Papa Francesco in Canada. Gianni Valente: un incontro con i popoli nativi, nel segno della riconciliazione

In Canada da ieri al 30 luglio, accogliendo l’invito delle autorità civili, ecclesiastiche e delle comunità indigene, Papa Francesco effettuerà il suo trentasettesimo viaggio apostolico dall’inizio del Pontificato. Viaggio per il quale aveva espresso più volte il suo desiderio, perché la Chiesa è lì impegnata in un importante processo di riconciliazione con gli indigeni. 

Quattro le tappe della visita il cui motto è “Walking together”, “Marcher ensamble”: Edmonton, Maskwacis, Québec, Iqaluit, quattro discorsi, quattro omelie, un saluto, pronunciati dal Pontefice nei sei giorni di permanenza in Canada. 

Della missione di Bergoglio nel Paese nordamericano dialoghiamo con Gianni Valente, giornalista dell’Agenzia missionaria Fides, collaboratore della rivista italiana di geo-politica “Limes”.

Quali saranno i momenti più importanti e significativi del viaggio pastorale di Bergoglio in Canada? 

«Sui singoli appuntamenti inseriti nell’agenda del viaggio di Papa Francesco in Canada pesano ancora diverse incognite connesse ai problemi fisici del Pontefice, come i dolori al ginocchio che negli ultimi tempi lo hanno costretto a partecipare a tanti momenti pubblici in sedia a rotelle. Detto questo, il programma della visita mette in evidenza come questo viaggio papale abbia una missione pastorale specifica: quella di incontrare i popoli nativi, e provare a rinsaldare il loro vincolo di fiducia con la Chiesa cattolica, dopo il riemergere di dolorose vicende passate in cui apparati e prassi ecclesiali erano stati coinvolti nei processi di sradicamento identitario, sottomissione e omologazione imposti alle popolazioni autoctone dal sistema sociale canadese. Per questo il viaggio papale ignora le grandi metropoli del Canada e si snoda attraverso luoghi chiave della memoria dei popoli nativi e anche del loro incontro con il cristianesimo. Credo che i momenti più carichi di suggestione del viaggio papale potranno essere la messa del 26 luglio allo Stadio di Edmonton – dove è prevista la partecipazione di almeno 60mila persone -, quella del 28 al Santuario di Sainte-Anne-de-Beaupré, presso Québec, e la sua partecipazione la sera del 26 luglio al pellegrinaggio annuale dei popoli nativi presso il Lago Sant’Anna, che rappresenta il più grande raduno spirituale dei popoli autoctoni dell’America del Nord. Per il Papa saranno occasioni preziose per incontrare la spiritualità popolare degli indiani autoctoni canadesi, e la loro singolare devozione per sant’Anna, la mamma della Vergine Maria. Alla luce di questo “ritorno alle sorgenti” il Papa vivrà i tanti incontri pubblici e privati con gruppi di popoli nativi che punteggiano tutte le tappe del viaggio, sia a Edmonton sia a Québec sia a Iqualuit. Quegli incontri offriranno al Pontefice diverse occasioni per affrontare con richieste di perdono e parole di riconciliazione anche le vicende dolorose, le scelte sbagliate e i comportamenti colpevoli da parte di membri e istituzioni della Chiesa cattolica che in passato hanno ferito e a volte traumatizzato le comunità autoctone. Tra l’altro, ad accompagnare il Papa per tutto il viaggio come interprete sarà un sacerdote, Cristino Bouvette, che è italiano da parte di madre e discendente di nativi canadesi da parte di padre». 

L’ultima presenza di un Pontefice in Canada risale al 2002 con Giovanni Paolo II?

«Sì. Esattamente 20 anni fa, alla fine del luglio 2002, Giovanni Paolo II realizzò il suo terzo e ultimo viaggio in Canada per partecipare alla XVII Giornata Mondiale della Gioventù, ospitata a Toronto. Papa Wojtyla era vecchio e malato. Alla veglia serale nel Parco Downsview si strinsero intorno a lui 600mila giovani arrivati da ogni parte del mondo. E alla Messa finale celebrata dal Pontefice presero parte 850mila persone. Quella fu la più vasta celebrazione spirituale mai ospitata in territorio canadese. Il viaggio di Papa Francesco non avrà lo stesso profilo del viaggio di Papa Wojtyla. Con tutta probabilità, non ci saranno nemmeno gli stessi numeri nelle folle che prenderanno parte agli eventi liturgici e agli incontri con il Papa. La visita di Papa Francesco, fin dal primo annuncio, ha assunto un registro penitenziale. Dopo l’Angelus di domenica 17 luglio, l’ultimo prima di partire per il Canada, il Papa stesso ha definito la visita come un «viaggio penitenziale». Non ci sarà con tutta probabilità l’enfasi che ha connotato l’epoca dei grandi eventi ecclesiali degli anni passati. Del resto, come ha riconosciuto un sacerdote canadese, la Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi a Toronto non ha rappresentato la panacea per i problemi affrontati dalla Chiesa in Canada degli ultimi decenni. Tanti indizi confermano che negli ultimi vent’anni è cresciuta l’estraneità di tanti giovani canadesi alla Chiesa e al Cristianesimo».

