Nati e Simo. Custodire il senso buono della vita. Storie di (stra)ordinaria cura e resistenza all’oratorio

CRE a Venezia

Intro

Scorro le foto nella memoria del cellulare. Riguardandole ripenso al rapporto che ho creato con questi ragazzi in pochissimo tempo. Forse perché li ho visti tanto in queste giornate, li ho vissuti”. 

Natascia Recanati

Quando siamo partiti con il percorso erano dei ragazzini. Poi pian piano crescono loro e cresci un po’ anche tu insieme a loro”. 

Simona Moretti

E fu così che due giovani impararono insieme agli adolescenti l’arte di dare credito a ciò che conta veramente.


La storia inizia con una torta e finisce con una vacanza

Questa è una storia che inizia con una torta e finisce con una vacanza al mare. Le due protagoniste sono l’energica Natascia, classe 1993, educatrice presso una scuola dell’Infanzia e la pacata Simona, poco più che trentenne, neo-sposa, operatrice presso un asilo nido.

Entrambe con esperienza scout e con una lunga militanza nelle attività dell’oratorio, entrambe investite di un ruolo di primordine nella cura degli adolescenti durante la prima ondata della pandemia, nel 2020.

Tutto inizia con una torta. Simona si era preoccupata di inviare la lista degli ingredienti tramite un messaggio sul cellulare del gruppo adolescenti con qualche giorno di anticipo. Il suo team di improvvisati pasticceri era quello dei diciottenni di quell’anno, i “2002”: Simona ha accompagnato il loro percorso di crescita dalla terza media per tutto l’arco delle scuole superiori ottenendo un clima di grande affiatamento.

Farina, uova, ricotta, zucchero e molto altro erano sul tavolo della cucina di ogni adolescente connesso agli altri tramite la telecamera del tablet o del computer portatile.

Il rischio di incollare con l’impasto del dolce i tasti tra loro era il prezzo da pagare per vincere la solitudine, almeno per una sera. Era la fine di marzo dell’anno terribile nel quale la pandemia da Covid19 ha travolto le vite di tutti costringendo a reinventarsi il proprio stile di vita.

Nelle case dei ragazzi impegnati a realizzare la sbrisolona ricotta e cioccolato non stava andando tutto bene: qualcuno soffriva moltissimo per la distanza dagli amici, un papà era ricoverato in terapia intensiva, si temeva per la sorte di qualche parente stretto. Il dolce non serviva solo per stimolare il palato ma era la materializzazione di una speranza: essere di nuovo insieme, sentirsi liberi di essere leggeri, gustare la condivisione.

Torta sbrisolona

“E siamo sicuri che tagliando una fetta di questa bontà per i più piccoli cederete anche voi alla tentazione di prenderne un pezzo! Non sentitevi assolutamente in colpa perché possiamo capirvi: la sbriciolata alla Nutella fa davvero gola a tutti.”

Giallo Zafferano, Sbriciolata alla Nutella

L’episodio curioso del laboratorio di pasticceria che presto avrebbe assunto il nome simpatico “In cucina con Simona” è solo uno dei momenti di un percorso articolato che ha permesso alla catechista-educatrice di far risuonare il messaggio evangelico nella vita dei ragazzi semplicemente invitandoli a leggere con saggezza la ricchezza della vita quotidiana.

Ecco perché è stato semplice qualche venerdì sera dopo aderire al progetto “Liberi Pensieri”. L’obiettivo di questa nuova iniziativa era di stimolare le persone della comunità, senza limiti di età o qualsiasi altro genere, a rielaborare il vissuto di quelle settimane uniche. In alto, la locandina riportava una domanda decisiva: “Cosa abbiamo imparato?”.

E la risposta dei ragazzi non si è fatta attendere. Simona ha dedicato una sera intera a selezionare le tematiche e gli interrogativi più efficaci: Qual è la prima cosa che farai dopo la quarantena? Come immagini il mondo dopo la pandemia? Cosa ti manca maggiormente? Come cambieranno i rapporti con le persone? Cosa racconterai ai tuoi nipoti? 

La provocazione veniva lanciata con una pallina di carta da un ragazzo all’altro. Si prendeva da destra e si rilanciava a sinistra così da creare una continuità tra gli interventi, anche attraverso il gesto ripreso dall’immancabile telecamera.

