L’arcivescovo di Leopoli: “La violenza e l’ingiustizia possono spezzare vite, ma non spengono l’anima”

(L’intervista di monsignor Giulio Dellavite è stata pubblicata su L’Eco di Bergamo il 17 aprile 2022)

Eccellenza, lei prima di essere Arcivescovo di Leopoli-Lviv, quando ci siamo conosciuti in Santa Sede nel 2002, era segretario del Santo Giovanni Paolo II. Un Papa che ha scritto 14 Encicliche sulla carta e una sulla sua pelle: la sofferenza. Lei è stato testimone diretto di questo. Ora vive nelle terre slave – in cui sono le origini di questo Pontefice e sue – dentro una nuova via crucis di dolore.

Il Santo Giovanni Paolo II mi ha insegnato l’offerta di sé, il dono totale fino in fondo, fino all’estremo anche del dolore. Nella luce della risurrezione, davanti al mistero della passione, del dolore, della morte, dell’ingiustizia, come prima cosa voglio allora dire grazie per i doni.

Innanzitutto il dono che nella comunione che stiamo vivendo come offerta al Signore di questa croce, della nostra passione, della nostra sofferenza, del nostro dolore.

Una comunione che sento forte con il Papa, con il vostro Vescovo Francesco, con tanti Vescovi che si fanno sentire vicini.

Voglio dire grazie poi per il sostegno con la preghiera, che sentiamo continua e forte, ma anche per l’aiuto con l’invio di beni che per noi sono essenziali.

Infine voglio ringraziare per la generosità e la premura nell’accoglienza dei profughi: è la mia gente che porto nel mio cuore e che ricordo ogni giorno al Signore sentendomi profondamente unito a loro.

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Crocifiggilo!” grida la folla. 

Bergamo è stata colpita in modo forte dal Covid, che ha mietuto tante vittime nelle nostre case, e noi abbiamo paragonato questo a una guerra, mai pensando che la violenza dell’uomo potesse fare peggio. Come sta vivendo questa Passione e questa Pasqua nel cuore della Ucraina messa in croce dai soldati come Gesù?

Nessuno si aspettava tanta violenza e tanta crudeltà. Stiamo vivendo in modo unico la passione di Cristo e la passione dell’uomo.

Abbiamo sulle spalle una croce pesante, attorno a noi c’è il Calvario macchiato del sangue della violenza crudele e ingiusta ma dentro di noi c’è la speranza della risurrezione e da qui viene la nostra forza di “stare” come Maria e come Giovanni sotto la croce e sotto le bombe, di stare accanto a chi soffre, a chi ha perso tutto, a chi è stato colpito.

Penso alla dignità nel dolore di tante persone sfollate che hanno perso tutto  e dei tanti profughi, sono soprattutto donne e bambini, che abbandonano tutto allontanandosi dagli uomini in guerra per dare ai figli una minima garanzia di futuro.

Il male in questa guerra assurda e pazza sta distruggendo vite, storie, case, città, strade, ma la nostra anima dentro resiste e non può essere vinta.

Noi sentiamo dentro di noi la forza del mistero della “risurrezione dei corpi”, perché la forza della fede, della speranza, dell’amore ci fa resistere, ci sostiene, ci dà forza, non ci fa arrendere, non ci fa disperare pur in mezzo all’angoscia più buia e atroce.

Allora anche il nostro corpo, il corpo delle nostre famiglie, le nostre case e le nostre città, la nostra nazione risorgerà in Gesù, ne siamo sicuri.

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Costrinsero Simone di Cirene a portare la croce di Gesù 

Il grido del Santo Papa Giovanni Paolo II “aprite, anzi spalancate le porte a Cristo” oggi può essere un’eco al messaggio della “pacem in terris” del suo predecessore bergamasco il Santo Papa Giovanni XXIII. Da Vescovo sotto le bombe sente di essere custode di questo testimone di santità come un Cireneo sotto questa croce?

Il mio impegno di Pastore è aiutare a portare la croce dei miei fedeli, del mio popolo, dei miei concittadini.

Però non lo faccio perché sono costretto come il Cireneo, ma perché lo sento come mia missione. E aiutare a portare la croce per noi è aprire le porte: ho aperto le porte dell’episcopio  all’accoglienza, ho  aperto le porte per gli aiuti a chi soffre di tutte le istituzioni diocesane, del seminario, della conferenza episcopale.

La Chiesa poi ha aperto  le porte della paura e dell’angoscia nella vicinanza dei preti alle persone fuggite , nascoste, ferite, rifugiate, chiuse nei bunker nella paura dei bombardamenti.

È anche il sostegno al nostro Presidente, ai governanti, a chi deve prendere decisioni, sollecitando riflessioni per aprire spazi di dialogo con gli avversari anche se sembra spesso impossibile capirne le intenzioni. Comunque, ogni piccolo gesto di sostegno, di aiuto, di bene da parte di chiunque è contribuire alla Pacem in terris. 

