Scoprire che cos’è la guerra negli occhi degli Ucraini. Uniti dal desiderio di pace

Ucraina
Bergamaschi e ucraini in piazza per la pace. Foto copyright Giovanni Diffidenti

Gli occhi lucidi degli ucraini che si sono ritrovati sabato nel piazzale della Stazione ci hanno portato un po’ più dentro la guerra. Gli sguardi persi dei bambini che sventolavano con disorientamento la bandiera dell’Ucraina erano molto simili a quelli che ci immaginiamo si possano ritrovare anche nei bunker delle città prese d’assalto in queste ore dai russi.

È stato un pomeriggio di lezione per tutti, erano oltre un migliaio e hanno permesso ai tanti bergamaschi presenti di capire un po’ più da vicino il terrore che può incutere una guerra in atto. Noi che la stiamo guardando dalla televisione, dai social, dagli smartphone, noi che stiamo spendendo vignette, meme, battute anche sulla guerra abbiamo toccato con mano cosa significa essere in guerra.

Gli sguardi di chi è in guerra sono diversi

Lo avevamo tastato un po’ con il Covid, con il lockdown e i migliaia di morti, ma in quella che aveva sembianze di una guerra, mancavano gli scoppi, i rumori degli aerei, le morti violente, mancava il vedere la propria casa sgretolarsi, ritrovarsi in mezzo ad una strada, mancava il non sentirsi sicuri nemmeno all’interno delle proprie mura.

Non c’è bisogno di fare classifiche sulla gravità delle tragedie, ma gli sguardi di chi è in guerra o di chi ha parenti che abitano in territori di guerra sono differenti. Nel piazzale della stazione si sono potuti vedere da vicino ed erano rigati da lacrime amare, disperate, dignitose, quasi arrese di tantissime donne che hanno lasciato la loro terra, i loro mariti, i loro figli per venire a “servire” , a prendersi cura di anziani e famiglie, per mandare soldi a loro e per mantenersi in vita in tutti questi anni.

Il dolore delle donne che abitano le nostre case

Il sindaco Giorgio Gori, in un discorso forte, accorato, deciso ha parlato di “donne che abitano le nostre case”. Un’immagine concreta e vera che ci ha messo una volta di più di fronte al fatto che la guerra è vicina, troppo vicina a noi. Anche in questo caso, non che le guerre lontane di cui si parla troppo poco siano meno importanti, ma evidentemente non bastano per sbatterci in faccia la realtà.

C’era bisogno di una guerra a poche migliaia di chilometri di distanza per capire come stiamo messi. E non c’è colore politico che tenga, schieramento che possa farci ragionare, motivazione economica che possa anche solo lontanamente giustificare ciò che sta accadendo: in piazza, tutti, gridavano semplicemente: “No alla guerra”.

La preghiera comune: un appello di speranza

Il tutto sotto le bandiere giallo-blu sventolanti e sotto a quelle della pace, immense, che tappezzavano l’area. La città si è fermata idealmente e concretamente per quelle due ore di manifestazione dove tutti erano ucraini, anzi: dove tutti erano uomini, abitanti dello stesso pianeta, figli di un unico Padre.

Don Vasyl Marchuk, riferimento religioso della comunità ucraina a Bergamo, ha pregato, ha recitato un Padre Nostro in ucraino e uno in italiano, come unico e ultimo appello di speranza. Forse il più vero, il più attuale, il più necessario, quello che non ci pone nemmeno davanti al dubbio che parole, opere e “omissioni” abbiano una bandierina e un colore politico.

Bergamo ha visto una guerra silenziosa nel 2020 e una la sta vivendo ora, riflessa negli occhi del vicino di casa o in quelli della badante del proprio papà o della propria mamma. Può bastare per migliorarci un po’?

Foto copyright Giovanni Diffidenti