Quale arte sacra oggi? Padre Dall’Asta: “Non è facile rileggerla secondo le categorie del nostro tempo”

Di La Bazz2016 - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48665089

“Quale arte sacra oggi?” è il tema del convegno che si svolgerà il 6 e 7 maggio, dalle 9 alle 18,30 presso l’Aula Magna della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli. 

Il convegno promosso dalla Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia di Napoli, in collaborazione con la Fondazione Culturale San Fedele di Milano e con il patrocinio della Fondazione Posillipo, vuole essere occasione di confronto sul futuro dell’arte sacra, in una stretta relazione tra la liturgia e le varie modalità con le quali la società interpreta ed elabora uno dei temi centrali della contemporaneità, cioè l’immagine. 

Tra i vari interventi di critici d’arte, filosofi, liturgisti, artisti ed esperti del settore previsti, vi sarà anche quello di Padre Andrea Dall’Asta, gesuita, il quale dal 2002 dirige la Galleria San Fedele di Milano e dal 2008 la Raccolta Lercaro di Bologna. Nel 2014 nella cinquecentesca chiesa dei Gesuiti ha fondato a Milano il Museo San Fedele. Itinerari di arte e fede sviluppando un percorso artistico e religioso che comprende la cripta, la sacrestia, la “cappella delle ballerine” e un museo di dipinti e reliquiari con opere d’arte che spaziano dal XIV secolo al presente. 

Abbiamo intervistato Padre Dall’Asta, nato nel 1960 a Fontevivo in provincia di Parma, laureato in filosofia a Padova e in teologia a Parigi, dove ha conseguito il dottorato in filosofia estetica, la cui attenzione è sempre stata rivolta al rapporto tra arte, architettura e liturgia.

  • Padre Dall’Asta, il tema del Suo intervento al convegno napoletano sarà “Arte e liturgia: un panorama italiano”. Quale arte oggi si propone di esprimere i contenuti della fede cristiana, incarnando la spiritualità del tempo? 

«Quando si parla oggi di arte sacra non si fa riferimento a uno stile particolare. I linguaggi adottati sono molto diversificati. Non dimentichiamo che la Chiesa non ha mai sposato uno stile in particolare. Tuttavia, possiamo riconoscere alcuni tratti comuni. Il primo è lo sguardo rivolto al passato. Molta arte sacra contemporanea tenta molto spesso di rileggere la nostra grande tradizione figurativa per lo più “aggiornandola” nelle sue antiche manifestazioni: bizantino, romanico, rinascimentale, barocco, neoclassico. È come se l’immaginario pre-moderno fosse al centro dell’interesse ecclesiale, che si serve dell’”antico” per rivelare il proprio volto e la propria identità. Di fatto, l’immaginario religioso di oggi è caratterizzato da un rigurgito nostalgico kitsch, invasivo e amatoriale, volgare e artificiale, verniciato da pennellate di modernità che sembrano purtroppo contraddire il senso più profondo della fede cristiana. È come se ci fosse oggi una difficoltà a pensare l’arte sacra secondo le categorie del nostro tempo, manifestando una sfiducia di fondo nel vangelo e nella sua capacità di fecondare e di animare la cultura di oggi. L’altro aspetto è la frammentazione. Non esiste un linguaggio per l’arte sacra, ma sono messe in scena tante possibilità espressive. In ogni caso, la maggior parte dell’“arte sacra” sembra scaturire da improvvisazione e da dilettantismo. La maggior parte delle immagini “sacre” contemporanee che popolano le nostre chiese sembrano giocattoli rotti e senza valore da gettare in soffitta, in attesa che un furgone porti tutto alla discarica». 

  • Esistono dei percorsi di formazione per giovani artisti che si vogliono accostare all’arte sacra?