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Donna ecco tuo figlio” 

Immaginiamo che tante donne ucraine – con i mariti e i figli al fronte – si rivolgano per cercare conforto. Quali parole per donare loro un po’ di sollievo?  

A tutte le donne, soprattutto a quelle lontane, vorrei dire: “I vostri uomini sono eroi! Ricordatevelo sempre! Il loro sacrificio è per il bene della Patria, per il bene comune, per il bene di ciascuno! Non è vano! Il loro sangue e la loro vita è come il seme gettato nella terra che porterà frutto, come promette il Vangelo”.

Loro stanno combattendo per il nostro e vostro bene e per il futuro della nostra nazione e delle vostre famiglie. Il loro sacrificio è sacro. Come il sacrificio di tante donne lontane da qui e dai loro uomini è per la custodia dei piccoli e quindi del futuro del nostro paese. 

Il vostro amore, anche tra le lacrime più amare e ingiuste, è la loro forza. È difficile da capire e molto di più da vivere. Ma la violenza e l’ingiustizia possono spezzare vite e distruggere case e città, ma non possono spegnere l’anima, non possono togliere quel valore che abbiamo dentro che niente e nessuno ci può portare via. 

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I soldati si facevano beffe di lui, ma il Centurione vistolo spirare disse: “veramente quest’uomo era un giusto”.

Che cosa vorrebbe dire ai soldati russi, che stanno combattendo una guerra ingiusta?

Ai soldati dico: Non uccidere! È il comandamento di Dio! È il fondamento della pace. Questo non significa arrendersi o non usare la legittima difesa.

È qualcosa di più profondo. È non lasciare che la guerra uccida la coscienza cadendo in atti di violenza ingiustificata o in gesti disumani. Non uccidere è pensare quanto e come poter essere strumenti di aiuto e di soccorso sul fronte per i civili e i militari che si incontrano feriti o bisognosi, anche se nemici.

È infine cercare di ragionare con i propri comandanti se si pensa che certi ordini di attacco non siano giusti o possano avere margini di minore violenza. Lo dico anche ai soldati nemici, che si trovano in questa realtà senza loro volere. Ogni difesa è difesa della vita, in tutte le sue forme, anche quando si è costretti ad avere le armi in mano.

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Giuseppe dArimatea prese il corpo di Gesù e lo avvolse in un candido lenzuolo

Possiamo solo immaginare lo strazio di fronte ai corpi insepolti lasciati lungo le strade o gettati nelle fosse comuni. Come rispondere a tanto orrore?

Da Vescovo continuo a insistere sulla necessità di seppellire i morti come gesto di carità cristiana e di mettere una croce su queste tombe, che siano di militari o civili nostri ma anche dei soldati nemici.

È la difesa della dignità umana che la morte non può ferire, è la convinzione che tutti abbiamo per dono di Dio un’anima che rende uguali e fratelli. Non è solo un gesto buono.

È un gesto di amore a nome e al posto dei loro cari che sono lontani e che non li rivedranno più. Infine è soprattutto un gesto di speranza perché sappiamo che noi siamo più forti della morte.

Seppellire i morti ci riporta infine al dramma del genocidio: non è una conquista militare di territori, ma è una distruzione di vite, di famiglie, di un paese.

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Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso combattimento. Il Signore della vita era morto ma ora vivo trionfa.

La sofferenza di Cristo sul Golgota ha salvato l’umanità: Redemptor Hominis, fu la prima e programmatica enciclica di Giovanni Paolo II. Di fronte alla disumanità della guerra cosa vuole dire a noi bergamaschi? Quale è il suo augurio e il suo appello?

La risurrezione di Gesù, “Redemptor Hominis”, rende ciascuno nel suo piccolo un costruttore della “Pacem in terris”.

L’augurio è che la Pasqua ci aiuti a vincere ogni guerra interiore e vicina a noi, quelle piccole guerre che viviamo ogni giorno che poi si riflettono nella grande guerra terribile che sta distruggendo il mio Paese.

La pace costruita nel piccolo ha effetti sul grande. La richiesta è la comunione. Ringrazio il fratello Vescovo Francesco per la supplica fatta al Santo Papa Giovanni subito all’inizio della guerra e per le continue preghiere e i grandi aiuti della generosità dei bergamaschi.

Continuate a sostenerci. Continuate a pregare per noi. Continuate a chiedere l’intercessione del Santo Giovanni XXIII che fu grande uomo di pace, proprio con la Russia. E, alla fine della guerra, che speriamo presto, anche se qui non si vede vicino un termine, mi piacerebbe venire a Bergamo per unirvi a voi a ringraziare nella sua terra il Papa della Pacem in terris.

Giulio Dellavite