L’oratorio ai tempi del Covid. Cosa possiamo fare? Nuovi modi per stare vicini ai ragazzi

Intervista a don Emanuele Poletti, direttore dell’UPEE

Come stanno vivendo gli oratori questo tempo?

Già da diversi anni siamo dentro a un tempo complesso, che rende più difficile educare; in più, la pandemia contribuisce a rendere più imprevedibile il progettare. Ma nonostante questi scogli, gli oratori ci sono: anche se fisicamente appaiono chiusi, con il cuore e la mente sono attivi nel cercare le modalità per stare vicino ai ragazzi, per proporre loro occasioni di incontro ed esperienze di crescita. Gli atteggiamenti belli che si colgono sono l’attenzione a conoscere e a far conoscere le regole da rispettare per uscirne insieme, da cui deriva il tentativo fantasioso di rilanciare alcune iniziative: non per paura del vuoto, ma per custodire e coltivare le relazioni, che sono fondamentali per la crescita dei piccoli e per la loro ricerca di significati. È vero che questo rilancio genera anche fatica e frustrazioni, sia per le regole da rispettare, sia perché non sempre si raggiungono i risultati sperati: eppure, l’accadere di qualcosa che mette in circolo vita ed energia è un contributo prezioso che la vita di oratorio sta immettendo nelle nostre comunità.

Di che cosa hanno bisogno i ragazzi oggi?

Forse, delle stesse cose di tutti. Innanzitutto di esperienze di vita e di relazioni vere dentro cui possano intuire le proprie passioni, incoraggiarle e farle crescere, grazie a un clima di ascolto, di pazienza e di fiducia. Da sempre c’è bisogno di relazioni faccia a faccia e di corporeità: la pandemia, i distanziamenti e il digitale stanno rendendo più complicato portare avanti gli incontri che passano dal realismo della presenza con il proprio corpo. In secondo luogo, i ragazzi hanno bisogno di adulti che ci siano: con affetto, con intelligenza e insieme, facendo rete. Sono le caratteristiche che rendono possibile l’ascolto che non giudica e il dialogo che regala parole nuove per decifrare il mondo interiore con le sue domande, le sue inquietudini e il suo caos. Inoltre, l’ascolto dei più giovani fa bene alla comunità, perché loro sono le sentinelle più sensibili al futuro: accogliere i ragazzi significa essere attenti al futuro che riguarda tutti.

E allora gli oratori e la pastorale giovanile cosa possono fare nel futuro prossimo?

Con un occhio guardare al presente e alle sue chiamate, per intuire cosa è possibile fare già adesso; con l’altro guardare al domani. La pandemia ha creato una situazione con cui imparare a fare i conti, sia perché l’uscita non sarà immediata, sia perché non lascerà le cose al punto in cui le avevamo interrotte, come se niente fosse. L’oratorio è uno strumento, bisognoso di manutenzione continua e di aggiornamenti, a partire dalla realtà. Il debito spirituale nei confronti dell’intuizione di san Giovanni Bosco ci invita ad aprire spazi e tempi di pensiero condiviso: sul senso delle cose, che abbia un’attenzione curativa, che sia evangelico. Soprattutto, senza nessuna ansia per i numeri. Abbiamo bisogno di riflettere sui bisogni dei ragazzi e su ciò che come adulti e comunità possiamo offrire loro: un nuovo ministero di pensiero insieme, anche ad altre realtà che si pongono a servizio dei più piccoli. L’oratorio non va abbandonato; soprattutto perché è un metodo di pensiero, oggi più che mai necessario: l’esperienza oratoriana ha da sempre costretto a guardare in faccia i ragazzi e a chiederci dove vogliamo portarli, insieme. Questa è l’esperienza di Chiesa da non disperdere.