«Sinceramente non conosco veri e propri percorsi di formazione che aiutino i giovani ad accostarsi in modo “contemporaneo” all’arte sacra. Certo, ci sono alcuni corsi, ma quando si vedono i risultati ci si accorge come nelle varie immagini prodotte tutto appaia artificialmente idealizzato e catapultato in una dimensione senza tempo, come se le scene uscissero da qualche bottega attardata e piuttosto scadente della seconda metà dell’Ottocento. Insomma, le immagini che si intendono promuovere sembrano appartenere a un mondo che non ha niente a che vedere con la vita reale e con la vera arte. Così, le scene sacre sono popolate da personaggi dai volti sdolcinati ed estenuati, teologicamente inattuali e spiritualmente innocui. Maria, Gesù, i santi… si presentano con volti di adolescenti trasognati e catatonici, come se la fede non interrogasse la maturità intellettuale e affettiva del credente. Tra i pochi percorsi segnalo quello supportato da Devotio: si scelgono alcuni giovani artisti e con loro si propone un cammino su un tema, rispettando il loro modo di esprimersi. È un lavoro lunghissimo, e compiuto con poche persone, ma molto interessante, soprattutto per comprendere come il mondo artistico giovanile si accosta ai grandi temi della tradizione cristiana».

  • Possiamo definire il Museo San Fedele a Milano un esempio di dialogo tra l’arte antica, moderna e contemporanea?

«Il Museo San Fedele. Itinerari di arte e fede si pone in modo particolare nel panorama ecclesiale. In realtà non si tratta di un museo, quanto piuttosto di un percorso che, partendo dalla simbolica spaziale della chiesa, intende promuovere un cammino di fede. In questa ottica sono state commissionate installazioni permanenti ad alcuni autori contemporanei come Mimmo Paladino, Jannis Kounellis, Nicola de Maria, Claudio Parmiggiani per riflettere sul senso più profondo della vita in relazione ai grandi temi della fede: vita, morte, dolore, destino, libertà. In queste “stanze di contemplazione”, il visitatore è così invitato a riflettere sul viaggio della vita alla luce della fede. Ritengo che il museo offra alcuni spunti interessanti. Il primo è in relazione alla commissione delle opere. Gli artisti sono contattati personalmente e sono accompagnati in un vero e proprio percorso sui temi relativi all’opera che devono realizzare. Non si tratta dunque di lavori collocati casualmente e già prodotti in precedenza. Le installazioni nascono da una lunga elaborazione, in cui l’artista è invitato in prima persona a mettersi in gioco. Il secondo aspetto è in relazione al percorso nella chiesa e negli spazi annessi. Oggi abbiamo perduto il senso dello spazio sacro. Visitiamo le chiese in modo distratto, soffermandoci solo se ci sono capolavori d’arte, dimenticando che il senso più profondo della chiesa è quello di indicare un cammino dalla morte alla morte, dallo spazio profano alla meta dell’uomo che è la Gerusalemme celeste. L’arte contemporanea si pone al servizio di questo percorso. Quando facciamo le visite guidate le persone restano particolarmente colpite da questa lettura dell’edificio con le inserzioni contemporanee, che si presentano in modo molto discreto, quasi dovessero essere riconosciute e “trovate» nello spazio” ».

  • Quali artisti del passato possono ispirare l’arte sacra del presente? 

«La vera tradizione è sempre generativa, non impone modelli esteriori. In questo senso, il modo con cui guardiamo la tradizione non può essere necrofilo, come si fa per lo più oggi. Occorre un lavoro di ri-traduzione e di trasmissione. Occorre riflettere sulla fecondità del nostro passato, perché possiamo produrre – oggi – il nuovo. La Chiesa ha sempre cercato di inscrivere la tradizione nel tempo a lei presente. Oggi questa rielaborazione sembra venire meno. È come se si fosse spezzato un anello… Carlo Levi diceva che il futuro ha un cuore antico. Non ci può essere futuro senza attingere alla potenza generativa della tradizione. Tuttavia, il cuore deve potere pulsare nell’oggi…»

  • Quale futuro per il dialogo tra arte e fede?

