Festival “Filosofi lungo l’Oglio”. Salvatore Natoli a Bergamo il 12 luglio


Dal 10 giugno è in corso di svolgimento fino al 31 luglio il Festival “Filosofi lungo l’Oglio” organizzato dall’omonima Fondazione presieduta dalla filosofa Francesca Nodari, giunto quest’anno alla XVII edizione.

In programma 28 incontri in 22 comuni lombardi tra le province di Brescia, Bergamo e Cremona dedicati al tema “Dire Io”.


Il 12 luglio alle ore 21 presso la Sala Piatti in via San Salvatore 6, in Città Alta a Bergamo, il filosofo Salvatore Natoli, tra gli ospiti della manifestazione, parlerà del tema scottante dell’individualismo con l’intervento “L’edificazione di sé”.

Abbiamo intervistato Salvatore Natoli, nato a Patti nel 1942, che ha insegnato filosofia teoretica presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.

Individualismo: sostantivo maschile che indica la tendenza a svalutare gli interessi o le esigenze della collettività, in nome della propria personalità o della propria indipendenza o anche del proprio egoismo. Prof Natoli, come nasce l’individualismo?

«L’individualismo nasce in età moderna. Era presente nel mondo classico, dove c’era un tasso elevato di esclusione sociale, però all’interno dell’aristocrazia e oligarchia il prestigio personale, il peso e la qualità individuale erano molto significativi. Basti pensare al confronto tra Achille e Agamennone, una sfida per il reciproco riconoscimento di rispetto. Nella modernità, e di mezzo c’è anche il Cristianesimo, c’è il concetto di uguaglianza fra tutti gli uomini, questa idea di uguaglianza comincia a sviluppare un sentimento di singolarità, di individualità, intanto perché ognuno è responsabile della propria salvezza. L’idea di pentimento, di peccato, è qualcosa che contraddistingue il singolo, in secondo luogo la dimensione dell’individualità nasce nel senso che proprio per questo l’individuo si sente soggetto di valore, degno del rispetto per sé stesso. Nella modernità c’è una emancipazione della comunità, un legame di solidarietà che molte volte estingue l’autonomia dei soggetti. Con la modernità le comunità cominciano a scomporsi e quindi i soggetti cominciano a valere per sé. Nel corso della modernità, ogni soggetto comincia a diventare responsabile della sua vita e della sua dignità attraverso il lavoro, che è importante perché dà elemento di peso e di sfruttamento e diventa quindi importante per la propria autonomia, affermazione, reciproco riconoscimento e libertà. È chiaro che il lavoro deve essere riconosciuto, retribuito. Ma qui inizia una certa degenerazione: una volta che gli individui sono stati sciolti dai legami comunitari, qualcuno ha iniziato a fare per sé e fin qui la situazione non è negativa, ma quando l’individuo si è rivoltato contro gli altri per aumentare il proprio spazio di realizzazione nel mondo si è costituito come partner aggressivo, occupando gli spazi sociali, guadagnando pezzi di dominio, si è passati dalla individualità positiva all’individualismo nel senso che ognuno tende a valere per sé stesso prevaricando sugli interessi comuni e collettivi».

Gli italiani per carattere sono più individualisti degli altri cittadini d’Europa?

«Gli italiani tendono a farsi lo sgambetto gli uni con gli altri, ma nelle emergenze si vede, hanno anche grandi slanci di solidarietà, di socialità. Dal punto di vista antropologico sono l’uno e l’altra cosa. Quello che però gli italiani non hanno e questo per ragioni storiche, è il senso dello Stato. Interpretano lo Stato non come l’espressione dell’autogoverno dei cittadini e la garanzia del bene comune, ma lo pensano in termini antichi, essendo stati per lungo tempo sottoposti a Signorie e a dominatori, hanno confuso il governo con la sopraffazione e nello stesso tempo per conseguire vantaggi, anziché appellarsi alla legge tendono a ottenere protezioni private. Quindi l’assenza del senso dello Stato crea questa dimensione in cui ognuno fa la sua corsa, si cerca le sue raccomandazioni talvolta nuocendo agli altri. Basti pensare all’atteggiamento degli italiani rispetto al fisco. Rispetto al fisco mediamente gli italiani non si sentono partecipi del bene collettivo, dove ognuno dà la sua quota, ma si sentono rapinati dallo Stato. Aggiungiamo che molte volte lo Stato non funziona come i suoi apparati burocratici, quindi questo rafforza nei cittadini il senso di essere soggetti rapinati».

