Il vescovo Francesco al convegno dei seminaristi: “La missione è dono”

«La missione è anzitutto un dono da accogliere, da cui discende il donare e il donarsi in modo dinamico nel contesto in cui si vive. Essendo dono, la missione si pone nella libertà dell’uomo e quindi non è una invasione nell’animo altrui, come qualcuno afferma».

È un passaggio della lectio magistralis del vescovo Francesco Beschi, giovedì mattina 28 aprile in Seminario, per il 65° convegno nazionale dei seminaristi sul tema «Vocazione: vivere per dono». Bergamo è stata scelta come sede perché sono in corso le celebrazioni del 60° della missione diocesana in Bolivia.

Presenti numerosi seminaristi e sacerdoti, fra cui don Massimo Rizzi, direttore del Centro missionario diocesano; don Giuseppe Pizzoli, direttore generale della Fondazione Missio; don Valerio Bersano, segretario nazionale delle Pontificie Opere Missionarie; il vescovo di Asti Marco Prastaro, in passato per tredici anni prete Fidei donum dell’arcidiocesi di Torino in Kenya.

Fidei Donum, testimoni di fede a servizio di Chiese lontane

Il vescovo — che in anni recenti è stato presidente Cei della Commissione Evangelizzazione dei popoli e della Fondazione Missio — ha esordito ricordando il suo primo viaggio missionario da giovane prete, quando nel 1982 visitò Ruanda e Burundi prima della immane tragedia del genocidio.

Un giorno era presente all’inaugurazione di un monastero di Clarisse in Ruanda. Qualcuno disse che sarebbe stato meglio costruire un ospedale. «Invece — ha ricordato il vescovo — un africano presente gli rispose: “Noi non siamo soltanto uno stomaco da riempire, anche noi abbiamo un’anima”. Sono parole che non ho ma dimenticato».

Monsignor Beschi ha affermato di aver conosciuto tante esperienze missionarie e anche nella diocesi di Bergamo non sono pochi i sacerdoti Fidei donum, cioè i preti diocesani inviati a servizio delle Chiese sorelle in Bolivia, Costa d’Avorio e Cuba. «Testimoniano in questi Paesi la fede che hanno ricevuto da noi e la restituiscono. Inoltre, nel mio pellegrinaggio pastorale, vedo sono ancora attivi i gruppi missionari».

Entrando nel vivo del tema del convegno, il vescovo ha ricordato il primo passo per parlare di missione. «È un dono da accogliere con meraviglia. È la scoperta che io sono un dono a me stesso, nella consapevolezza di una sorgente che mi precede. Ma anche l’altro è un dono, perché Dio dona l’alterità. Dono non è una parola dolce per dire la vita, ma è il criterio più pertinente per interpretarla. Poi c’è la grazia, che non è una formula magica, ma è dono stesso di Dio, nella consapevolezza che Cristo Risorto sempre ci precede. Possiamo parlare di donare, cioè il modo di fare, e donarsi, che è un modo di essere».

“Un dono da accogliere con meraviglia”

Il vescovo ha posto una domanda: qual è la ragione dell’impegno missionario oggi? Al riguardo ha citato sia l’«Evangelii gaudium» di Papa Francesco (La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari), sia la «Redemptoris missio» di Giovanni Paolo II (L’attività missionaria emerge dalla radicale novità di vita portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli). Ha poi citato la ragione missionaria di un passato non troppo lontano riprendendo le parole di Servilio Conti, per decenni vescovo missionario bergamasco della Consolata in Brasile, ormai molto anziano: per lui la missione era annunciare il Vangelo per non far finire le anime all’inferno. «Oggi la ragione missionaria è vista in modo diverso, perché sta nella radicale novità di vita introdotta da Cristo. La missione non è un’attività ecclesiale, ma è la natura stessa della Chiesa. Tutto questo va coniugato nei contesti in cui si opera e con il criterio della libertà».

Essere generativi anche di fronte al disinteresse e al rifiuto

Il dono presuppone la gratuità. «È una delle caratteristiche fondamentali — ha proseguito il vescovo —, anche se nella mentalità corrente è considerata impossibile. Gratuità non significa gratis, ma condividere disinteressatamente, gioiosamente e gratuitamente un dono ricevuto che diviene generatività, anche di fronte al disinteresse e al rifiuto».

L’annuncio del Vangelo necessita di una prassi. «È l’azione concreta profetica — ha sottolineato monsignor Beschi —, cioè elaborare il Vangelo nella realtà, facendo i conti con la cultura dello scarto, come ripete Papa Francesco, e con i nuovi dogmi di natura finanziaria, sociale ed economica che sembrano più inossidabili dei dogmi cattolici. Prassi nella profezia significa attenzione all’altro non soltanto nelle cose materiali, ma solidarietà relazionalità, offrendo la sapienza del Vangelo».

Il vescovo ha infine citato Papa Giovanni, figlio della terra bergamasca, che da giovane prete, dal 1921 al 1925, fu impegnato a Roma nell’ambito della Propagazione della fede. «Un impegno — ha detto monsignor Beschi — che per lui fu un respiro che lo aprì a grandi orizzonti, fino all’indizione del Concilio Vaticano II, che con la “Ad gentes” afferma che la Chiesa è per sua natura missionaria».