Sempre meno vocazioni. Suor Chiara: lo Spirito crea “cose nuove” nella Chiesa

Buongiorno suor Chiara,
Quest’estate in vacanza mi sono ritrovata ospite nella casa di una congregazione religiosa femminile. Era un edificio molto grande con tantissime stanze dove un tempo venivano accolte le suore e le ragazze orfane e in difficoltà di cui loro si occupavano. Ho parlato con alcune suore scoprendo che oggi sono pochissime e alcune di loro anziane. Questa esperienza mi ha fatto riflettere e ha fatto nascere alcune domande: come mai secondo lei in Italia oggi sono così poche le giovani che scelgono di entrare in convento, soprattutto negli ordini “secolari”? Questo tipo di vita a servizio degli altri non attrae più? Grazie e un caro saluto. Michela

Innanzitutto vi sono alcuni dati di realtà dai quali non possiamo prescindere, cara Michela: il calo demografico che fa sentire le sue conseguenze anche in ambito vocazionale; i giovani, poi, faticano a porsi interrogativi esistenziali che li aiutino a compiere scelte definitive, al contrario preferiscono aderire a proposte “mordi e fuggi”, vivendo diverse esperienze, anche spirituali, in cui la domanda vocazionale fatica ad emergere e a trovare spazio nel loro cuore.

Ce lo confidavano, giorni fa, anche alcune religiose impegnate nel servizio alle grandi povertà odierne: “I giovani frequentano le nostre comunità, collaborano con noi, ricercano la nostra presenza, il nostro consiglio, il nostro aiuto, ma la domanda vocazionale non emerge, se non in rarissimi casi”. 

La sfida della relazione con le nuove generazioni

Per tutte le famiglie religiose, la relazione con le nuove generazioni costituisce una delle sfide più grandi, davanti alla quale si percepisce smarrimento, incapacità e inadeguatezza.

I motivi di questo inverno vocazionale sono tanti, a causa della complessità del nostro tempo;

la vita consacrata non esprime in modo trasparente quella autenticità che dice di vivere e che dovrebbe contagiare, ma i nostri ragazzi sono difficili da intercettare e da appassionare a qualche grande ideale per il quale vale la pena di compromettere interamente la propria esistenza.

Gli ordini “secolari” – come dici tu – nati in una particolare epoca storica, un tempo fiorenti, per rispondere a determinati e concreti bisogni sociali, oggi faticano molto ad intercettare i giovani e a offrire loro una possibilità di vita piena; così, per mancanza di vocazioni sono costretti a chiudere conventi e case, sentendo tutto il peso di un futuro incerto.

La crisi vocazionale: un tempo provvidenziale

La crisi vocazionale che stiamo attraversando è, tuttavia, un tempo di grazia, oserei dire provvidenziale, per le congregazioni religiose, esse sono costrette ad interrogarsi e a verificarsi per scoprire ciò che oggi offusca la loro testimonianza e convertirsi, mediante un processo di purificazione e autenticità, da quel inutile “di più” che può rendere opaca la loro testimonianza.

La situazione attuale, dunque, è impegnativa: essa chiama i consacrati a ritornare al cuore della propria vocazione e avviare processi di rinnovamento che li aiutino a cogliere l’essenziale del loro carisma, per interpretarlo e concretizzarlo nell’oggi della nostra storia.

La vita consacrata non è una realtà statica, ma dinamica e in continuo cambiamento perché è chiamata a rispondere alla concretezza di un determinato tempo storico, se ciò non avviene, il rischio di non intercettare in modo sufficiente l’uomo di oggi, è alto.

Non sappiamo se, per mancanza di vocazioni, alcune forme di vita consacrata si estingueranno, oppure riusciranno a superare questo lungo inverno, siamo però certi che lo Spirito donerà alla Chiesa altri carismi capaci di relazionarsi con l’uomo e la donna contemporanei e di essere segni dell’amore gratuito di Dio in mezzo a noi.

Confidiamo nell’azione feconda dello Spirito che non cessa di stupirci creando nella Chiesa “cose nuove” capaci di conquistare il cuore delle nuove generazioni e rinnovando ciò che già c’è.