Così Filippo ha potuto riflettere sulla fragilità e sulla fine delle etichette e delle apparenze; Francesco ha raccontato del suo rapporto con la natura. Gaia ha rielaborato il suo vissuto scolastico e l’uso del tempo. Paola si è misurata con il tema della solitudine e del bisogno di sostenersi reciprocamente. Andrea ha condiviso il disagio di fronte alla questione della morte.

Alice si è concentrata sul valore delle buone abitudini. Davide ha ricostruito l’albero delle relazioni da ricomporre una volta riconquistata la libertà. Luca ha ragionato del paragone tra pandemia e guerra. Sebastiano con molta sincerità ha elencato le piccole conquiste in ambito economia domestica ottenute nelle interminabili settimane di cattività.

Lo slogan del progetto invitava a passare “dall’emergenza alla sapienza” e il gruppo di Simona ha accettato la sfida, non solo riempiendo di parole un video destinato a YouTube.

Il video: Coronavirus: cosa sto imparando? Liberi pensieri #1

Gli stessi ragazzi, insieme a molti altri coetanei, nelle stesse settimane si sono resi protagonisti di alcuni episodi particolarmente illuminanti. Natascia aveva dato disponibilità per coordinare i progetti di volontariato con gli adolescenti. Le azioni possibili sul territorio erano pochissime: vigeva il divieto di spostamento, non si poteva entrare nelle case di altri, era necessario mantenere rigorosamente le distanze.

Ma era anche utile recapitare materiali informativi nelle case, mascherine, e altri piccoli doni. Anche in questo caso la tecnologia ha messo in collegamento persone e generazioni: Natascia ha creato un gruppo WhatsApp dal nome emblematico: “Resistenza al virus” che presto si è popolato di nomi.

I ragazzi che alcuni ancora definiscono “gli sdraiati” armati di guanti in lattice e mappe con le vie del paese hanno iniziato il loro servizio: un piccolo gesto ma carico di valore simbolico. La comunità chiama, i giovani rispondono. 

Volontariato

Natascia aveva predisposto turni, scatoloni con il materiale da distribuire, indicazioni operative. Affidava a ciascuno una mansione precisa e si accertava dell’esito delle operazioni.

Di quei giorni ricorda la precisione degli adolescenti, il loro senso di responsabilità: “Sono arrivati un po’ spaesati, poi hanno capito che era una cosa seria”.

Dopo aver coordinato questa esperienza apprezzata da tutti in paese, soprattutto per il buon esempio che trasmetteva, Natascia era diventata un riferimento per i ragazzi.

Il suo sorriso unito ad una grinta travolgente sarebbero diventati i simboli dell’estate ormai alle porte. Ci si sarebbe potuti dimenticare di questi ragazzi nel tempo delle vacanze? Certamente no!

Così Nati ha guidato una squadra di educatori che per sei settimane ha predisposto laboratori di ogni genere: fotografia, atletica, danza, escursionismo… È la stessa Natascia a ricostruire quelle giornate: “Abbiamo riempito l’estate, non li abbiamo lasciati soli. Non è stato facile per la gran quantità di regole da rispettare ma la voglia di uscire di casa era tanta: è stata un’esperienza bellissima!”. 

Mare 2020

“Voglio l’aria di mare, il sole sulla faccia
tornerò a cantare sotto il suo balcone quando lei si affaccia
Questa notte finisce che facciamo tardi e torniamo a casa a piedi
Tu abbracciami forte per tutte le volte che non hai potuto, ieri
Voglia di ballare un reggae in spiaggia 
Voglia di averti qui tra le mie braccia in una piazza piena 
per fare tutto quello che non si poteva”

da KARAOKE di Boomdabash, Alessandra Amoroso – La colonna sonora dell’estate 2020

Iniziative diurne, momenti di servizio persi i bambini del Centro Estivo, attività sul territorio e animazioni serali non potevano che sfociare in una bella e inattesa sorpresa: un fine settimana al mare. La gita della domenica con gli amici in condizioni di normalità è scontata, perfino banale. In una stagione di privazioni e vincoli era sembrata un’esperienza eroica. La bellezza delle Cinque Terre sfigurava davanti all’intensità del calore umano che si era generato in quel gruppo.


Commento: la vita è più libera di qualsiasi stereotipo

Gli adolescenti sono imprevedibili e sfuggenti, testardi e scontrosi, egocentrici e distruttivi. Si dice così. Ma la vita è più ricca di ogni definizione e più libera di qualsiasi stereotipo. 

