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L’accoglienza dei profughi ucraini: una nuova prova per la Chiesa di Bergamo

Come Caritas Bergamasca, attraverso il braccio operativo che è la Fondazione Diakonia, fin dai primissimi giorni della guerra abbiamo pensato all’accoglienza dei profughi ucraini che sarebbero giunti da noi.

L’idea è stata di coinvolgere in questo progetto due realtà significative del nostro territorio diocesano: il Seminario e il Monastero di clausura di Matris Domini; la tradizione educativa e spirituale di questi due luoghi esprime anche simbolicamente due elementi a cui non volevamo rinunciare nella nostra accoglienza come Chiesa di Bergamo.

Serviva qualcuno che desse una mano a fare una primissima e pronta accoglienza per alcuni giorni, recensendo anche i bisogni di chi arrivava, dando tempo alle comunità parrocchiali per organizzare un’accoglienza diffusa che facesse da prosieguo a questi due centri di “prima accoglienza”.

Le comunità parrocchiali, attraverso i loro sacerdoti e diversi volontari, si sono quindi messe in gioco con una rapidità e una generosità sorprendenti: l’idea guida è stata che non bastasse offrire un tetto, ma servisse una cura integrale e una vicinanza autentica, uno stile cristiano di accoglienza. Cibo, aiuto per le questioni mediche, vicinanza e incontro personale sono alcune delle attenzioni che abbiamo voluto qualificassero il modo di accogliere delle nostre parrocchie. Con questo stile, hanno trovato spazio qui a Bergamo già 300 persone: la scelta dei numeri piccoli – massimo 2 nuclei familiari per comunità (4-5 persone) – vorrebbe permettere di poter instaurare una relazione autentica con chi arriva. A questa accoglienza, alcune comunità hanno aggiunto quella legata ai nuclei familiari delle badanti che operano sul loro territorio, arrivando a incrociare le storie di una ventina di persone. 

È stato davvero sorprendente toccare con mano la prontezza delle nostre comunità ad accogliere. Sa davvero di vangelo. Un grazie a loro, alle parrocchie, al Seminario e a Matris Domini, alla generosità estrema dei bergamaschi nella raccolta fondi (sono già stati raccolti più di un milione di euro) e in quella di vestiti e medicinali, oltre che nella messa a disposizione di strutture. 

Un ultimo grazie, che diventa una provocazione per tutti noi cristiani, va anche agli operatori e ai volontari Caritas: l’emergenza dell’Ucraina non cancella quella quotidiana dei nostri poveri, delle mense, dei dormitori, dei loro bisogni e della loro cura, come non cancella il senso di responsabilità per l’accoglienza di altri profughi, che vengono da continenti e situazioni diverse, anche se magari le loro problematiche sono percepite come meno reali e vicine.

Anche per questo motivo si è voluto provare a gestire in modo diverso quest’emergenza rispetto a quella africana: numeri più contenuti di persone che arrivano stanno permettendo di qualificare uno stile cristiano più attento e di curare un maggiore coinvolgimento delle comunità parrocchiali.

Una seconda provocazione che ha molto a che fare con la nostra fede, ci spinge a considerare come l’accoglienza parta dall’entusiasmo e dallo slancio, ma viva di quotidianità: come Caritas vorremmo dare una mano perché la generosità iniziale sia sostenibile e gestibile, perché non spenga la sua forza quando si spostano i riflettori, o le situazioni si prolungano diventando inevitabilmente più impegnative, sia dal punto di vista economico che relazionale.

Un’ultima provocazione, è il rapporto tra speranza nel futuro e custodia del presente. Da credenti, mentre speriamo, preghiamo e ci adoperiamo per un domani migliore, abbracciamo il presente chinandoci a lavare i piedi lì dove la storia bussa alle nostre porte: lì dove non l’aspetteremmo, Dio interpella e scomoda in modo impertinente i nostri piani. La realtà ci chiama. 

Don Roberto Trussardi, Direttore Caritas Bergamasca