Unità dei cristiani: “Ci sono spazi amplissimi per una testimonianza e un’azione comuni”

Foto Sir/ Marco Calvarese

Quali sono i temi che mantengono anche oggi le distanze fra i cristiani – cattolici, ortodossi e protestanti – e quale può essere il terreno comune sul quale posare i mattoni di un dialogo costruttivo? Come creare le basi di future collaborazioni e azioni comuni? Che cosa nelle storiche differenze fra i cristiani rimane valido, che cosa è stato superato dal tempo e dall’evoluzione della teologia e della società? Ne parliamo con il teologo Piero Coda in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si svolge dal 18 al 25 gennaio. Leggi la prima parte dell’intervista qui.

Circa la distinzione tra ciò che è caduco e ciò che mantiene un ruolo centrale, nelle formulazioni dottrinali delle Chiese: nel 1983 due grandi teologi cattolici – Heinrich Fries e Karl Rahner, nel 1983, avevano avanzato una proposta per il raggiungimento di un’«unione visibile» tra le diverse confessioni cristiane. Secondo questa proposta, tutte le Chiese dovrebbero convergere sulle antiche professioni di fede della cristianità indivisa ed evitare di condannare i successivi sviluppi teologici delle particolari confessioni. L’idea di Fries e di Rahner, però, non si è finora tradotta in atto.

«Nel sentire delle diverse Chiese è comunque cresciuta la consapevolezza che vi sono spazi amplissimi per una testimonianza e un’azione comuni. Si tratta di trovare i modi perché quella comunione, che in gran parte già sussiste, possa esprimersi sempre più in concreto. Finora questo aspetto è stato approfondito nel corso di colloqui “bilaterali”, per esempio negli incontri del Papa con il Patriarca di Costantinopoli, con i Patriarchi di altre Chiese ortodosse o con la sua partecipazione nel 2016 a Lund, in Svezia, alla celebrazione del 500° anniversario della Riforma di Lutero. Iniziative e gesti di questo tipo sarebbero stati impensabili anche solo pochi decenni fa. Occorre semmai che la consapevolezza di dover portare una testimonianza comune, in una pluralità di forme espressive della fede, divenga patrimonio dell’intero “Popolo di Dio” – secondo la formula del Vaticano II –, ovvero di tutti i battezzati. In questo senso, molte diocesi e molte realtà ecclesiali, in Italia, stanno camminando bene. L’ufficio per l’ecumenismo e il dialogo della CEI ha lanciato l’iniziativa di un osservatorio permanente deputato al monitoraggio e all’ascolto delle diverse realtà cristiane e di altre fedi sul territorio: un’operazione strategica in sintonia col processo sinodale. E non sono poche le esperienze di inedite solidarietà e cooperazioni a livello ecumenico fiorite in questo difficile periodo della pandemia».

Anche la «realtà secolare» del mondo odierno sembra sollecitare i cristiani a superare le antiche divisioni: alcuni studiosi affermano che soprattutto nel Nord del pianeta – e in particolare in Europa – il cristianesimo rischia di andare incontro a una radicale «esculturazione», finendo ai margini del discorso pubblico.

«La storia induce – direi quasi: obbliga – la coscienza cristiana a compiere un salto di qualità. Si profila oggi la necessità di un esodo da una situazione di cristianità diffusa, radicata nella società, secondo un modello che nel bene e nel male aveva caratterizzato le epoche precedenti, verso una condizione radicalmente nuova. Se un antropologo come Edgar Morin sottolinea il bisogno di elaborare strategie di pensiero che siano adeguate alla complessità del tempo presente, qualcosa di analogo vale anche per le Chiese. Ciò implica anche un diverso approccio alla questione della varietà delle esperienze ecclesiali: siamo chiamati a esercitare un ascolto reciproco e insieme ad ascoltare quanto Dio vuole dirci, parlando attraverso le vicende degli uomini e delle donne della nostra epoca. Dio, oggi più che mai, fa sentire la sua voce nel “tra”: nell’incontro tra le persone, le esperienze, i cammini di vita e di fede. Si tratta di aiutarsi a vicenda a formulare un nuovo linguaggio della testimonianza cristiana, un linguaggio fatto non solo di parole e concetti, ma di un concreto stile di vita all’interno della società umana. Recentemente, abbiamo dovuto prendere commiato da due figure che mi pare abbiano saputo offrirci degli esempi forti in questo senso: mi sto riferendo al presidente del Parlamento europeo David Sassoli, un cristiano che ha saputo tradurre le sue convinzioni di fede in un preciso impegno politico, e a monsignor Aldo Giordano, nunzio della Santa Sede presso l’Unione Europea e tra coloro che maggiormente hanno contribuito alla stesura della “Carta ecumenica” del 2001. Entrambi ci lasciano in eredità una straordinaria lezione di stile: la fede e la comunione come lievito di dialogo e di fraternità».