«Vedo un futuro nel dialogo tra arte e fede, solo se si punta alla formazione della comunità credente, a cominciare dai seminaristi. Perché nei seminari non sono per esempio previsti corsi che diano indicazioni almeno sommarie a chi diventerà responsabile di un patrimonio culturale e spirituale immenso e a chi è destinato a essere committente di nuove immagini o di nuove chiese? Ma questo tema non sembra essere nell’agenda di nessuno. L’educazione allo sguardo non s’improvvisa e tanto meno il “mi piace – non piace” o “è mio amico – non è mio amico” possono diventare i criteri assoluti (come accade per lo più oggi) delle nostre scelte artistiche o architettoniche. L’educazione alla visione richiede anni, fatica, intelligenza, passione, e tanto coraggio. È testimonianza di fede. Nasce dalla fiducia che il Vangelo possa farsi sempre “cosa nuova”, prima di tutto… per noi. Troppo spesso, si dimentica che la riflessione sull’arte sacra contemporanea non è semplicemente un fatto di gusto estetico o un problema stilistico, ma è rivolta a comprendere le modalità con le quali la comunità credente vive l’esperienza di Dio, celebra i propri riti. L’immagine rivela un’esperienza di fede. È luogo teologico, che promuove ed esprime un’esperienza. Non si riduce mai a una semplice catechesi, tantomeno esprime solo un contenuto narrativo da decodificare. In questo senso, l’arte parla del nostro presente. Quali sono oggi le immagini di una chiesa in uscita, icone del nostro tempo? Occorre avere fiducia, ma anche essere liberi di intraprendere nuove strade. E soprattutto, bisogna avere fiducia nel nostro tempo, malgrado sia attraversato da tante tenebre. Ma non dimentichiamo che Cristo è la nostra luce che feconda la notte!»

  1. In merito al tema proposto nell’articolo, colgo alcuni spunti di riflessione che, nella mia ignoranza in materia, vorrei condividere per ragionarci:
    1) Nei tempi passati le opere d’arte erano concepite per descrivere qualcosa, all’interno di questo contesto molto circoscritto, l’autore poteva esprimere la propria creatività e personalità solo inserendo, innovazioni tecniche e stilistiche, patos e simbolismi più o meno nascosti;
    2) nell’ambito religioso il figurativismo era ancora più necessario in quanto l’opera d’arte commissionata aveva anche lo scopo imprescindibile di indottrinamento rivolto alla plebe ignorante che non aveva altro modo di pervenire alla conoscenza, se non ascoltando i sermoni domenicali ed ammirando pitture e sculture poste nelle chiese che a tale scopo si riempivano di opere d’arte, vedi Cappella degli Scrovegni a Padova, dove la chiesa oltre a essere un edificio di culto era anche un luogo di scolarizzazione alla religione;
    3) il mecenatismo a opera di gerarchie ecclesiastiche, congreghe, abbazie, chiese era soprattutto destinato a celebrare la propria ricchezza e quindi il proprio potere sia nella Chiesa, sia, e soprattutto, nella sfera temporale;
    4) nell’età moderna, lo spirito religioso risulta sempre più blando, sostituito da altri interessi più materiali, coloro che sono pervasi da tale condizione sono alfabetizzati, culturalmente più sviluppati, vivono in una societa’ dove l’informazione viene veicolata da mezzi tecnologici che sostituiscono la descrittiva artistica.

    Per queste ragioni la figurativistica nella religione non ha più motivo di essere, ma a questo punto crollano le basi proprio dell’esistenza di un’arte religiosa e della necessita’ di perpetrare opere di tale natura commissionate al fine di esporle negli edifici di culto. L’arte religiosa deve uscire dai confini della Chiesa e ha la sua validita’ in quanto espressione di uno stato d’animo dell’artista che soggettivamente vuole esprimere la propria fede, le proprie emozioni e quant’altro. Per tale motivo uscirei dallo schema opere: religiose/opere non religiose; l’arte prescinde dalla confessione religiosa, l’arte e’ il simbolo dell’ingegno umano collocato nel periodo storico e non puo’ essere racchiusa in contenitori tematici ne’ in strutture logistiche specifiche quali le chiese ma essere fruibile ovunque, senza porre limiti culturali. Quindi le mie conclusioni sono che l’arte non puo’ essere schematizzata per temi o per fini o per scopi. Deve essere libera da definizioni, deve essere espressione di spiriti liberi.

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