Le sfide del tempo presente e il blocco storico conservatore

Poiché la politica dei partiti si occupa in modo compulsivo ed esclusivo dell’oggi, riesce a far credere di essere un formicaio operoso a fini di Bene comune e di Interesse generale.

Un formicaio in perenne agitazione, nei cunicoli del quale, tuttavia, non si accumulano riserve per il futuro, bensì notizie, parole, commenti, polemiche, gossip, dichiarazioni e contro-dichiarazioni, crisi fasulle e pre-crisi permanenti.

Magazzini pieni di vuoto. Si sta delineando  una strana divisione del lavoro tra il governo e i partiti che lo “sostengono”.

Il governo si preoccupa del futuro, delle questioni strategiche, cioè della collocazione internazionale, della pace e della guerra, delle fonti energetiche, visto che il costo dell’energia pesa enormemente sui trasporti, sulla produzione, sull’occupazione e perciò sulla condizione economico-sociale del Paese…

I partiti discutono di presente immediato, al massimo lungo qualche mese, e di alleanze, tutte da inventare, fondate su…? Sulla universale volontà di vincere. Su qualcosa di più preciso? No, perché, sennò, come si fa a costruire alleanze?

Smarriti in questo circolo vizioso, stanno andando come sonnambuli verso la fatale scadenza elettorale, che viene presentata da destra e da sinistra come una sorta di giudizio finale. Ogni elezione, in un Paese a democrazia fragile, lo é.  

Parola d’ordine: “No pasaran!”. Ancorchè, nel caso della destra, non sia uno slogan del tutto storicamente coerente. Questa impostazione, vuota di programmi di governo, ma densa di illusori tornaconti elettorali, dovrebbe servire, secondo miopi calcoli, a incendiare gli aficionados, che si muovono solo se vocati a battaglie estreme, e a risvegliare i settori di elettorato tiepido, in fuga dalle urne.

L’effetto finale, constatabile al momento, è l’eccitazione delle aree estremistiche degli schieramenti e l’allontanamento dei settori ideologicamente e psicologicamente moderati, che mal sopportano le posture radicali e che vengono sospinti o verso l’astensionismo o verso un non meglio identificabile “Centro”, pluripopolato di soggetti politici, in competizione identitaria tra di loro.

Il metaverso della politica e la realtà effettuale

Se nel metaverso della politica partitica è in corso questa ammuina, che cosa sta succedendo nella realtà effettuale?

Il Covid si rifiuta, per ora, di congedarsi; l’invasione russa dell’Ucraina continua a generare barbarie e sangue; l’intero quadro geopolitico mondiale è in movimento; il mondo si sta ri-armando; l’Europa sta tentando di diventare un soggetto politico-militare; la questione energetica sta trasformandosi in questione sociale e occupazionale; la siccità e il blocco del grano ucraino provocheranno un aumento della spesa alimentare, qui in Europa, e, in Africa, fame e migrazioni verso l’Europa.

Si annuncia un autunno di restrizioni e di sacrifici e una revisione al ribasso dei nostri consumi e dei nostri stili di vita. La prossima Legge di Bilancio sarà un calvario. I partiti si stanno guardando in giro alla ricerca di un Cireneo, perché nessuno vuole portare la croce. Chissà chi dovrà farlo…

Quali saranno le prevedibili reazioni delle popolazioni europee e quali, specificamente, degli Italiani?

Le formule di governo e le alleanze non paiono al centro dell’interesse dei cittadini. La maggioranza delle persone desidera semplicemente continuare e possibilmente migliorare lo stile di vita fin qui praticato. Cadute le speranze palingenetiche di una Seconda repubblica e successive, oggi la maggioranza degli Italiani si aggrappa disperatamente a ciò che ha e che non vuole mollare a nessun costo.

L’ignoto, dopo anni di quiete, genera angoscia

Se gli sconvolgimenti del mondo richiedono cambiamenti di categorie interpretative e di comportamenti, in realtà sottoproducono movimenti di conservazione dell’esistente. Perché l’ignoto, dopo tanti anni di quiete, fa paura, genera angoscia. Umano, troppo umano!

Questa è la base del movimento conservatore a due teste – Le Pen e Mélenchon – che si è sviluppato in Francia, che è attivo in Italia e che sta cercando nuovi leader, reali o presunti. A quelli reali – almeno nei sondaggi – appartiene Giorgia Meloni; a quelli presunti Salvini,  Conte, D’Alema? Ci toccherà un’Italie insoumise?

Quel che è certo è che, oltre i mutevoli destini delle sigle e dei leader, le radici del populismo/sovranismo sono ben piantate nel profondo della società italiana. E se il populismo stricte dictu, nella versione della nomenklatura M5S, è in evidente decomposizione, non così la spinta conservatrice che gli sta dietro.

Dove il lemma “conservatrice” si sottrae alla dicotomia destra/sinistra, per riassumere il suo significato più letterale: mantenere lo stato di cose presente. La carta d’identità di tale conservatorismo è la stessa in Europa (e negli USA!): no alla globalizzazione, no all’immigrazione, no allo Jus scholae, no ad Autorità sovrannazionali, sovranismo, identitarismo radicale – spacciato per “risveglio” – richiesta di sussidi, assistenza, detassazione, sempre nuovi diritti, nessun dovere corrispondente…

Il fronte di forze che si coagula intorno a Draghi

Se questo è il quadro, quella parte di Paese, oggi minoritaria sul piano socio-culturale, che intenda accettare la sfida dei mutamenti storici in corso, dovrà essere rigorosa nell’identificare le dinamiche profonde del “blocco storico conservatore” e consapevolmente tesa a scomporlo, attraverso una battaglia ideologica, culturale e programmatica aspra e senza compromessi. La ricetta è semplice: dire la verità al Paese, senza abbellimenti e proporre vie d’uscita, non scorciatoie fasulle. Italia 2028? E’ il marchio proposto da Letta. Quale Italia e come ci arriviamo, detto in modo inequivocabile? Un appello alla verità e alla responsabilità individuale?

Nonostante le apparenze, i compromessi culturali portano sì voti, ma al blocco conservatore, che ha il pregio della coerenza meloniana e di un radicalismo di sinistra, prigioniero da decenni delle proprie parole d’ordine. Il confine tra coerenza e cecità è labile da sempre. 

Intanto, non si dovrebbe cedere a vetuste proposte di rappresentazione politica. Alle quali appartiene decisamente la formula dell’Ulivo, recentemente riproposta dal segretario del PD. Non solo perché scarsamente beneaugurante – l’Ulivo durò dal 1995, anno della sua fondazione, al 1998, per essere sciolto definitivamente da D’Alema e Bertinotti, nel nome di un ritorno al primato dei partiti – ma perché la formula cerca di tenere insieme, in una sorta di ecumenismo spurio, forze sociali che aspirano ad affrontare attivamente il mondo nuovo che sta venendo avanti e forze che se ne difendono accanitamente. Occorrerebbe evitare, a sinistra,  quella che Le Figaro ha definito la “mélenchonisation des esprits”. 

Per un fortunata e provvisoria congiunzione astrale di circostanze è attorno a Draghi che si sta coagulando un fragile fronte di forze, che è disponibile alle sfide, senza posture escatologiche, con molto pragmatismo. Quello resta il punto di partenza. E forse anche di ritorno.