Dalle crepes di Papa Gelasio alla polenta di Giovanni XXIII. A cena con i papi, viaggio nel gusto e nella storia della Chiesa

Il Vaticano era una corte e anche il cibo rappresentava un modo per esprimere sfoggio e potere. Fiorenza Cilli ha raccolto “Storie e ricette dalle cucine dei pontefici”, come recita il sottotitolo del testo, con un viaggio nel gusto e nella storia della Chiesa nel volume“A cena con i papi” (Olmata 2021, pp. 160, 15,00 euro). L’autrice racconta come si è evoluta nei secoli la mensa papale, precisando che per lungo tempo si è passati dal vino leggero e frizzante per Gregorio VII, alle crepes, la cui creazione è stata attribuita a Papa Gelasio (qui la ricetta), dalla passione per la cacciagione di Leone X, passando per la polenta di Giovanni XXIII, cibo povero dei contadini del nord, fino ai sobri pasti di Papa Francesco consumati in compagnia presso la mensa della residenza di Santa Marta. 

Per la gioia e il gusto del lettore più curioso, una galleria di piatti e relative ricette, che rivelano la personalità di ciascun pontefice preso in esame. 

Abbiamo intervistato Fiorenza Cilli, studiosa dell’arte romana, esperta di arte e design, cultrice di una cucina di tradizione ripensata con creatività, che ci ha condotto alla scoperta dei migliori “bocconi del prete”.  

  • Il primo papa, l’apostolo Pietro, era un umile pescatore della Galilea. Possiamo ipotizzare come fossero i suoi pranzi o le sue cene a Roma? 

«Non si sa con precisione quando Pietro sia arrivato a Roma, le fonti su questo punto sono discordi comunque, sia che sia giunto sotto Claudio o sotto Nerone, vi ha vissuto più anni durante i quali si sarà abituato ai modi di cibarsi dei cittadini della capitale. Poiché della sua alimentazione non conosciamo nulla dobbiamo pensare che mangiasse quello che mangiavano i romani, magari prediligendo il pesce, già elemento base della sua dieta quando era in Galilea. I mercati dell’Urbe d’altra parte offrivano molto: carni, pesci, verdure e salse come il garum, la più nota, o il defrutum, mosto cotto. Vino e olio di diverse provenienze non mancavano. Uno sguardo sulla mensa dell’apostolo tiene conto anche di questo».

  • Numerose furono le feste e i banchetti che si tennero a Roma durante il pontificato di Rodrigo Borgia, ovvero Alessandro VI, che durò undici anni fino alla sua morte il 18 agosto del 1503. Sembra però che la gola non fosse tra i tanti peccati, quali l’avarizia e la superbia, attribuiti ad Alessandro. Ce ne vuole parlare? 

«Sembra che Alessandro VI, nonostante l’aspetto un po’ pingue che ci restituiscono i suoi ritratti, mangiasse poco. I suoi pasti erano per lo più composti da una sola pietanza, forse amava consumare qualche confetto o qualche castagna dolce ma il cibo non era importante per lui. È stato un papa molto criticato a cominciare dai contemporanei come Savonarola. I suoi non celati amori,  la sua politica espansiva a danno di altri stati, la spregiudicatezza di suo figlio Cesare gli hanno procurato già in vita l’inimicizia di molti. Così anche la sobrietà nel cibarsi diventa avarizia e il volere una mensa esteticamente raffinata, superbia».

  • Come era la tavola dell’ultimo Papa Re, Pio IX (1846-1878), Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792-1878)? 

«La tavola di Pio IX era già in realtà “moderna”, simile a quella dei nostri nonni. Un mangiare semplice ma anche appetitoso. Papa Mastai non era uomo dai gusti sofisticati, si racconta che in un pomeriggio afoso abbia rifiutato l’offerta di dolciumi e sorbetti per farsi da solo una spremuta di arancia. Tra le varie pietanze prediligeva il baccalà cucinato in vari modi. E poiché amava passeggiare per Roma, parlare con la gente, visitare studi di artisti e scavi archeologici, gli accadeva spesso di trovarsi ancora a passeggio all’ora di pranzo, bussava così alla porta di qualche convento annunciando che vi si sarebbe fermato a mangiare. Per fortuna, al di là della sorpresa e dell’immediato scompiglio creato fra i monaci, si accontentava di quello che il convento offriva».    

