Papa Luciani diventa beato. La nipote Lina Petri: “Il suo tratto distintivo era la semplicità evangelica”

Giovanni Paolo I
Città del Vaticano - Aula Nervi - Settembre 1978 - Udienza di Papa Giovanni Paolo I - Papa Albino Luciani

Domenica 4 settembre prossimo Papa Giovanni Paolo I, Albino Luciani, nato a Canale d’Agordo il 17 ottobre 1912 e morto il 28 settembre 1978 in Vaticano dopo soli 33 giorni di pontificato, sarà beatificato in San Pietro da Papa Francesco. Con decreto del 13 ottobre 2021 è stato riconosciuto e sancito da Papa Francesco il miracolo di una guarigione straordinaria attribuito all’intercessione di Giovanni Paolo I. Si prevede dunque un bagno di folla per la beatificazione di Papa Luciani, il “Papa del sorriso”, quinto dei pontefici del Novecento a salire all’onore degli altari, che è sempre rimasto nel cuore della gente. 

La causa di canonizzazione di Papa Giovanni Paolo I si era aperta a Belluno nel 2003, a venticinque anni dalla morte. Nel 2008, presso la Congregazione delle Cause dei Santi, ebbe avvio la fase romana del processo.

Dopo un lavoro scientifico e redazionale di otto anni, sulla base di un’investigazione che ha interessato più di settanta archivi in trenta diverse località e con il contributo anche delle nipoti Lina Petri e Pia Luciani (prima dei dodici figli di Edoardo, fratello di Albino), è stata redatta la “Positio”, firmata dal Postulatore, Cardinale Beniamino Stella e dagli autori Stefania Falasca e don Davide Fiocco. Nel novembre 2017 la Causa sì è conclusa con il decreto di venerabilità di Papa Luciani sancito da Papa Francesco.  

In Piazza San Pietro quel giorno sarà presente anche la nipote Lina Petri, figlia della sorella Antonia Luciani, insieme alla quale ricordiamo la figura pubblica e privata di Papa Luciani, il quale nel suo breve Pontificato ha posto le basi per una riforma radicale della Chiesa, affinché essa potesse essere ancora più vicina a tutti e pienamente fedele al messaggio di Cristo. 

Lina Petri nata a Levico Terme (TN) nel 1956, dal 1986 al 2016 ha lavorato nella segreteria della sala stampa della Santa Sede, fa parte del Consiglio di amministrazione della Fondazione Vaticana “Giovanni Paolo I”, Presidente il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, istituita il 17 febbraio 2020 da Papa Francesco venendo incontro alla proposta di dar vita a un ente destinato ad approfondire la figura, il pensiero, gli insegnamenti di Giovanni Paolo I e promuovere lo studio dei suoi scritti. 

  • Signora Petri, quali furono i Suoi pensieri quando il 26 agosto 1978 Suo zio venne eletto 263° Vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica? 

«Non ce lo aspettavamo ma lo temevamo, nel senso che allora si pensava sempre che sarebbe stato eletto un pontefice italiano, anche se mio zio ci aveva detto che era ora che il Papa non fosse più italiano. “La Chiesa è universale”, diceva, quindi piano piano si sarebbe andati verso l’elezione di pontefici di altre nazioni, all’epoca un papa straniero era una novità. Quindi se il nuovo Papa dopo Paolo VI fosse stato ancora una volta italiano, e come dicevano i giornali un pastore non curiale, la “paura” tra noi familiari c’era. Era proprio “paura”, non era nostro desiderio che lo zio diventasse papa. Egoisticamente, capivamo che l’avremmo perso un po’ se fosse stato eletto Papa; a Venezia potevamo andare a trovarlo spesso, il rapporto era immediato. Però la sua elezione è stata per tutti noi una grande emozione». 

  • In quale occasione vide il Patriarca di Venezia prima del Conclave? 

«Vidi mio zio sabato 5 agosto 1978, il giorno dopo sarebbe morto Paolo VI. Ero andata a Venezia a trovarlo, stavo andando, zaino in spalla, una settimana in vacanza con amici universitari di Roma a Caronno, in Lombardia. Mio zio era appena tornato da un periodo di cure elioterapiche e di riposo, era arrivato al Patriarcato quello stesso pomeriggio. Abbiamo cenato insieme e durante la cena abbiamo parlato di morte, perché gli avevo parlato di un mio amico defunto da poco. Inoltre avevo fatto le condoglianze alla suora che ci stava servendo a tavola, perché le era mancato un fratello di recente. Mio zio disse: “Bisogna sempre essere pronti per la morte” ». 

  • “State tranquilli, perché non ho fatto niente per arrivare fin qui, quindi state tranquilli voi come sto tranquillo io”. È il 2 settembre 1978 quando Papa Luciani, riceve in udienza i familiari.  Come lo ricorda? 

Il ricordo di quel giorno in Vaticano è sempre vivo in me, era un incontro ufficiale, non formale ma più ingessato. Eravamo tutti emozionati. Il ricordo di mio zio è sempre vivido in me, non si è assolutamente appannato. È sempre presente nei nostri pensieri, nelle nostre preghiere e anche nei miei studi, visto che ho collaborato alla stesura di alcuni suoi volumi». 

