La storia di Sabrina Gotti, che ha cambiato vita per trovare la felicità

Quanto dev’essere grande il salto verso la felicità? Sicuramente, ampio a sufficienza per superare paure, dubbi e incertezze e per non far troppo caso alle lancette dell’orologio. Questo, almeno, è quanto testimonia la storia di Sabrina Gotti che, a marzo 2020, a 39 anni, decide di licenziarsi e abbandonare il suo vecchio lavoro come operaia, per intraprendere l’attività di agricoltrice. Un cambio di vita non facile, radicale, che, da Brembate Sopra (paese in cui è cresciuta), la conduce fino ai verdi prati di Dossena (in Valle Brembana), ma grazie al quale, oggi, si sente finalmente contenta. 

Sabrina, da quanto tempo meditavi di lasciare il lavoro?

Il malessere, se così lo si può chiamare, è iniziato nel 2018. Il lavoro mi piaceva, ma avvertivo come un vuoto dentro di me, un vuoto da colmare. Non ero più felice: dopo vent’anni passati nella stessa fabbrica, sentivo l’esigenza di un cambiamento, di nuovi stimoli. Mi sono messa a cercare, quindi, altro, ma, allo stesso tempo, mi dicevo quanto fosse senza senso il fatto di licenziarmi da una ditta per andare a lavorare in un’altra. Avevo bisogno di qualcosa di veramente diverso, qualcosa che mi garantisse la possibilità di stare all’aria aperta. 

Quindi?

Stefano, mio marito (anche lui operaio nella mia stessa fabbrica), aveva ereditato, da mio suocero, una piccola stalla e alcuni asini, in località Edelweiss, a Dossena, suo paese d’origine. Avendo io sempre amato gli animali, mi sono detta, dunque, che il prendermi cura di loro sarebbe stato un bel modo per superare quel grande vuoto che mi divorava. A marzo 2020, io e mio marito ci siamo licenziati: lui è andato a fare il muratore, mentre io, dopo aver provveduto a sistemare la stalla e dopo essermi informata tramite la Coldiretti, mi sono inventata imprenditrice agricola. 

Una scelta non semplice… 

All’inizio, ho avuto molta paura ma, soprattutto, tante incertezze e qualche dubbio. Da una parte, avevo infatti un lavoro fisso, a tempo indeterminato, con tutti i vantaggi, come, ovviamente, malattia e ferie pagate. Dall’altra, l’ignoto. Mi chiedevo come avrei fatto, mi domandavo se sarei stata all’altezza della mia scelta, anche perché io, fondamentalmente, sono una donna di città, nata e cresciuta in un ambiente pieno di comodità che poco ha a che fare con quello in cui abita la gente di montagna. Del resto, nonostante mio marito e i miei genitori mi abbiano sempre supportato, diversi conoscenti mi han chiesto se fossi diventata matta. A dirla tutta, quando ero bambina, la montagna non mi è mai piaciuta. Eppure, quando, grazie a Stefano, ho cominciato a conoscerla veramente, mi si è aperto un mondo. Vivere in paese di montagna, è come stare in un angolo di paradiso: tutti si conoscono, tutti si salutano, tutti, nel momento del bisogno, si danno una mano. Adesso, ho meno tutele e devo affrontare difficoltà ogni giorno, sia economiche che fisiche, ma le affronto con tenacia e pazienza e, dopotutto, posso inoltre contare sul supporto dei casari e su quello degli agricoltori del paese: non sono sola. 

Come si svolgono le tue giornate?

Le mie mattine cominciano molto presto, alle sei. Lavo e pulisco gli animali e do loro da mangiare, poi, a seconda della stagione, taglio l’erba o faccio il fieno. È un lavoro che lascia poco tempo libero e, spesso, alla sera, non mi siedo a tavola prima delle 21. Ad oggi, devo badare a quattro manzi piemontesi, quattro maiali, nove capre, dieci galline, dodici asini e venti conigli. Quando io e Stefano, lo scorso settembre, ci siamo sposati, alcuni amici ci hanno regalato anche due alpaca. Poi, ho anche l’orto da curare: patate, porri, pomodori, zucchine, insalata, basilico, prezzemolo e mirtilli. Insomma, c’è sempre tanto da fare, ma sono molto contenta. Prima, mi svegliavo alla mattina di cattivo umore, non avevo voglia di andare a lavorare, le giornate non passavano mai e avevo spesso mal di schiena e dolori cervicali. Ora, tutti i malanni fisici sono spariti. La mia mentalità, inoltre, è cambiata, mi sento finalmente serena e in pace, anche perché sono padrona di me stessa e del mio tempo. 

La pandemia di Covid-19 ha influito sulla tua scelta?

La decisione di licenziarmi, come detto, era già maturata in me nel 2018. Il trasferimento a Dossena, inoltre, è avvenuto poco prima dello scoppio della pandemia. Ma, sicuramente, restrizioni, chiusure e quarantena mi hanno convinto che la strada intrapresa fosse quella giusta. Mi son sentita fortunata nell’aver potuto continuare a lavorare all’aria aperta. Quando tutti erano chiusi in casa, io ero nel mio prato con i miei animali. 

Cosa insegna la natura agli uomini?

Da quando vivo a contatto con la natura, sono meno distratta. Prima, alle piante, quasi, non ci facevo nemmeno caso. Ora mi fermo a osservarle e, subito, ne colgo ogni particolare. La natura (e il prendersi cura degli animali) cambia il tuo sguardo e ti fa comprendere quanta bellezza ci sia al mondo. Dal tuo cuore, alla fine, non possono che sgorgare gratitudine e meraviglia. Ho anche capito, però, che per andare avanti bisogna fare un passo indietro: bisogna riprendere in mano i lavori di un tempo, la nostra civiltà nasce grazie ai mestieri del passato, quelli dei nostri nonni. Non possiamo rischiare che si estinguano del tutto. Guardo i miei alpaca e mi rammarico che non ci sia nessuno che sappia cardare e filare la lana. Oggi, siamo sommersi dalla tecnologia e da tant’altre cose, troppe cose: c’è bisogno di tornare all’essenzialità. 

Progetti per il futuro?

Costruire una tettoia più grande per i miei asini e acquistare una roulotte per farne una sorta di food truck, così da dar vita a un piccolo punto ristoro, in cui vendere direttamente i miei prodotti. Non mi dispiacerebbe, poi, organizzare delle attività con la scuola primaria di Dossena. Per il resto, voglio rimanere con i piedi ben ancorati a terra e far stare bene i miei animali. Non sarà facile, ma è la vita che ho scelto. Ed è ciò che mi rende felice.