Gli adolescenti feriti dalla pandemia. Suor Chiara: tocca agli adulti aiutarli a fare tesoro di questa esperienza

adolescenti

Mi chiamo Franca e ho un figlio di 16 anni. Dopo due anni di pandemia (abbiamo già iniziato il terzo) qualche giorno fa mi ha detto: “Non mi ricordo più com’era prima”. Durante il periodo peggiore della prima ondata e della didattica a distanza ha incominciato a interrompere i normali ritmi di sonno e di veglia restando spesso sveglio fino a tardi per parlare a distanza con i suoi amici. Ho pensato fosse normale voler in qualche modo “compensare” la solitudine e la distanza. Vedo però che ormai queste abitudini si stanno consolidando, e che si cronicizza una certa ansia rispetto alla vita, al futuro, con un po’ di disincanto e di distanza anche nei confronti della fede. Dopo aver interrotto la partecipazione alla Messa ora non ha più voglia di tornarci. Mi sento anch’io disorientata di fronte a questa situazione. Come possiamo trovare una strada che non tremi sotto i nostri passi attraversando tutte queste incertezze?

Cara Franca, sembra che il “nemico pandemico” ci stia finalmente abbandonando e si apra una stagione che lentamente ci porta alla “normalità”. Le conseguenze di questa tempo per noi unico, però, non ci lasceranno facilmente. Dovremmo abitarlo nella pazienza e guardare i disagi, le fragilità e le ferite, e in particolare, quelle che hanno segnato gli adolescenti e i giovani.

Noi adulti dovremo imparare a saper leggere con sapienza questa esperienza perché non passi invano e, ritornati a una certa normalità, fare memoria della sofferenza vissuta.

Quando si solleverà la coltre di ansia e di paura, di rassegnazione e di rabbia, dovremmo essere come il contadino che, sul finire dell’inverno, apre lo scrigno che contiene i semi gelosamente custoditi per la semina di primavera.

Aiutarsi reciprocamente a stare nella vita con realismo

Credo che per aiutarci reciprocamente a stare nella vita con realismo, ma anche con speranza, e aiutare i nostri adolescenti e giovani, dobbiamo seminare con urgenza stili di vita nuovi.

Forse la fatica dei ragazzi è anche la nostra fatica: il non senso e la loro perdita di speranza e di resistenza, sono anche i nostri; quando anche noi siamo ansiosi, agitati o spaventati, anche loro provano gli stessi sentimenti.

La cura e l’aiuto che possiamo offrire umilmente, siamo noi, con tutto ciò che siamo, per come ci poniamo, per come reagiamo di fronte alle sfide che la vita ci presenta. I nostri ragazzi hanno bisogno di modelli che danno sicurezza e che, pur nella fatica, non disdegnano di abitare la complessità; adulti cercatori di senso e che credono nella promessa di bene inscritta nell’ esistenza.

Rileggere insieme la forzata permanenza in casa

Rileggere insieme la forzata permanenza in casa e il perdurare di quei comportamenti virtuosi che siamo invitati a vivere ogni giorno, può diventare l’occasione per scoprire cose nascoste e nel dialogo ritrovare i legami, riscoprire la bellezza della vita familiare, dare nome ai passaggi faticosi, alle probabili difficoltà della convivenza, ma anche alla forza derivata dallo stare insieme.

Dare spazio all’ascolto, alla rielaborazione del vissuto discutendo con loro il vostro punto di vista e aiutarli a distinguere le opinioni dai fatti concreti.

Incoraggiare, essere positivi senza illudere sul futuro che ancora non conosciamo, ma saper guardare alle possibilità che la vita riserva: riagganciare rapporti con i compagni di scuola o con gli amici, promuovere esperienze socializzanti, ricreative o sportive.

Uscire dall’isolamento, ritrovare la comunità

Tutto questo può essere un cammino all’interno della famiglia, ma non è sufficiente. Occorre aprirsi, uscire dall’isolamento, sottrarsi al “regime di appartamento” e tessere relazioni buone con la comunità, nella comunità.

Una grande responsabilità e una grande risorsa, possono essere le comunità parrocchiali, riferimenti necessari per le famiglie in questo tempo post-pandemico.

Esse possono diventare sempre più luoghi di vicinanza, di incontro e di scambio di esperienze, di una solidarietà costruita a partire dai piccoli gesti di attenzione, di cura, di ascolto reciproco, di fatiche portate insieme senza alcun giudizio o discriminazione.

Luoghi di presenza accanto alle famiglie, per confrontarsi e condividere, in cui imparare ad affidarsi al Signore, a vivere la vita cristiana, per essere fedeli alle proprie scelte, nella dedizione incondizionata agli altri.

Siamo più fragili e disorientati, ma ognuno importante e necessario

Come papa Francesco ci ha detto: “La pandemia dovrebbe aver insegnato che siamo tutti sulla stessa barca, tutti più fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto proprio. (…). Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza”. Dentro questa fiducia, ti assicuro il mio e nostro ricordo nella preghiera.