  • È vero che è stata l’unica della famiglia a vederlo sul letto di morte? 

«Sì, studiavo a Roma, relativamente vicino al Vaticano. Quando mio fratello mi avvisò della morte dello zio, prima che notizia fosse resa pubblica, subito lasciai il collegio, dove stavo studiando, per recarmi in Vaticano. Ebbi l’opportunità di vederlo nel suo appartamento prima che la salma fosse portata nella Sala Clementina per esporlo ai fedeli». 

  • Giovanni Paolo I muore in una notte di fine settembre dopo appena 33 giorni di pontificato, ma il vento di rinnovamento, che aveva portato nella Chiesa Cattolica già dalla scelta del nome era stato percepito dai fedeli. Ha mai pensato come sarebbe potuto essere il pontificato di Giovanni Paolo I? 

«Secondo lui breve comunque. Penso che sarebbe stato come lui l’aveva iniziato. Nei 33 giorni di pontificato, già la sua prima benedizione dopo l’elezione aveva colpito i fedeli in Piazza San Pietro e quelli che lo vedevano dagli schermi della televisione: Papa Luciani aveva gettato le basi di quello che avrebbe voluto fare e essere. Già il nome Giovanni Paolo richiamava il Concilio Vaticano II e i papi che lo avevano indetto e portato avanti: Papa Giovanni XXIII e Paolo VI. Con le parole e i gesti di questi 33 giorni di pontificato, Papa Luciani ha evidenziato il ritorno alla semplicità del Vangelo, la sua era una semplicità evangelica nel parlare e nel muoversi, nel non avere niente di ieratico, nell’essere immediato, nel sorriso anche senz’altro, ma non era solo il sorriso. Il richiamo alla missionarietà, alla povertà della Chiesa come esemplarità rispetto al mondo, quindi il richiamo al dialogo con il mondo, al dialogo interno alla Chiesa, ecumenico, ma anche grande attenzione al problema della pace. Semplicità immediata nel parlare, fermezza nella dottrina».  

  • Non ritiene che tutte le dietrologie sulla morte improvvisa di Papa Luciani ne abbiano messo in ombra la figura? 

«Purtroppo sì. Mio zio è morto di morte naturale, nessuno di noi parenti ha mai avuto sospetti, né nell’immediatezza, né in seguito a tutte queste insinuazioni interessate, che hanno pescato nel torbido. Purtroppo le morti improvvise facilmente portano a dubbi, ma c’è chi ci ha sguazzato con malafede e con un buon interesse di ritorno economico. Dopo la causa per la canonizzazione e con gli studi approfonditi che sono stati fatti, in particolare dalla vicepostulatrice Stefania Falasca, che ha pubblicato il libro “Papa Luciani. Cronaca di una morte”, è tutto chiaro. Sono stati pubblicati nero su bianco, carta canta, la testimonianza fin dal primo momento del dottor Renato Buzzonetti, che non era stato il medico di mio zio, nominato coadiutore del medico del Papa, non aveva mai visitato in precedenza mio zio, lo vide morto, raccogliendo la testimonianza immediata delle suore e dei suoi segretari. Papa Luciani aveva avuto alcuni dolori precordiali, ed è logico che poi era seguito l’infarto. Chiara anche la testimonianza di Suor Margherita Marin, che, insieme a suor Vincenza Taffarel, rinvenne il corpo senza vita di mio zio. Suor Margherita, unica delle suore ancora vivente che seguiva mio zio, rintracciata a motivo della causa di canonizzazione, dalla mente lucidissima, che avevo conosciuto quella mattina del 29 settembre e che ho rivisto in occasione del convegno, che c’è stato lo scorso 13 maggio a Roma, più volte ha ribadito che lei insieme a Suor Vincenza avevano trovato morto mio zio sul letto, allarmate dal fatto che Papa Luciani non si era presentato a bere il caffè davanti alla sacrestia, come di consuetudine. Era ovvio che qualcosa era successo. Le suore avevano trovato mio zio con dei fogli in mano. Abbiamo la riprova che questi fogli erano degli appunti che riguardavano la successiva udienza generale, la quarta dall’inizio del suo pontificato. Fogli che parlavano della virtù della prudenza che aveva fatto venire, insieme a tutte le carte, da Venezia. Appunti vecchi che usava sempre per preparare le sue omelie, i suoi discorsi, pescando nel passato. Quindi Papa Luciani non aveva trame occulte nei fogli, non c’era nessuno che gli aveva messo il veleno da nessuna parte. Mio zio era morto semplicemente di infarto. Le pagine pubblicate lo rendono inconfutabile, quindi fine di tutte le teorie che hanno avvelenato il pozzo in tutti questi anni, mettendo in ombra la luminosità della figura di Giovanni Paolo I». 

  • L’umiltà e la semplicità restano i grandi insegnamenti di Giovanni Paolo I? 

«Sì, aveva questa facilità di parlare semplice, ma era un parlare semplice non banale, era far passare cose importanti con parole semplici. Questo facilitava la comprensione da parte di tutti, grandi e piccoli. L’umiltà era frutto della sua consapevolezza che “siamo sempre servi inutili”. Una frase di mio zio scritta nella sua agenda, dice: “Servi, non padroni della verità. I servi non sono la verità, ma sono semplicemente i servi della verità” ».