Papa Francesco a Malta. “L’altro è una persona da accogliere. I naufragi non riguardano solo i profughi, ma anche noi”

“Porto con me il volto luminoso di Malta! Siete un tesoro nella Chiesa e per la Chiesa. Non dimenticate: la gioia della Chiesa è evangelizzare”. 

Si è appena concluso il 36° viaggio apostolico di Papa Francesco nell’isola di Malta, sulle orme dei predecessori e di San Paolo, che la tradizione vuole abbia abitato l’isola dopo il naufragio, mentre si recava a Roma. Una missione breve ma intensa quella del papa argentino in questo arcipelago situato nel cuore del Mediterraneo, sempre più cimitero dei migranti, senza mai dimenticare il “massacro insensato” che si sta compiendo nella “martoriata Ucraina”. Un viaggio altamente simbolico per ribadire il concetto che altri naufragi stanno minacciando l’umanità, non dobbiamo considerare il migrante come una minaccia, non cedere alla tentazione di innalzare ponti levatoi ed erigere muri, perché “l’altro non è un virus da cui difendersi, ma una persona da accogliere”.

L’incontro di preghiera presso il Santuario Nazionale di “Ta’ Pinu” nell’isola di Gozo, l’incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù, nella Nunziatura di Rabat, la visita nella Grotta di San Paolo presso la basilica che porta lo stesso nome, la Messa presso il Piazzale dei Granai a Floriana e l’incontro di Papa Francesco con un gruppo di rifugiati presso il Centro per Migranti “Giovanni XXIII Peace Lab” ad Hal Far. Sono stati i momenti salienti del viaggio apostolico di Bergoglio a Malta, del quale è stato testimone privilegiato Enzo Romeo, giornalista “storico” vaticanista del Tg2, da noi intervistato, il quale dal 2013 segue Papa Francesco in tutti i suoi viaggi in Italia e all’estero.

  • “Sì, è sul tavolo”, così Papa Francesco sul volo verso Malta ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano se aveva preso in considerazione l’invito ad andare a Kiev. Riuscirebbe questo storico viaggio a fermare la mano di “quel potente che provoca e fomenta conflitti”? 

«Chissà? Di sicuro sarebbe un segnale potente a favore della pace. Ma ci sono equilibri delicati di cui il papa e la Santa Sede non possono non tener conto. Andare a Kiev significherebbe spezzare il dialogo con la Chiesa ortodossa russa, importantissimo in chiave ecumenica. Perciò mentre Francesco non dice no all’ipotesi di una sua missione in Ucraina, allo stesso tempo ricorda che si sta lavorando a un suo nuovo incontro con il patriarca di Mosca Kirill. Secondo quanto rivelato dallo stesso pontefice, questo faccia a faccia potrebbe svolgersi in un paese del Medio Oriente».

  • Dal cuore del Mediterraneo Bergoglio non ha dimenticato la tragedia che si sta consumando in Europa, ribadendo la sua riprovazione con parole forti nei confronti di questa “guerra sacrilega”? 

«Quello a Malta era il primo viaggio internazionale del papa dall’inizio della guerra in Ucraina. È evidente che un tale dramma non poteva essere taciuto né messo in secondo piano. Francesco ne ha parlato fin dal suo primo discorso presso il palazzo presidenziale. I suoi giudizi verso la guerra e chi la fomenta sono durissimi. Ormai ha consumato tutti gli aggettivi».

  • Papa Francesco a Malta, un viaggio nel segno dell’accoglienza e della tutela della dignità umana dei migranti?

«Malta è sulle rotte di chi tenta di giungere in Europa dall’Africa, spesso perché fugge da conflitti armati e miseria. Sappiamo quanto il tema della migrazione stia a cuore a Bergoglio. In questo viaggio lo ha incrociato con la questione dei profughi ucraini. Nella speranza che il sussulto di solidarietà provocato dalla guerra si estenda a tutti coloro che chiedono accoglienza, da qualunque parte provengano».

  • Nei discorsi e negli incontri di questi due giorni a Malta sono stati protagonisti dei discorsi di Papa Francesco i grandi temi della pace e della fratellanza. Ce ne vuole parlare?

«Per il cristiano pace e fratellanza sono frutti di una fede che si radica nel Vangelo. Ecco perché gli appelli a deporre le armi pronunciati dal papa non si possono separare dai momenti di preghiera, come quello al santuario mariano di Gozo, luogo di grande devozione religiosa per i maltesi, dove Francesco ha riflettuto sul mistero della croce e della redenzione».

  • Qual è stato il momento più significativo del viaggio apostolico?

«Probabilmente quello con i migranti al centro d’accoglienza gestito dai francescani nei pressi dell’aeroporto. È stato l’ultimo appuntamento del papa prima del rientro a Roma. Francesco ha ascoltato le storie di chi ha messo in gioco la propria vita per tentare di costruirsi un futuro migliore. È stata una specie di Lampedusa numero 2. Nel Mediterraneo, ha ribadito, non può naufragare la nostra civiltà. A proposito di naufragi, intensa anche la visita alla Grotta di San Paolo, a Rabat, dove l’Apostolo delle genti trovò riparo dopo la disavventura in mare, durate il viaggio che lo conduceva a Roma nel 60 dopo Cristo. Allora i maltesi furono molto ospitali nei confronti di quello “straniero”, che donò loro il prezioso dono della fede. Un esempio per l’oggi».

  • Nel viaggio di ritorno quali sono stati gli argomenti più importanti trattati nella ormai consueta “conferenza stampa” sull’aereo?

«Naturalmente il tema centrale è stata la guerra in Ucraina con le notizie su un possibile “blitz” papale a Kiev. Ma si è parlato anche della questione migratoria. Inoltre è stato chiesto al papa dei suoi problemi di salute al ginocchio, che lo hanno costretto a usare l’elevatore per salire e scendere dall’aereo. “La mia salute è un po’ capricciosa ma va migliorando e mi consente di andare”, ha detto. Andare è un verbo che rimarrà attuale nei prossimi mesi. C’è in vista una delicata missione del papa in Congo e Sud Sudan, altri due paesi minacciati da quella “guerra mondiale a pezzi” tante volte da lui denunciata».