Diario di viaggio in Eritrea sulle tracce del vescovo missionario Luca Milesi. Ultimo giorno ad Asmara

Giovedì 7 marzo: ultimo giorno all’Asmara

Don Giuseppe celebra la Santa Messa nella cappella della Casa dei Poveri, trattando nella meditazione questi punti fondamentali: Dio ci parla attraverso la natura, Dio ci parla attraverso le persone, Dio ci libera da ogni male.

Arriva Jemané per portarci di nuovo in visita alla città. Don Giuseppe e Margherita risentono di una piccola indisposizione e così pensiamo di cercare una farmacia. Esaurita quest’incombenza, andiamo dalla Suore Orsoline per vedere la scuola di ricamo di Suor Urbica.

Le aule sono piccole, ma stipate di ragazze intente al ricamo; un’aula è per il ricamo a macchina, un’altra per il taglio e cucito, un’altra ancora per il ricamo a mano. Lavorano così alacremente che quasi non ci notano e Suor Urbica ci mostra una meravigliosa tovaglia sulla quale sono stati ricamati a mano soggetti eritrei ed etiopici.

La suora ci racconta che in questo periodo hanno tanto lavoro per le ordinazioni dei soldati dell’ONU e noi, nell’aula della mostra, possiamo acquistare poco, perché tutto è già prenotato. Io acquisto una tovaglietta natalizia con ricamate le renne e l’agrifoglio…

L’incontro con l’ultima suora della tribù Mensa

Dopo aver assaggiato bibite e dei biscotti, ci rechiamo nell’altro Istituto delle Orsoline, perché Suor Tarcisia ci deve consegnare delle lettere per l’Italia. 

Oggi monsignor Luca ha organizzato il pranzo dalle Sorelle Ausiliarie di Gaggiret, infatti verso mezzogiorno raggiungiamo l’Istituto dove conosciamo una suora anziana, esilissima, che parla il tigré ed è l’ultima suora della tribù Mensa. Racconta che, musulmana, a quindici anni era scappata di casa e si era rifugiata da padre Alfonso.

Il pranzo è ottimo e si chiude con la cerimonia del caffè. 

Don Giuseppe e Margherita non stanno troppo bene, così le sorelle si preoccupano di preparare loro del riso. Ringraziamo dell’ospitalità e torniamo alla Casa dei poveri per una breve siesta. 

In seguito Lucia ed io torniamo in città con Jemané, mentre Marghe e il parroco preferiscono riposare nelle loro camere.

In città apprezzo ancora una volta la pazienza di Jemané, che per trovare la proprietaria di un negozio di oreficeria chiuso, ci fa fare per quattro volte il giro dell’Asmara. Dopo circa due ore ci dobbiamo arrendere e andiamo verso il mercato della frutta.

La semplicità della preghiera e dei gesti quotidiani

Qui vedo per la prima volta i tamburi in vendita, ma non hanno nulla a che vedere con quello di Mardane. Voglio acquistare delle corde di baobab, ma non riusciamo a intenderci con il venditore, poi scoppiamo in una fragorosa risata quando nel centro della città vediamo i ragazzi lava biciclette: tengono la bici alzata da terra e l’acqua nera e schiumosa va a finire a terra in un bidet portatile lungo e stretto.

Anche i lustrascarpe sono curiosi: il ragazzo pulisce le scarpe contemporaneamente a tre clienti seduti.

Dopo aver trovato una bella icona copta, finemente dipinta e una collana in filigrana d’argento, verso le 18.30 torniamo alla casa di Aragù e troviamo don Giuseppe e Marghe alquanto migliorati. Jemané ci regala una croce ricamata.

Prima di cena prepariamo le valigie e poi recitiamo il Rosario.

A tavola incontriamo monsignor Luca e gli manifestiamo la nostra riconoscenza per le belle giornate trascorse insieme e per la ricchezza interiore che abbiamo sperimentato, in particolare tra la sua gente cunama, semplice, ma vivace di spirito.

È stata un’esperienza che noi dimenticheremo facilmente: i ricordi di Barentù resteranno nei nostri cuori.

Un gemellaggio tra Barentù e San Giovanni Bianco

Nasce così l’idea di fare un gemellaggio tra Barentù e San Giovanni Bianco, con la costruzione di una chiesetta dedicata a San Giovanni Evangelista per una popolazione senza un luogo decente di culto.

A tale proposito mi viene in mente il missionario Ailé Selassié, con la sua umile chiesetta nel tucul, povero e disadorno.

Qui nella Casa dei Poveri, anche Aragù e le sorelle consacrate sono commosse nel salutarci, e sì che noi non abbiamo dato niente, mentre loro hanno dato tutto.

Notiamo sul tavolo quattro grandi sacchetti contenenti un regalo per noi, un oggetto di rafia che raffigura i cinque continenti.

Alle 10.30 partiamo per l’aeroporto. Monsignor Luca ci vuole accompagnare con Jemané e con coppola ed impermeabile si dà da fare, anzi mi aiuta a chiudere la combinazione della valigia che si è inceppata.

Un venticello frizzante ci accompagna, scesi i gradini della terrazza, diamo un ultimo sguardo alla Casa dei Poveri. 

All’aeroporto abbracciamo monsignore con la promessa di rivederci presto a San Giovanni Bianco.

(continua)