Chiesa e missione. Dieci domande su fede, politica e comunicazione. Risponde padre Luigi Gritti

Padre Luigi Gritti, 58 anni, di Levate Missionario monfortano in Malawi dal 1992 al 2007.

1.Padre Luigi che cosa l’ha portata in Malawi e quale è stato il primo impatto?

Ci sono arrivato come missionario monfortano. Sono entrato nella comunità dei Monfortani a 18 anni, ho seguito gli studi teologici e sono stato ordinato sacerdote nel 1991. A gennaio dell’anno seguente sono partito per il Malawi. Mi sono subito reso conto di essere dentro un momento storico importante. I vescovi avevano deciso di sfidare la dittatura al potere.

2. C’era in atto una concreta azione dei vescovi?

Stavano preparando una lettera pastorale per denunciare la situazione di miseria e di sfruttamento della popolazione, le ingiustizie, le violenze e la corruzione dilagante. Ma le critiche al presidente potevano costare care. Chi lo faceva spesso spariva. Dovevano preparare il testo in segretezza. I vescovi avevano deciso di muoversi insieme e di farlo attraverso un mezzo potente, quello della comunicazione diffusa.

3. Voi Monfortani come eravate al corrente di questa intenzione?

La congregazione godeva della fiducia dei vescovi. La fiducia è un bene raro in tempo di dittatura. Chiunque poteva tradirti e trovare una tipografia che stampasse la lettera era rischioso. Si sono rivolti a noi che avevamo una macchina stampatrice di alta qualità. Quando la stesura finale, in due lingue locali e in inglese, è stata pronta, abbiamo avviato la stampa. Si stampava di notte e uno solo dei nostri stampatori, il più fidato, poteva lavorare a questo progetto delicato. Poi abbiamo iniziato la distribuzione in maniera capillare, aiutati dai missionari e dalle suore per raggiungere tutte le parrocchie. La lettera pastorale, su indicazione dei vescovi, doveva essere letta in tutte le chiese cattoliche del Malawi la domenica 8 marzo 1992, prima domenica di Quaresima. 

4. Il Governo non ha bloccato la diffusione?

Hanno provato a ritirarle, ma era impossibile, ne avevamo stampato un quantitativo enorme. Le lettere avevano raggiunto tutto il Malawi e avevano una grande potenza, quella di una denuncia aperta e corale alla insostenibile situazione sociale e politica. La voce che la stampa era stata eseguita da noi ha raggiunto le orecchie del potere e la nostra stamperia è stata bruciata. I vescovi sono stati minacciati, “invitati” a ritirare il testo, hanno temuto per la loro vita. Sicuramente il loro è stato un gesto ispirato dallo Spirito Santo. Erano sette vescovi – uno era il bergamasco Alessandro Assolari – che amavano la loro gente e i loro sacerdoti e che volevano il bene del Malawi. Questa loro passione ministeriale ha trovato la condivisione delle loro parole da parte dei sacerdoti e delle comunità. Il Malawi chiedeva un cambiamento, chiedeva giustizia, diritti e rispetto della dignità umana. Due anni dopo fu eletto il primo presidente democratico.

5. Oggi quindi le cose sono cambiate?

Quest’anno ricorrono i trent’anni dalla pubblicazione di quella lettera. Gli attuali vescovi per celebrare questo anniversario hanno pubblicato una lettera pastorale comune e all’inizio della stessa si chiedono: il Malawi attuale è quello che sognavamo trent’anni fa? Purtroppo i sogni non si sono avverati. Continua ad essere un Paese poverissimo, dove le ricchezze sono in mano a pochi, dove la corruzione è dilagante e continua ad essere una delle cause determinanti di molte povertà economiche, sociali e culturali. Nella Lettera pubblicata lo scorso marzo vengono affrontate tante questioni e la voce dei vescovi si alza ancora in difesa del popolo per “un Malawi migliore per tutti”.

6. La stamperia ha ora una nuova vita?

Ha anche una grande forza. E’ la forza che già nel 1992 gli era stata riconosciuta. E’ un luogo importante e simbolico. Negli anni è nata una casa editrice, la Montfort Media, con due riviste, un periodico e una televisione. Si è scelto di investire sulla comunicazione ed è una delle modalità principali con cui abbiamo scelto di essere presenti in Malawi. Una sfida audace in un Paese dove alto è il numero di analfabeti. Vogliamo essere stimolo e forza.

7. Significa che sono state abbandonate altre strade?

I Monfortani sono giunti in Malawi nel 1901. Una lunga storia. Fino agli anni Ottanta si sono realizzate opere: parrocchie, ospedali, seminari, scuole con una presenza diffusa. Poi il clero locale è aumentato. Quella del Malawi è una Chiesa giovane e viva. I giovani, come dicono i vescovi, sono “la speranza della Chiesa di oggi”. Il nostro ruolo è diventato quindi di supporto all’azione evangelizzatrice e alla vita della Chiesa. Abbiamo lavorato molto sulla formazione dei leader delle piccole comunità cristiane e abbiamo accompagnato la nascita di una cooperativa di famiglie. Siamo chiamati a fare quello che i primi monfortani capirono subito dicendo “Andremo noi da loro”. Bisogna andare dalle persone, raggiungerle, stare con loro e aiutarle a realizzare i loro sogni. Ho avuto la possibilità di visitare tutte le nostre missioni in Africa e ho visto concretamente ovunque questo modo di essere missionari. E ora molti monfortani non sono più europei, ma locali. I missionari italiani sono una decina.

8. É un cambiamento generale necessario per la missione della Chiesa cattolica?

Guardando alla nostra storia monfortana posso dire che le attività svolte dai missionari sono cambiate lungo gli anni e si sono adattate alle esigenze che di volta in volta si sono presentate. I volti dei missionari sono cambiati e attualmente sono più di 400 i monfortani africani, per lo più giovani, che si stanno impegnando a fianco della gente. In tutti questi anni abbiamo “lavorato per”, a volte anche pensando al posto della popolazione africana, decidendo e lavorando al loro posto, sostituendosi a loro con modelli rigorosamente occidentali. E’ arrivato il momento di cambiare ed è un’urgenza. Da una comunità “per” gli africani dobbiamo diventare una comunità “con” l’Africa e gli africani. E’ la missione che ci aspetta.

9. Cosa significa concretamente “essere con”?

Significa avere il coraggio di abbandonare una “cultura delle strutture” e avere una maggiore attenzione alla persona, al dialogo, alla partecipazione, alla mutualità per costruire un futuro insieme. Significa guardare agli africani come a interlocutori veri e autorevoli, prendere sul serio le loro culture che non sono solo una pennellata di colore o il suono di un tamburo, ma sono il cuore pulsante delle persone, il loro modo di vivere, di pensare, di sentire. 

10. Se dovesse regalarci un’immagine che rappresenta quello che ci ha raccontato, cosa sceglierebbe?

Vado indietro nel tempo di tre secoli. Quando nel 1711 a Nantes la Loira straripa e sommerge la periferia più povera. Luigi Maria de Montfort organizza alcuni volontari, con loro si mette in una barca e va pazientemente alla ricerca dei dispersi. Quando penso ai Monfortani li penso così, capaci di gesti forti e importanti, ma soprattutto capaci di stare con la gente, nella stessa barca, soprattutto con quelli che soffrono, e di fare con loro un pezzo di strada.