Caritas Bergamasca, una “casa sicura” per i migranti a Kakanj, in Bosnia Erzegovina

Un progetto di solidarietà made in Bergamo per ospitare i migranti che affrontano la rotta dei Balcani. È il senso della safehouse – la casa sicura – di Kakanj, in Bosnia Erzegovina. La struttura, inaugurata un mese fa, vuole essere un modello di accoglienza diffusa, attento ai bisogni dei fragili e destinato a famiglie richiedenti protezione internazionale: insomma, un’alternativa agli affollati campi profughi della zona.

Al progetto  – chiamato “Oltre l’emergenza profughi in Bosnia Erzegovina – ha dato vita la Caritas diocesana di Bergamo, ente capofila, con il Comune di Bergamo,  i sindacati Cisl, Cgil e Uil di Bergamo, la Fieb (Fondazione Istituti Educativi di Bergamo) e le sezioni locali di Acli (Associazioni cristiane dei lavori italiani), Arci (Associazione ricreativa e culturale) ed Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia).
 
La safehouse, del resto, è una modalità che prende spunto dalle tante e significative esperienze di accoglienza diffusa sperimentate nella Bergamasca.

«Crediamo in un modello alternativo ai grandi centri per migranti, in modo da coinvolgere più direttamente le autorità e le comunità locali, fornendo una vera e propria possibilità di integrazione e di autonomia» ha dichiarato don Roberto Trussardi, direttore della Caritas diocesana bergamasca, nella conferenza stampa di presentazione del progetto.

La casa si trova nel quartiere Kraljieva Sutjeska di Kakanj: in questo trilocale, inaugurato lo scorso aprile, sarà accolto per un periodo di un anno un nucleo familiare di massimo sei richiedenti protezione internazionale, già ospitati all’interno dei centri di accoglienza temporanea in Bosnia Erzegovina.



Aldo Lazzari, responsabile Young Caritas diocesana bergamasca, ha spiegato che «a breve verrà assegnata la casa. Tra le diverse candidature ci sono quelle di una coppia di anziani iraniani, di una famiglia cubana e di una di egiziani con 4 minori, proprio a testimonianza delle storie diverse che si intrecciano lungo la rotta dei Balcani, intrapresa da circa 80mila migranti per raggiungere l’Unione europea».

I partner bergamaschi e internazionali (c’è, ad esempio, la Caritas bosniaca), ma anche le donazioni di enti terzi, sostengono attivamente il progetto, che ha un valore di 45 mila euro. «Bergamo e Kakanj – ha spiegato Marzia Marchesi, assessore alla Pace del Comune di Bergamo – sono legate da un profondo legame: negli anni Novanta era nato il comitato Bergamo-Kakanj in cui varie realtà delle due città, dalle istituzioni alle associazioni di volontari, avevano collaborato alla costruzione di Kakanj, distrutta dalla guerra. Ed ora  l’idea di una safehouse per i profughi, nata da un ordine del giorno approvato dal consiglio comunale di Bergamo nel 2021».

«Negli ultimi mesi abbiamo fatto alcune missioni in Bosnia, propedeutiche all’apertura della casa: vogliamo dimostrare la possibilità una forma di accoglienza attenta al singolo, ovvero alle tante donne, bambini, minori non accompagnati o anziani che passano per i Balcani, e diversa dai grandi campi per migranti, dove vengono soddisfatti i bisogni primari di centinaia di profughi pronti a proseguire il viaggio», ha aggiunto Giulia Baleri, Immigration advisor di Cgil.