Sette parole per immaginare il futuro. Intervista a Padre Antonio Spadaro

Il 2021 sta per finire ed è tempo di bilanci con il pensiero al nuovo anno, ma è difficile fare previsioni sul futuro. Padre Antonio Spadaro, gesuita, teologo e saggista, direttore della rivista “La Civiltà Cattolica”, nel libro “Fiamma nella notte” (Edizioni Ares 2021, pp. 168, euro 14,00) individua “Sette parole per immaginare il futuro”, come recita il sottotitolo del testo da lui scritto. Viaggio, frontiera, lotta, germoglio, cose, Logos, pandemia.

L’autore propone un coinvolgente viaggio letterario, che spazia dagli erranti dell’epica classica (Ulisse ed Enea) ad autori come Musil, Mann, Kafka, fino alla poetica nei discorsi di Papa Francesco durante il lockdown. Parole che squarciano il buio dopo la tempesta e che ci aiutano ad affrontare meglio il futuro, ora che la locomotiva Italia ha ricominciato il suo cammino, cercando di imparare a convivere con il virus, certi che stiamo compiendo, tutti insieme, “un viaggio al termine della notte”.

Abbiamo approfondito l’argomento con il primo giornalista a intervistare Papa Francesco, Padre Spadaro, nato a Messina nel 1966, membro della Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon e che fa parte del “Boards of Directors” della Georgetown University di Washington. Esperto di letteratura americana, fondatore dell’associazione culturale “Bombacarta”.

  • Padre Spadaro, mai come oggi abbiamo bisogno di parole per immaginare il futuro, dare una lettura umana e spirituale di quello che viviamo, mentre abbiamo ancora nel cuore le immagini e le parole di Papa Francesco pronunciate il 27 marzo del 2020. Che cosa ne pensa? 

«Sì, oggi abbiamo bisogno di parole per immaginare il futuro. Pronunciare le parole significa dire la realtà che viviamo, pronunciarla, esprimere idee, esprimere sentimenti. Le parole possono essere distinte, come faceva un grande teologo, Karl Rahner, in parole “infilzate” come farfalle in una vetrina, “parole museo”, potremmo dire, parole “morte”, che sono le parole di un dizionario che servono solo a essere guardate, ma che sono prive di vita e parole “conchiglia”. La parola “conchiglia” è quella parola che ha echi, che contiene all’interno una ricchezza, quindi le parole “conchiglia” sono parole che ci fanno pensare, che ci aiutano a confrontarci con la realtà, che ci danno il senso delle cose. Questo è molto importante oggi, perché riuscire a nominare la realtà, le idee, i sentimenti, significa entrare meglio nella vita, comprenderla. Ci sono allora parole che ci aiutano a vivere il futuro, perché sono, appunto, conchiglie, che ci fanno percepire la realtà che viviamo, perché sono piene di significati. Nel mio libro ho voluto individuare sette parole che ci aiutano a immaginare questo futuro. Per esempio la parola “lotta”. Stiamo vivendo tempi difficili. Comprendere la vita come un ring ci fa capire che dobbiamo avere un corpo a corpo con l’esistenza. Ci fa capire che la vita è anche lotta e questo ci aiuta. Anche la parola “germoglio” è molto bella. Ho riflettuto molto su questa parola grazie alla poesia cinese. Il germoglio non è un fiore, è quello che si prepara a diventare tale, quindi mi aiuta a comprendere nella vita ciò che sboccia, ciò che è promessa di futuro anche se non si vede. Mi ha colpito il fatto che Papa Francesco parlando della pandemia ci ha consegnato alcune parole per immaginare il futuro. Faccio un esempio: “barca”. Siamo tutti sulla stessa barca. Già questa idea dell’umanità che rema tutta insieme, con tutte le differenze che include, aiuta a comprendere come possiamo vivere e affrontare la sfida pandemica». 

  • Il Santo Padre ha parlato di un Pianeta gravemente malato, di ingiustizie planetarie causate da un’economia che punta solo al profitto, di conflitti internazionali che sono da far cessare, di embarghi ed egoismi nazionali. La pandemia ha smascherato la nostra vulnerabilità, le false e superflue sicurezze con cui avevamo costruito le nostre abitudini e priorità? 

«Si, la pandemia è stata un fenomeno che ha svelato un problema. Soprattutto mi colpisce il fatto che la pandemia non abbia confini. Il virus si diffonde senza riguardo per confini nazionali, per Paesi ricchi e poveri o per differenze di lingua, di cultura o di geografia. Questo paradossalmente ci fa comprendere come l’umanità sia una e come i problemi vadano affrontati insieme. Nel momento in cui si affrontano per confini nazionali o per gruppi di persone o di Stati, il problema non si risolve, perché è globale. Allora paradossalmente la pandemia ci ha fatto comprendere che l’egoismo non serve, non ci aiuta e non risolve niente. Dobbiamo avere una prospettiva ampia sulle cose, questo ci aiuta a affrontarle meglio, a viverle meglio, a trovare la chiave di soluzione. Questo, ad esempio, è il motivo per cui Papa Francesco insiste molto sull’importanza del multilateralismo quando si parla di problemi internazionali. Multilateralismo significa affrontare i problemi insieme in modo da poterli risolvere non in favore di un gruppo o un altro di Stati, né in termini di rapporti bilaterali tra uno Stato e l’altro, perché alla fine il rischio è quello di far dominare il più potente. Non funziona così, la pandemia ci ha fatto capire che se noi lasciamo indietro i Paesi più poveri, la pandemia si diffonde e si creano nuove varianti. Quindi la vaccinazione va affrontata come una questione globale». 

