Ponte Nossa: parte il pellegrinaggio del vescovo nella Cet dell’Alta Val Seriana

Si è aperta nel santuario della Madonna delle lacrime di Ponte Nossa una nuova tappa del pellegrinaggio pastorale del Vescovo di Bergamo. Venerdì 7 gennaio alle 10.30 i sacerdoti della fraternità 2 della CET dell’Alta Val Seriana e alcuni fedeli si sono uniti in un momento di preghiera con mons. Francesco Beschi.

Il benvenuto è stato dato da don Ivan Alberti, parroco di Gromo e moderatore della fraternità: “La vita delle nostre parrocchie si colloca sempre nella dimensione del pellegrinaggio – ha detto -. Mentre le persone si interrogano con preoccupazione e fiducia sul futuro dei propri paesi, il Vangelo può essere una buona notizia ancora oggi. Le chiediamo di incoraggiarci in questo comune pellegrinaggio della vita”.

Il Vescovo Francesco ha scelto per questo momento di preghiera due passi della lettera di san Paolo ai Colossesi: l’inizio e la conclusione. Da qui è partita la sua riflessione, articolata in due diversi punti.

“Sono tra di voi per sostenervi e incoraggiarvi”

“Il primo è il rendimento di grazie, la riconoscenza a Dio per tutti voi, per le vostre comunità e per la vostra fede – ha esordito nella sua omelia -. Don Ivan all’inizio ricordava che non è la prima volta che vengo tra voi: non solo le mie visite ma anche la fama della vostra fede mi ha accompagnato in questi anni. Tutto questo è motivo per rendere grazie al Signore, nel riconoscere la vostra fede, la fede di tanti, anche la fede che in molti sembra nascosta o addirittura sepolta”.

Il Vescovo ha voluto rinvolgere sin da subito parole di gratitudine verso i sacerdoti. “Vengo per incoraggiarvi, per sostenere, per alimentare la vostra fede. Io lo farò soprattutto condividendola insieme con voi. Come dice Paolo, mi permetto di sottolineare il motivo che alimenta la fede e l’esercizio della carità: la speranza che vi attende nei cieli. Il patrimonio spirituale che l’apostolo riconosce è frutto dell’accoglienza del Vangelo, giunto attraverso Epafra: Paolo evoca all’inizio un nome. Lui non ha mai visitato la città di Colosse: il Vangelo in quella città è giunto attraverso quest’uomo, chiamato ‘nostro caro compagno nel ministero’. In realtà sembra che Epafra abbia incontrato Paolo in un’altra città, si sia convertito al Vangelo e sia diventato evangelizzatore della città in cui abitava. È un fedele ministro di Cristo. Io visiterò ciascuna delle vostre comunità, a tutti e a tutte vorrei ricordare il grande dono dei sacerdoti: noi sappiamo che il numero dei sacerdoti diminuisce e proprio per questo desidero che ne avvertiamo la preziosità. Mentre io sono qui a rendere grazie al Signore per la vostra fede, desidero farlo anche per il ministero dei sacerdoti tra voi, miei cari compagni nel ministero. Attraverso di loro il Vangelo è stato annunciato nei vostri paesi e ha portato frutto, il frutto di quella fede che oggi riconosco in voi. Questo è lo sguardo dell’apostolo e del Vescovo e questa meraviglia diventa preghiera”.

La celebrazione nel santuario di Ponte Nossa

“Tenerezza come antidoto alla durezza del cuore”

Il secondo atteggiamento con cui mons. Beschi ha presentato il proprio pellegrinaggio è quello dell’incoraggiamento. E qui si è soffermato sui cinque sentimenti che Paolo indica alla comunità come abiti di cui rivestirsi. “Comincio dalla tenerezza. Parlare di tenerezza in montagna sembrerebbe parlare di qualcosa che non appartiene alla sensibilità di chi vi abita, ‘duro come le montagne’. Ma qui non stiamo parlando della durezza del carattere, ma di qualcosa che si oppone alla durezza del cuore. Duri nella fatica, nella determinazione, nel coraggio, ma teneri nel cuore. Gesù tante volte ha rimproverato ai suoi ascoltatori proprio la durezza del cuore. La tenerezza non è un atteggiamento sdolcinato, è un’apertura del cuore: la comprensione del cuore, non semplicemente la giustificazione. Quante volte sperimentiamo l’incomprensione, la durezza del giudizio, che a volte diventa addirittura condanna: tenerezza è proprio il contrario di questo”.

