cappellano proprio di questo luogo, stroncato dal Covid lo scorso anno.

Mi sono così presentata, insieme agli altri volontari, al cancello di ingresso del penitenziario di Gorle. Ecco il primo controllo: green pass e documenti. La mia carta d’identità viene trattenuta presso la guardiola. Entriamo in questo luogo, con il suo lungo corridoio silenzioso, solo grazie alla polizia penitenziaria che ci ha fatto strada, lasciando fuori telefono, portafogli, chiavi e tutto ciò che solitamente mi collega al mondo esterno. Mi sono sentita inizialmente insicura, smarrita, quasi a disagio e inadeguata. Eppure, il clima era sereno, noi volontari vincenziani partecipanti alla premiazione come auditori eravamo una nota lieta e diversa rispetto alla solita normalità del carcere.

Il teatro interno fa da location per l’evento. Mi accomodo sulla poltroncina con curiosità, sia riguardo l’evento sia verso il luogo che ci ospita e le sue presenze: addetti ai lavori, guardie penitenziarie, la Direttrice del carcere, … il moderatore Davide Dionisi di Vatican News prende parola e l’evento ha inizio. Rosario Tronnolone, di Vatican News, ha dato voce ai testi delle opere vincitrici, provocandomi emozioni intense e un senso di coinvolgimento molto forte.

Ascoltare in seguito la voce dei ragazzi detenuti che hanno partecipato al concorso, che leggevano i propri racconti – chi con impaccio, chi con convinzione, chi con passione, chi ancora con amore e orgoglio – mi ha poi invece “obbligato” a riflettere su quante volte con superficialità ed egoismo diamo giudizi sul carcere e i carcerati, pronunciamo frasi banali o addirittura offensive senza conoscere, senza sapere, ma con la presunzione di sapere tutto, dimenticando la dignità di cui ogni persona è depositaria, il volto di Dio che c’è in ciascuno, indipendentemente dal reato commesso e la profondità di cui anche la persona che ha sbagliato è portatrice.

Tra i diversi relatori che sono intervenuti mi ha colpito Don Dario Acquaroli, direttore della casa del Patronato a Sorisole che, ricordando don Resmini, ci ha invitato a “pensare ad ogni singolo individuo” perché ogni uomo ha la sua storia da raccontare, ogni persona vale, ognuno merita di essere accolto senza giudizi e pregiudizi.

Mi è tornata alla mente una parte dell’omelia del nostro Vescovo Francesco, in occasione delle celebrazioni del patrono di S. Alessandro Martire di quest’anno, sul tema della fiducia, della prova e del perdono: “La fiducia, un sentimento che ispira la vita e una virtù da seguire con perseveranza, soprattutto nella prova. La Fede illumina e alimenta la fiducia degli umani, negli umani e tra gli umani. Dare fiducia è indispensabile per vivere, è il presupposto della nostra società. Quando qualcuno tradisce la fiducia i danni possono essere notevoli, ma accantonarla del tutto per difendersi è ancora peggiore, guardare con sospetto cronico le persone non rende modo più sicuro, lo rende invivibile. La fiducia è una virtù da nutrire «con il pane della verità, della fedeltà e del perdono. Il pane della verità in tutti i campi: nelle relazioni personali, sociali, ecclesiali, nel mondo dell’informazione; il pane della fedeltà, capace di rigenerare la fiducia anche nelle situazione più dolorose e difficili: “Mola mia” ci ripetiamo, grande espressione di fedeltà non solo al lavoro, all’impegno e alla resistenza, ma soprattutto alle persone: io ci sono, ci sono per te, per voi; il pane del perdono è la fiducia di Dio nell’uomo offerta a chi l’ha tradita, perdono che necessita molte volte di fatica, pazienza e impegno, perdono che è possibile se si scopre che il bene è sempre più originario e più forte del male”. 

In questo tempo di Avvento, in attesa della nascita di Gesù che ci ricorda che Egli è venuto a farsi solidale con chi non è ospitato, non ha casa, è fragile, vulnerabile, con chi non è riconosciuto dalla famiglia, dalla società, dal mondo mi sento di augurare a tutti un Santo Natale ricco di fiducia reciproca, di forza nella prova, di coraggio del perdono.