“Perdutamente”: Paolo Ruffini porta sullo schermo storie di Alzheimer. “La cura migliore è l’amore”

“Chi è ammalato di Alzheimer forse capisce più di altri che il senso della vita è amare”. Paolo Ruffini racconta con Ivana Di Biase la malattia, le relazioni, la cura in un documentario coinvolgente e pieno d’emozione “Perdutamente”, in programmazione lunedì 14 e martedì 15 febbraio ore 21.00 Cinema del Borgo e mercoledì 16 febbraio sempre alle 21 al Cinema Conca Verde di Longuelo.

Guarda l’invito rivolto agli spettatori bergamaschi da Paolo Ruffini.

Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, determinando decadimento fisico e cognitivo, perdita della memoria, della coscienza e della percezione del sé e della realtà. Paolo Ruffini attraversa l’Italia per intervistare persone affette dalla malattia di Alzheimer e i loro familiari, definiti “seconde vittime” dell’Alzheimer, che si trovano ad affrontare un carico fisico ed emotivo enorme accompagnando i propri cari attraverso il doloroso cammino della malattia. Dalla malattia di Alzheimer, ad oggi, non è possibile guarire, tuttavia è possibile curarla, nel senso di “prendersi cura” di chi si ama, e l’unica cura possibile è l’amore.

Il centro narrativo del documentario non è la malattia, ma le emozioni e i sentimenti che legano i pazienti ai propri cari. Attraverso le interviste si raccontano diverse storie d’amore, e soprattutto diverse dimensioni dell’amore: quello tra compagni di vita, tra genitori e figli, nonni e nipoti, tra fratelli e sorelle. In questo viaggio, tra storie e sentimenti, mentre la memoria della realtà viene progressivamente sgretolata dalla malattia, resta invece la memoria emotiva che rappresenta l’unico legame che i pazienti conservano con la vita che li circonda.

Io non so chi sei, ma so di amarti. Il senso della cura

“Io non so chi sei, ma so di amarti”: è questo il punto di partenza e il filo conduttore delle note di regia di Paolo Ruffini.

“Prima di iniziare questo viaggio – scrive il regista – sapevo poche cose sul morbo di Alzheimer: che è una malattia crudele, misteriosa, e legata alla perdita della memoria. Ma questo era “prima”. Esiste sempre un prima e un dopo in un’avventura, e in qualche modo questo film li definisce. Prima credevo, banalmente, che perdere la memoria significasse dimenticare le cose e i loro nomi, le persone, i volti, la dimensione del tempo. Già solo questa percezione, così superficiale, bastava a dare la portata del vuoto, della paura, dell’oblio. Durante il percorso ho compreso che Alzheimer significa molto più di questo, perché la memoria non è semplicemente una scatola che contiene informazioni. È più come un diario, che ciascuno di noi riempie, un giorno alla volta nel corso di una vita intera, e oltre ai dati di realtà, custodisce emozioni, ricordi, sentimenti. La memoria è un documento dell’identità personale, della propria storia, ma più di tutto della propria coscienza.

Perdere la memoria significa perdere se stessi

Noi siamo la nostra memoria, e perderla significa perdere sé stessi. Significa abitare un corpo senza esistere. Questa consapevolezza è stata solo una delle tappe del viaggio che ha disegnato questo film. Attraversando l’Italia ho avuto il privilegio di entrare nelle case di persone sconosciute e straordinarie, che hanno condiviso con noi le loro storie. Storie di vite fuori dal comune, storie segnate dall’Alzheimer, storie di dolore e disperazione, ma soprattutto storie d’amore.

La traccia seguita, nel corso di questa indagine, è stata la differenza tra cura e guarigione. Quello che ho imparato è che dal morbo di Alzheimer non è possibile guarire, ma è possibile curare, se non la malattia, la persona, proprio con l’amore. La prima domanda, posta nel corso della prima intervista, è stata: “Che cosa significa prendersi cura di un malato di Alzheimer?”. La risposta che ho ascoltato, senza esitazione nella voce di Franco, è stata: “Amare”. È l’amore il protagonista di questo film, non la malattia.

L’amore della persona malata, che non sa più chi sei ma sa di amarti.

E l’amore della persona che si prende cura del malato, che ama senza condizioni, senza risposte, nel modo più disperato in cui si possa amare: Perdutamente.