“Dire: Io” sta lasciando il posto a un’egolatria, a una forma di idolatria dell’Io?

«Sì, perché nel momento in cui il soggetto si sente titolare unico e in base a questo atteggiamento tende a espandersi, a prevaricare, a usare gli altri a suo vantaggio, gli altri vengono usati come mezzo. La posizione dell’Io che pretende tutto per sé produce ribellione, inimicizia, ecco perché gli idoli vengono abbattuti, perché fondamentalmente sono illegittimi e quindi prima o poi cadono».

“Non lasciatevi contagiare dal virus dell’individualismo. È brutto questo, e fa male”, ha detto il Papa nel video messaggio per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore lo scorso dicembre 2021. I giovani del Terzo Millennio sono individualisti?

«Direi che per molti versi lo sono, anche perché le condizioni sociali nelle quali viviamo hanno rotto i legami di comunità. I giovani cercano la loro sistemazione, le loro soddisfazioni, i loro piaceri, ognuno cerca di realizzare se stesso usando spesso gli altri a proprio vantaggio, ma questa è una caratteristica della natura umana a tutte le età. Quello che invece pare più evidente è che molte volte questi giovani sono costretti nella nostra società a fare corse per se stessi. Pensiamo al deficit di lavoro che è un diritto ma non è ai giovani garantito sempre. Allora c’è una sorta di competizione diretta che limita e che invece a volte favorisce, spingendo i giovani ad allearsi e a prendere iniziative, perché sanno che solo assumendosi una responsabilità collettiva se ne esce. Altrimenti si resta sempre in balia della volontà altrui restando soli e abbandonati. Molti giovani cercano di prendere iniziative comunitarie, per esempio tutte le attività di volontariato, l’associazionismo. Indicatori che dimostrano che solo cautelando imprese collettive i giovani riescono a realizzarsi».

Individualismo e politica, cioè privilegiare e tutelare gli interessi comuni vanno
d’accordo?

«In linea generale sono due termini in opposizione tra loro, perché il compito della politica è quello di disimpegnare un servizio nei confronti della comunità e della società. Bisogna distinguere tra politica e potere. Il potere è la capacità di governare gli altri, la politica è sì capacità e diritto di dirigere gli altri ma al fine della valorizzazione della pace della polis. Il potere molte volte degenera, quando la politica smette di essere un servizio per il bene di tutti, diventa un possesso del potere come arbitrio sugli altri. In questo caso degenera e cessa di essere politica, diventando prevaricazione. C’è l’idolatria del potere, mentre la politica come tale è un’azione di tutti i cittadini, che disimpegnano il servizio comune a seconda delle loro capacità degli ambienti in cui si opera. Bisogna pensare alla politica non tanto come a un rapporto verticale di potere e sudditanza, quanto a un rapporto orizzontale cooperativo, che dà espressione a una rappresentanza. Questa è la politica generale nel suo senso più profondo».

In seguito allo tsunami pandemico siamo diventati più individualisti o no?

«Direi che lo tsunami pandemico ha mostrato le due facce della natura umana. Per un verso siamo stati costretti a una collaborazione comune per difenderci dal virus rinunciando alle proprie libertà a vantaggio di tutti. Ciascuno di noi era esposto al contagio e alla morte. Questo fare uguaglianza ha messo gli uomini in un rapporto di reciproca disponibilità obbligata o spontanea. Però c’è anche da dire che siamo stati tutti nella stessa tempesta, ma non, come si dice, nella stessa barca. Ciascuno ha cercato di aggrapparsi a una scialuppa per i fatti propri, cercando una strada personale. Alcuni Stati hanno avuto il vaccino subito, i Paesi poveri no. In questo caso i contesti socio-politici si sono rivelati determinanti per far circolare meno il virus. Accanto a episodi di grande generosità, abbiamo notato un grande tasso di diseguaglianza sociale».