Cercare antidoti all’indifferenza in tempi difficili. Suor Chiara: i beni condivisi si moltiplicano

Buongiorno suor Chiara, mi chiamo Francesca, sono una mamma e una catechista. Nell’ultimo anno nelle classi dei miei figli ho assistito a tante situazioni difficili: altre mamme e papà che hanno perso il lavoro, famiglie in crisi anche per piccole cose come coprire le spese della mensa e delle gite. Ho notato un clima generale di indifferenza negli altri genitori, che spesso si giustificano dicendo che “non si può aiutare tutti, devono rivolgersi ai servizi”. Mi sono trovata a chiedermi cosa sia davvero la carità, cosa significhi vivere in una comunità. Forse in questo i primi cristiani erano più radicali nel vivere il Vangelo, io stessa spesso mi sento in colpa per l’incapacità di condividere tutto. Cosa ne pensa?

Il tempo che stiamo attraversando è segnato da un allarmante individualismo e indifferenza, 

cara Francesca. Ne facciamo molte volte esperienza nella vita quotidiana a partire da quella familiare, comunitaria, sociale, politica, e, spiace a dirlo, persino conventuale, monastica ed ecclesiale. Ciascuno, infatti, pare assillato dalla preoccupazione di “salvare la propria pelle” o al massimo la famiglia, la comunità, ecc, tentando come può di “sbarcare il lunario”. 

Se ciò è comprensibile, considerato la crisi attuale che stiamo attraversando, esso costituisce, tuttavia, un campanello d’allarme che non va sottovalutato poiché esprime quanto la paura del futuro ci chiuda a chi ci vive accanto. 

Ognuno mette in atto delle difese per assicurarsi il futuro

Non nascondo che, considerata la realtà, il domani incute davvero timore, sotto molti punti di vista! Dinanzi, ad esempio, all’ennesima lievitazione delle bollette che gravano sul bilancio familiare, o alla difficoltà di trovare un medico di base disposto a visitare e curare i malati del nostro territorio, e ancora, dinanzi ai drammi e alle tragedie planetarie o locali che occupano gran parte delle notizie dei mass media, come è possibile starsene tranquilli?

Come è possibile non temere? Accade allora che ciascuno mette in atto delle difese per assicurarsi almeno il domani. Tali strategie, però, non sempre sono secondo il vangelo, così si ritorcono contro noi stessi, impedendoci di vivere da fratelli e da sorelle, aiutandoci nel bisogno, solidali gli uni, gli altri, disposti tendere una mano quando la vita si fa dura.

Nonostante i numerosi gruppi di volontariato e le istituzioni competenti che tentano di far fronte ai numerosi disagi esistenziali, è la solidarietà “spicciola”, informale, quella non studiata a tavolino, ma guidata dal buon senso, dalla fede e dall’amore, ad essere in crisi. Forse impauriti dalla possibilità di rimanere a “mani vuote”, prendiamo decisioni mossi dalla logica del “si salvi chi può!” e del “non possiamo aiutare tutti!”, chiudendoci al reale bisogno di chi ci vive accanto.

Nella Bibbia vi è un salmo che canta la beatitudine di colui che si prende cura del debole, perché a sua volta non sarà abbandonato nel tempo della prova: “Beato l’uomo che ha cura del debole: nel giorno della sventura il Signore lo libera. Il Signore veglierà su di lui, lo farà vivere beato sulla terra, non lo abbandonerà in preda ai nemici. Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore”. 

I beni condivisi si moltiplicano: la carità è premio a se stessa

Non ci mancherà nulla se impariamo, nelle piccole occasioni quotidiane, a donare e a condividere ciò che abbiamo con coloro che hanno più bisogno di noi, poiché il Signore stesso non ci priverà mai del necessario. Dobbiamo crederlo! I beni condivisi, infatti, si moltiplicano, poiché la carità è premio a se stessa.

L’icona della prima comunità cristiana in Atti 2,44-45 è significativa in proposito: “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno”; essa, tuttavia, corrisponde più all’ideale che al reale.

Non per nulla, a seguire, viene menzionato l’episodio di Anania e Saffira, sposi credenti che per assicurarsi il proprio futuro scelgono di condividere solo in parte i propri beni, mentendo: “Un uomo di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per sé una parte dell’importo d’accordo con la moglie, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli” (Atti 5,1-2). La fine di entrambi è la morte improvvisa. 

Dinanzi a questi brani biblici comprendiamo come il cuore umano sia, da sempre, capace di slanci generosi e, insieme, di egoismo, di menzogna, di grettezza e di meschinità. 

Solo lo Spirito santo può liberarci da queste catene e donarci la disponibilità e la libertà di condividere ciò che siamo e che abbiamo con coloro che, accanto a noi, sono nella necessità. Non cambieremo i massimi sistemi, ne le leggi di mercato, ma potremo cambiare noi stessi aiutando altri ad essere un poco felici.