Il viaggio apostolico di Papa Francesco è incentrato in particolare sugli incontri  con le comunità dei nativi in seguito al dramma delle scuole residenziali gestite dalla Chiesa, dove i giovani indigeni erano vittime di gravi abusi psicologici, fisici e sul piano dell’identità culturale. Ce ne vuole parlare?

«A partire dal XIX Secolo, e fino al 1970, circa 150mila minori appartenenti alle comunità di nativi vennero inviati a frequentare scuole residenziali fondate dallo Stato e gestite in gran parte da congregazioni religiose e istituti missionari cattolici, come gli Oblati di Maria Immacolata (OMI). Tale iniziativa rientrava nei programmi promossi dallo Stato con l’intento dichiarato di “assimilare” i nativi alla società canadese del tempo. Quella lunga esperienza fu segnata anche da soprusi e violenze subite da giovani nativi. Nel 2008, il governo canadese ha chiesto scusa ai popoli nativi, ammettendo che quelle scuole residenziali furono anche teatro di violenze fisiche e sessuali. Quell’anno le istituzioni canadesi diedero vita a una Commissione per la verità e la riconciliazione incaricata di indagare sulla storia del sistema scolastico residenziale canadese riservato alle comunità autoctone e sul suo impatto nelle vite dei bambini e delle loro famiglie. Nel dicembre 2015, il rapporto finale della Commissione verità e riconciliazione ha sostenuto che le pratiche poste in atto nel sistema scolastico residenziale rappresentavano un tentativo di “genocidio culturale” ai danni dei nativi. L’attenzione mediatica sulla vicenda delle scuole residenziali canadesi si è riaccesa nell’estate 2021, quando sono state diffuse notizie di ritrovamenti fosse comuni su un terreno adiacente alla scuola residenziale di Kamloops, in cui sarebbero stati sepolti i corpi dei bambini che frequentavano l’istituto. Anche sull’onda di quell’emozione, una delegazione dei popoli nativi ha viaggiato fino a Roma per incontrare il Papa, alla fine di marzo. Durante gli incontri in Vaticano tra il Papa e rappresentanti dei popoli nativi è stata confermata la decisione comune di compiere gesti per camminare verso la guarigione delle ferite del passato e la riconciliazione. L’imminente visita papale ha la sua premessa in quegli incontri romani tra il Vescovo di Roma e i rappresentanti dei popoli nativi del Canada. Occorre aggiungere che la grande enfasi mediatica sul ritrovamento delle fosse comuni viene contestata da alcuni studiosi e analisti canadesi, che denunciano il sensazionalismo e l’approssimazione con cui inchieste preliminari e non ancora confermate da riscontri oggettivi sono divenute pretesto per una spirale di accuse e recriminazioni disseminata anche da fake news. Sui media e sui social media sono iniziate anche a circolare versioni grottesche, secondo cui i piccoli ospiti delle scuole residenziali venivano uccisi e nascosti nelle presunte fosse comuni. In realtà, come ha confermato anche la Commissione per la verità e la riconciliazione, spesso presso le scuole residenziali esistevano dei cimiteri in cui venivano sepolti gli studenti morti a scuola per malattia, ma anche i membri della comunità locale e i missionari e le missionarie che gestivano le scuole». 

“Sappiamo che il Santo Padre è stato profondamente toccato dall’incontro con le popolazioni indigene a Roma all’inizio di quest’anno e che spera di costruire sull’importante dialogo che si è svolto” ha commentato il coordinatore generale della visita papale in Canada, l’arcivescovo Richard Smith. Il pellegrinaggio è dunque un altro passo significativo nel lungo cammino di guarigione, riconciliazione e speranza tra la Chiesa e la popolazione indigena? 