  • “Non siamo abituati ad abitare nella possibilità, come invece recita un verso di Emily Dickinson: I dwell in possibility”. Saremo disposti a cambiare gli stili di vita, come ci chiede Papa Francesco? 

«Mi colpisce molto questo verso di Emily Dickinson, perché parla di abitare nella “possibilità” e non nella “probabilità”. Il possibile è molto più ampio del probabile. Questo può significare per noi una domanda sugli stili di vita. Mi sto abituando al “si è sempre fatto così” o immagino alternative? Come può cambiare la nostra vita? Papa Francesco è un Papa che ha una visione architettonica della realtà. Il Pontefice affronta i problemi in maniera globale, Bergoglio ha una visione del mondo, l’abbiamo visto con le due Encicliche “Laudato si’” e “Fratelli tutti”, che affrontano i problemi del mondo in maniera globale, profonda, sistematica e hanno una visione anche spirituale della realtà. Questo però si traduce in un appello a cambiare gli stili di vita. Penso che quello di Papa Francesco sia il messaggio di un grande leader globale capace di dare un messaggio di valore morale valido per l’umanità. L’appello di Bergoglio a cambiare gli stili di vita certamente è impegnativo, ma ritengo che sia assolutamente fattibile. Francesco non pensa alle utopie, non manda messaggi utopici astratti ma propone delle vie concrete. Credo che in questo momento molti lo stiano ascoltando e certamente sono aiutati dal Santo Padre a vivere meglio e a cambiare stili di vita. Quindi ad abitare nella possibilità più che nella probabilità». 

  • Per quale motivo sostiene che non siamo chiamati a “ripartire”, ma piuttosto a “ricominciare”? 

«Ripartire significa immaginare di stare su di una macchina che si è fermata e che deve riprendere il cammino, quello sul quale già si trova. Questo significa sostanzialmente continuare come si è sempre fatto. Usare la stessa macchina, andare nella stessa direzione, percorrere la stessa strada. Invece la pandemia, ci dice Francesco, ci ha fatto capire che dobbiamo cambiare. L’appello del Papa vuol dire cambiare in modo nuovo, essere radicali, cercare di vedere le cose in modo diverso».

  • Nelle prime pagine del volume scrive che le parole: viaggio, frontiera, lotta, germoglio, cose, Logos e pandemia, indicano tutte una soglia. Desidera chiarire la Sua riflessione?

«La soglia è un punto di svolta, è un limite. Queste sono tutte parole che indicano un momento di passaggio. La lotta è dentro il ring, delimitato dalla corda. Il quadrato dentro la corda simbolicamente rappresenta la vita e i suoi drammi. Rivela un luogo dove si concentrano le tensioni della vita. Così anche il germoglio: si vede che c’è questa tensione della vita che tende a sbocciare ma ancora non è sbocciata. Quindi c’è una tensione della vita a esprimersi. Il germoglio è una immagine che rende molto bene questa tensione vitale. Penso che le immagini della soglia siano importanti per pensare il cambiamento. Per capire dove siamo e nello stesso tempo dove  possiamo essere». 

  • Il virus Covid-19 è entrato nelle nostre vite all’improvviso costringendoci a modificare radicalmente i nostri stili di vita e a riorganizzarne la quotidianità. Siamo stati chiamati ad affrontare la sfida dell’isolamento. Adesso ci troviamo di fronte a una nuova sfida quella della ripartenza. In questo momento il compito per la Chiesa è quello che il Papa aveva già indicato nell’intervista a “La Civiltà Cattolica”del 2013, essere “ospedale da campo”, curare e guarire le ferite dell’umanità? 

«Sì, è chiaro che Papa Francesco usa spesso metafore mediche. Il Papa mi disse nel 2013 non che la Chiesa a volte è ospedale da campo o che talora può essere ospedale da campo. No: la Chiesa è radicalmente un ospedale da campo. Questa è una metafora ecclesiologica che rivela la natura della Chiesa. La pandemia esprime una condizione che  fa appello alla guarigione. Il ruolo della Chiesa nel mondo è quello di toccare le ferite, di sanarle come faceva Gesù, quindi le immagini terapeutiche si rivelano quanto mai efficaci oggi ed è un compito aperto per la Chiesa. Direi non solo, è un compito che forse ciascuno di noi dovrebbe assumere. Essere a questo mondo per toccare e guarire le ferite, per fare di questo mondo un mondo migliore».