Il secondo è la bontà, che sembra non essere più di moda. Abbiamo coniato un termine, ‘buonismo’, per la degenerazione della bontà. Quando Gesù viene chiamato ‘maestro buon’ rifiuta questo titolo, dicendo che soltanto Dio è buono. Ma ogni gesto di bontà, anche il più piccolo, rende presente Dio.

Alimentare con umiltà lo spirito di servizio

Il terzo è quello dell’umiltà. In questi giorni natalizi il Papa insiste molto su questa caratteristica di Gesù. Sin dall’inizio dimostra un’umiltà sorprendente, che diventa per molti motivo di incredulità: Dio ha scelto la via dell’umiltà. La nostra contemplazione del mistero del Natale ci porta a considerare l’umiltà di Dio, che diventa virtù dei suoi discepoli e si esprime in un modo particolare nel servizio. chi serve è inevitabilmente umile, a meno che faccia diventare il suo servizio un esercizio di potere: noi vogliamo servire non come imperatori ma come servitori. Non basta servire, bisogna alimentare lo spirito di servizio, quello che contraddistingue persone che non appaiono ma quotidianamente servono coloro che il Signore ha loro affidato, nelle famiglie e nella comunità, senza far pesare il loro servizio.

Il quarto è la mansuetudine: a noi sembra un aggettivo sconosciuto. Indica una persona mite. Oggi cresce la violenza, sembra che sia la via per potersi affermare, per farsi largo: vince chi è forte, chi è violento. Se ancora resistiamo alla tentazione della violenza fisica, siamo esposti alla tentazione della violenza verbale. La mitezza è la virtù che il Signore ci chiede di esercitare, affonda la sua forza nella verità. Noi crediamo nella forza della verità, non nella verità della forza.

L’ultimo è la magnanimità, la grandezza di cuore. A volte il nostro cuore diventa piccolo, meschino, gretto. La tentazione è forte: ci sembra che il mondo sia così. Ma il Signore, attraverso l’apostolo, invita ciascuno di noi ad avere un cuore grande, che si manifesta nell’esercizio della pazienza, che non è aspettare passivamente ma sopportare con un cuore grande, portare il peso di situazioni che non si riescono a risolvere ma non si abbandonano a se stesse. Allora nel nostro cuore, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, potremo sperimentare il dono della pace, quella che tutti desideriamo. Che è dono di Dio, oltre che impegno di uomini”.

Accoglienza, fraternità e vicinanza a chi è nel bisogno

Ancora a conclusione dell’omelia il Vescovo si è presentato come “pellegrino”, “venuto per incontrare Dio presente in mezzo a voi, per riconoscerlo nei tratti delle vostre parrocchie, nei tratti dell’accoglienza, della fraternità, di una vicinanza che si fa prossima a chi è nel bisogno. Sono venuto per ringraziare i vostri sacerdoti, segno della presenza di Dio sia singolarmente che come comunità di sacerdoti”.

La preghiera è poi proseguita con il gesto dell’infusione dell’incenso nel braciere da parte del Vescovo, con la recita collettiva della preghiera che sta accompagnando le diverse tappe del pellegrinaggio – che chiede per le parrocchie il dono della fraternità, dell’ospitalità e della prossimità – e infine la benedizione.

“Per me è già stato un dono quello vissuto con voi in questo momento – ha concluso mons. Beschi -: attraverso le persone che hanno accolto questo invito sono presenti tutte le persone delle parrocchie. In questi giorni ascolterò e pregherò insieme a voi; con la prudenza necessaria richiesta dalla diffusione dei contagi, viviamo la nostra esperienza di fede e i nostri incontri”