«Il 1° aprile scorso, nel suo discorso a tutte le delegazioni dei Popoli indigeni del Canada venuti a Roma, il Papa ha detto di provare dolore e vergogna “per il ruolo che diversi cattolici, in particolare con responsabilità educative”, hanno avuto in tutto quello che ha ferito le comunità dei nativi canadesi. Il Papa ha parlato degli abusi e della mancanza di rispetto verso la loro identità, la loro cultura e i loro valori spirituali. Il Vescovo di Roma ha chiesto già allora perdono ai nativi canadesi per tutto ciò che hanno subito nella vicenda delle scuole residenziali, ribadendo che ogni abuso e ogni prevaricazione di matrice colonialista sono contrari “al Vangelo di Gesù”. È evidente – ha aggiunto il Pontefice – “che non si possono trasmettere i contenuti della fede in una modalità estranea alla fede stessa: Gesù ci ha insegnato ad accogliere, amare, servire e non giudicare; è terribile quando, proprio in nome della fede, si rende una contro-testimonianza al Vangelo”. Questo sarà certamente uno dei fili conduttori del viaggio. Papa Francesco non si vergogna di chiedere perdono. Lo hanno fatto prima di lui anche altri Papi. E non si tratta di un mea culpa di facciata, una strategia di comunicazione per ripulire l’immagine infangata della Chiesa. Quando condotte ecclesiali offuscano la missione della Chiesa, il primo a cui mendicare in ginocchio perdono è Gesù stesso. Detto questo, un vero cammino di riconciliazione e guarigione può proseguire solo nella sincerità e nella autenticità. Senza offrire sponde a chi approfitta anche delle tristi vicende canadesi per far passare l’idea che l’annuncio stesso del Vangelo e le opere apostoliche siano di per sé una specie di disgrazia, una calamità per i popoli, un’imposizione violenta e criminale che cancella culture e identità. Una impostazione ideologica e interessata che stravolge la realtà, e deve oscurare dati reali come la fede lieta che tanti nativi canadesi attestano e confessano, nella loro vita, anche con le loro liturgie e il pellegrinaggio al Lago di Sant’Anna». 

Data la concentrazione multietnica del Canada, la popolazione cattolica nel Paese nordamericano rappresenta la maggioranza?

«I cattolici in effetti rappresentano ancora la maggiore comunità di fede tra i più di 37 milioni di canadesi. Secondo i censimenti più recenti, il 37 per cento della popolazione canadese è cattolica, mentre il 27 per cento dei canadesi appartiene a Chiese e comunità ecclesiali nate dopo la Riforma. Gli stessi dati registrano però un progressivo e consistente aumento di canadesi che dichiarano di non appartenere a nessuna Chiesa o comunità religiosa, e che ormai raggiungono un quarto della popolazione. La cattolicità canadese ha una storia gloriosa, segnata da un grande fervore di opere apostoliche e caritative e da una forte sensibilità missionaria. Ma come ho già detto, negli ultimi decenni si registra anche una forte erosione della memoria cristiana tra le giovani generazioni». 

Dopo il rinvio su richiesta dei medici del viaggio in Congo e Sud Sudan che era previsto a fine giugno, la conferma del viaggio in Canada è un messaggio rassicurante sulla salute del Pontefice e sulla sua fermezza a procedere nel suo ministero, contrariamente alle voci interessate di dimissioni, che lo stesso Bergoglio alimenta con battute?

«Papa Francesco ha più volte riconosciuto genericamente che anche lui si dimetterebbe se avesse un crollo fisico tale da impedirgli di adempiere in maniera adeguata il suo ministero papale. Ma ha anche detto che per esercitare il suo ruolo quello che conta è la testa, e non le gambe. Per questo non mi sembra che lui si vergogni e si senta in imbarazzo quando i dolori al ginocchio lo costringono a affrontare buona parte dei suoi impegni in sedia a rotelle. In realtà, il tormentone estivo sulle possibili dimissioni di Papa Francesco ha fatto emergere soprattutto un altro dato: ha attestato che alcuni circoli ecclesiastici e mediatici sono alla frenetica ricerca di segnali della fine del Pontificato. La loro tesi, che vogliono imporre mediaticamente, è l’idea che il Papato di Papa Bergoglio è già finito, è già esaurito, e lui deve in un modo o nell’altro farsi da parte. Ma il Papa non è l’amministratore delegato di una azienda, che si fa da parte quando ha realizzato il programma, ha raggiunto gli obiettivi e può incassare la parcella e andare a cercare altre occasioni di carriera. La Chiesa non funziona così. Il Papa svolge il suo ruolo nella Chiesa nel suo magistero ordinario quotidiano, e non attraverso la realizzazione di “progetti” o “piani d’impresa”. E non si deve preoccupare dell’esito delle attività da lui promosse, perché sa benissimo che la salvezza della Chiesa non dipende da lui, dalla sua persona e dalle sue idee, giuste o sbagliate».