C’è una stagione nella vita che sprigiona energie più di una centrale nucleare. Sono forze travolgenti impossibili da contenere e da regolare, difficili da comprendere e sorprendenti nella loro creatività.

Questo momento è esattamente l’adolescenza. E per un educatore non c’è viaggio più affascinante e complicato al tempo stesso se non quello di muovere passi insieme a ragazzi e ragazze impegnati a montare e smontare continuamente i mattoncini che compongono l’esistenza.

Stare con i giovani nella fase più intensa del loro cambiamento richiede grande elasticità, paziente ascolto, determinazione e disponibilità a essere sconfitti.

La qualità migliore di un buon educatore resta la capacità di lasciarsi meravigliare dal bene quando si manifesta. Questa apertura al mondo e alla vita è forse la vera ricchezza anche della Chiesa, chiamata a stare vicina alla vita degli uomini.

È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta.

Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes n. 44

La cura: essere presenti, avere una relazione non occasionale

Chi vive a stretto contatto con gli adolescenti sa perfettamente che il loro giudizio verso l’adulto è impietoso. Il loro tribunale interiore non cede a compromessi quando si parla di cura.

Lo sguardo di un ragazzo o di una ragazza sembra chiedere continuamente “Sei disposto a volermi bene?”, “Sei capace di amare?”.

Essere presenti, avere una relazione non sfuggente e occasionale, darsi il tempo di costruire fiducia e sinergia, imparare un linguaggio comune e avere parole e ritualità figlie di una comune appartenenza, come se si fosse parte della stessa tribù, sono passi imprescindibili per attivare una relazione autentica.

Formalità, freddezza, opportunismo, estraneità fanno invece alzare le difese nei ragazzi. I loro radar captano le vere intenzioni degli adulti e sono estremamente raffinati.

Solo chi si sente oggetto di cura riesce a mettersi in gioco nei confronti dell’altro con sincera carità. 

Che volto mostra la Chiesa a questa generazione? Il giudizio spesso pesantemente negativo che gli adolescenti esprimono nei suoi riguardi non dovrebbe indurre le comunità ecclesiali a essere più libere di immergersi nel mondo e a entrare in sintonia con il vissuto reale di uomini e donne in forme molto prosaiche?

La comunità: senza amici nessuno si sente al sicuro

Restare soli terrorizza. Senza un gruppo identitario, un amico intimo, un confidente di fiducia nessun adolescente si sente al sicuro. Frequentemente le relazioni tra loro sono eccessive, inadeguate, confuse eppure non è possibile farne a meno.

C’è bisogno di fare comunità. I discepoli di Gesù non possono che sentirsi in profonda sintonia con questo popolo affamato di incontri, conoscenze e relazioni. Che opportunità incredibile per l’annuncio del Vangelo l’esperienza dell’amicizia! 

Ogni buon educatore avverte la necessità di collocare la sua proposta in un contesto umanamente ricco.

L’insegnante più competente in una disciplina non ha nessuna chance se il gruppo di studenti ai quali si approccia non avverte la positività delle persone attorno a sé.

Così deve essere l’esperienza della Chiesa: prima di confezionare ottimi percorsi formativi è necessario stendere tappeti di buone relazioni. 

Il futuro: è interessante solo chi si impegna a immaginarlo

Gli adolescenti vivono questa condizione: si affacciando alla vita con il desiderio di volare lontano e senza essere coscienti di avere o meno un paracadute sulle spalle.

La preoccupazione di guardare in avanti è così forte da rendere il passato un peso inutile, una zavorra fastidiosa di cui liberarsi. Strutture, regole, protocolli appaiono agli occhi dei più giovani una gabbia opprimente dalla quale evadere il prima possibile.

Le forme estreme sono degenerazioni, ma hanno sempre un cuore di verità: è credibile solo ciò che guarda al domani, è interessante solo chi desidera il futuro e si impegna ad immaginarlo. Solo chi ha un sogno, un orizzonte, un obiettivo più o meno nobile investe su di sé e coinvolge gli altri. Approcciare gli adolescenti da rassegnati è impossibile.

Eppure, quanto passato nelle istituzioni ecclesiastiche e che povertà di prospettive! Serve ritrovare il coraggio di sbilanciarsi, di rischiare, di buttarsi nel vuoto nella convinzione che il Regno di Dio è davanti a noi, non in una tramontata “età dell’oro”.