Vilminore, don Angelo Scotti: “Noi preti viviamo la spiritualità delle briciole. Anche un sorriso aiuta a costruire comunità”

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Il tempo corre via veloce, compiti e responsabilità aumentano, per i preti oggi è importante, come spiega don Angelo Scotti, parroco di Vilminore “vivere la spiritualità delle briciole, saper vedere la presenza del Signore anche nelle piccole cose, consapevoli che anche un gesto di gentilezza e un sorriso aiutano a costruire una comunità fraterna”.

Com’è cambiata la figura del prete rispetto a vent’anni fa?

“Dobbiamo essere grati, innanzitutto, per il fatto che i preti esistono ancora, nonostante i cambiamenti in atto. Non è così scontato, ed è importante che costituiscano ancora una presenza significativa nelle parrocchie bergamasche. Certo ce ne sono sempre meno, mentre aumentano ruoli e compiti. Sono da tre anni parroco di Vilminore, dopo essere stato per altri dieci curato in un oratorio, a Torre Boldone. Qui ci sono circa mille e cinquecento abitanti suddivisi in tre parrocchie e otto comunità. Oggi noi preti rischiamo di essere dei grandi coordinatori ma poco presenti accanto alla gente. Abbiamo ancora una grossa rilevanza sociale, è importante già il fatto che ogni settimana riusciamo ancora a riunire le persone per la Messa, un rito che è anche occasione di socialità, aiuta a tenere unite le comunità in un mondo sempre più disgregato e individualista. Il nostro compito è annunciare la fede ma anche essere segno di comunione”. 

Le persone si rivolgono ancora al parroco per chiedere aiuto e consigli?

Oggi credo che il prete debba andare incontro alle persone cercandole lì dove si trovano più che aspettare che arrivino da lui. La carta vincente per noi penso sia proprio la nostra umanità. Diventiamo preti nel giorno dell’ordinazione, ma poi impariamo ad esserlo lungo il cammino della vita pregando, pensando, tenendo il Signore come punto di riferimento ma lasciandoci anche mettere in discussione. Ci vuole la capacità di non fossilizzarsi sulle idee, l’unica che dobbiamo tenere ferma è il Vangelo, le modalità sono da declinare in base al contesto in cui ci troviamo. Per svolgere i miei compiti spesso sono in auto, mi sembra di essere un prete volante che passa e talvolta fatica a lasciare un segno. Ho imparato a vivere della spiritualità delle briciole, a leggere la presenza del Signore anche nelle piccole cose. A volte bastano pochi minuti, un gesto di gentilezza, un sorriso, per contribuire a costruire una parrocchia fraterna e prossima”.

Viene ancora fatta ai preti la richiesta dei sacramenti?

“Le richieste che arrivano talvolta sono più legate alla tradizione che a una reale convinzione, ma per noi diventano sempre possibilità di offrire un dono. La questione della fede oggi è molto elastica, a noi è richiesto di curarne anche gli aspetti più umani. Una sfida importante è incontrare le nuove generazioni. Insegno a scuola e penso che questa sia una grande opportunità pastorale. Credo sia più importante puntare sulle relazioni, sugli incontri personali che sulle riunioni”. 

Il prete deve anche prendersi cura di strutture e ambienti.

“A Vilminore questo aspetto è impegnativo: ci sono otto chiese e altrettante case parrocchiali. Anche questo però aiuta a essere “di casa”. C’è poi la possibilità di allargare le responsabilità, di condividerle come in famiglia, perché la chiesa è la casa di tutti. In passato il prete era il motore e la gente lo seguiva, oggi dobbiamo anche farci ospitare e donare ciò che possiamo in contesti diversi”.

Come si sta trasformando la vita del prete? Capita di soffrire la solitudine?

“A volte la percepisco nelle relazioni tra preti. Ciò che chiediamo alle persone nella comunità dobbiamo saperlo fare prima tra di noi: se andiamo d’accordo, questo esempio è già la predica più bella. Conta molto lo stile di vita del prete, nei gesti di sobrietà, nelle scelte personali: non si può chiedere agli altri ciò che noi stessi non siamo disposti a fare. È importante anche saper valorizzare le proprie qualità originali: ci sono tanti tipi di prete, se ognuno si impegna al meglio di sé è più facile raggiungere tutti”.

Cosa è successo con la pandemia?

Fra i preti all’inizio c’è stato smarrimento. Tutte le nostre attività si sono bloccate. Poi però abbiamo cercato nuovi strumenti per essere vicini alla gente. Questo a mio parere ha fatto la differenza in un momento difficile: la gente ha avvertito lo sforzo, e alla fine ci siamo accorti che niente ferma il Vangelo. In futuro penso che dovremo coltivare una nuova prospettiva, fatta anche di essenzialità”.

La reputazione della Chiesa in generale è peggiorata. Come influisce questo sui preti?

“Anche per noi questo è un momento di conversione e di verifica. Dobbiamo avere la pazienza di ripensare al nostro ruolo, con il coraggio di compiere anche scelte forti. Gli scandali pesano e ne restiamo tutti feriti. Bisogna avere l’umiltà di ammettere i propri errori e chiedere scusa”.

Come gestire il rapporto di corresponsabilità con i laici?

“Ci vuole un reale spirito di collaborazione, saper fare squadra, non guardare soltanto il risultato ma i processi, condividere scelte e decisioni. La fede è fatta di relazioni, la nostra missione è all’interno delle comunità, accanto alle nuove generazioni, altrimenti rischiamo di parlare un linguaggio e un alfabeto che la gente non comprende più”.

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