Questo tempo chiede felicità: la città risponde con la bellezza

Nelle sere e nelle notti di fine dicembre e inizio gennaio le luci della città sembrano avere un’intensità particolare. Al compito loro affidato di rallegrare, di rompere o di attutire il buio si affianca quello di far nascere pensieri.

Invitano a leggere in profondità la storia di una comunità che in quel luogo ha conosciuto e conosce la sofferenza e la gioia, la delusione e la speranza, l’egoismo e la solidarietà.

“Una città – scrive l’architetto Renzo Piano – non è disegnata, semplicemente si fa da sola. Basta ascoltarla, perché la città è il riflesso di tante storie. La città è una stupenda emozione dell’uomo. La città è un’invenzione, anzi: è l’invenzione dell’uomo”.

Nel tempo di Natale e nei giorni che segnano una fine e un nuovo inizio le luci di una città, come quelle di un paese, illuminano i sogni non come vie di fuga dalla realtà ma come vie di impegno per un futuro migliore.

“D’una città – scrive Italo Calvino – non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure”.

C’è una prorompente domanda di felicità in questo tempo e la città risponde con una sua bellezza da custodire, di cui avere cura, da consegnare a quanti verranno dopo.

Il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, così diceva nel novembre 1954 consegnando ai suoi concittadini le chiavi di nuove case: “La prima cosa che ho da dirvi è questa: amatela questa città, come parte integrante, per così dire della vostra personalità. Voi siete piantati in essa: in essa saranno piantate le generazioni future che avranno da voi radice: è un patrimonio prezioso che voi siete tenuti a tramandare intatto, anzi migliorato e accresciuto, alle generazioni che verranno”.

Le luci della città diventano una poesia di David Maria Turoldo: “Per me la città è quella che è: un punto in cui il complotto della vita diventa inestricabile, una zona dove tutti i sentimenti sono vivi, interferiscono come le radici o le ramificazioni nodose di un antico bosco. La musica si intreccia con il pianto, il ritmo della danza che aleggia sopra la processione pietosa di un funerale e l’ozio fa da cornice alla fatica e la notte è vinta dallo sfolgorio instancabile delle luci”.

Le luci della città, come quelle del piccolo paese, illuminano le strade dell’impegno dei suoi abitanti perché sia il bene comune la luce da tenere ogni giorno accesa.