  • Un uomo dalle molte vite Karol Wojtyla, dalla personalità complessa e dai molti interessi. Fra questi non rientrava, a sentire diverse fonti, quello per il cibo. Era veramente tanto semplice e frugale l’alimentazione di San Giovanni Paolo II? 

«Karol Wojtila era uno sportivo, lo abbiamo visto sciare nei primi tempi del suo pontificato e anche giocare a tennis o fare alpinismo. Da ragazzo aveva praticato il calcio soprattutto come portiere. Ma era stato anche attore e regista, è noto il suo amore per il teatro. Molti interessi dunque ma non quello per il cibo. La sua alimentazione era semplice quasi monotona: colazione con tè e panini al burro, pranzo e cena molto semplici e ancora qualche tazza di tè. Unica golosità per lui  i piccoli dolci polacchi, Kremowka, ma forse era più il sapore della sua giovinezza a Wadowice che non quello della crema a farglieli amare». 

  • Qual è il piatto preferito dal sommo pontefice emerito, Benedetto XVI? 

«Si dice che Benedetto XVI ami i dolci, in particolare la “Foresta Nera”, magnifica torta nata in Germania. Nel libro c’è però anche una ricetta di un dolce semplicissimo e assai gustoso: il Kaisermarnn, sorta di omelette con uvetta servita con confettura di mirtilli rossi, assai diffusa in Austria e in Tirolo. Il papa emerito ha vissuto da ragazzo in una località poco distante da Salisburgo, sicuramente  avrà apprezzato questo piatto». 

  • Cosa mangia Papa Francesco ed è vero che è un discreto cuoco? 

«Papa Francesco ama un mangiare semplice e sano, ricco di frutta e verdure fresche assolutamente di stagione. Quando era a Buenos Aires sembra  cucinasse lui stesso i suoi pasti: la sua specialità, i calamari ripieni. Ora invece pranza alla mensa dell’Albergo Santa Marta, dove vive, una scelta questa dai molti significati. Amerebbe però andare qualche volta in pizzeria ma non è cosa facile da farsi per un Papa».

  • Alcuni papi hanno preferito cibi poveri nel rispetto della vocazione, altri hanno adottato menù decisamente pregiati. Capire le loro preferenze culinarie è anche un modo per capire l’indirizzo che hanno dato al loro pontificato?  

«Epoche storiche diverse manifestano la loro differenza anche nelle cose meno importanti, quotidiane. Il cibo è una di queste. Al di là di eventi condizionanti come guerre o carestie, certamente la scelta di alimentarsi solo del necessario, di privarsi non del troppo ma dell’appena superfluo, è un segno preciso di come si intende la missione papale. Si pensi a San Gregorio e al suo provvedere a nutrire i poveri, i malati, gli emarginati anche usando i propri beni personali. Essere dalla parte dei poveri dar loro il cibo necessario, è messaggio spirituale, esempio di vita cristiana e anche atteggiamento politico. 

Una corte rinascimentale, dunque anche quella papale, mostra invece la sua ricchezza e quindi la sua potenza con banchetti sontuosi. In questo caso il papato è vissuto in modo diverso, ma pure il contesto europeo entro il quale il Pontefice deve muoversi è differente.  Si allestiscono allora, magari in onore di principi o ambasciatori stranieri, convivi ricchi di portate presentate in modo scenografico, in sale addobbate con tessuti preziosi e trionfi di fiori e frutti, rallegrati da musici e anche dall’abilità degli scalchi nel tagliare le carni. Il Papa poi può anche nutrirsi di poco, perché la continenza rimane messaggio e valore. 

Nei tempi moderni tutto cambia, il pontefice è una guida spirituale, il cibo non ha alcuna importanza se non come monito alle nazioni più ricche, affinché abbiano a cuore le sorti dei tantissimi poveri che popolano paesi in cui fame e carestie sono dolorosissime realtà. Anche questa è politica».