Lallio: successo per la terza Notte bianca jazz-organistica dedicata allo stile italiano

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Quasi cinque ore di musica jazz e d’organo, senza interruzioni, con un pubblico appassionato, calorosissimo negli applausi, numeroso e ancora in cerca dell’ennesima sorpresa di fronte alle esibizioni di rinomati jazzisti e organisti italiani; il tutto eseguito nella Chiesa Arcipresbiterale Plebana dei SS. Bartolomeo e Stefano in Lallio, venerdì 2 settembre, per la terza Notte bianca «In the Italian Style».

Un’impegnativa iniziativa che è stata ideata, promossa e organizzata per il terzo anno consecutivo da Alessandro Bottelli, scrittore di testi per musica e infaticabile promotore culturale bergamasco, direttore artistico di varie manifestazioni di successo – da Cara Santa Lucia… alla rassegna Box Organi. Suoni e parole d’autore –, in collaborazione con la parrocchia di Lallio e l’associazione Jazz Club.

«Stasera sono emozionato e nel contempo onorato – ha esordito Bottelli a inizio serata –, perché questa è un’edizione particolarmente ricca di nomi importanti del jazz e dell’organo, incentrata su un tema particolare, lo stile italiano in musica». A mettere in luce attraverso quali forme, autori e opere si sia identificato questo “stile italiano” e a fornire riletture affatto personali del tema sono stati diciotto musicisti, che hanno proposto, in ritmica successione e spesso attraverso personali rielaborazioni, una notevole varietà di brani: dalla musica di Vivaldi, Donizetti, Verdi, Paganini, alla musica leggera, dalla canzone napoletana alle colonne sonore di Rota e Morricone.

La kermesse è stata aperta dal ben noto clarinettista e sassofonista bergamasco Gianluigi Trovesi, con un’iniziale “promenade” lungo la navata della chiesa e una serie di improvvisazioni ai clarinetti su temi propri, tra cui “Ritorno alla Bergamasca” e “Ritorno alla Follia”. Il primo a mettere mani e piedi sull’organo Bossi Urbani 1889, attorno al quale è costruita tutta la Notte bianca, è stato invece Giancarlo Parodi, decano degli organisti italiani, con la Sonata VI-Allegretto con brio di Francesco Ferrari, seguita da una Elevazione di Antonio Diana e dalla roboante Sinfonia [in Do maggiore] di Felice Moretti (ovvero padre Davide da Bergamo). Subito dopo è stata la volta di Massimiliano Milesi, giovane sassofonista emergente (anch’egli bergamasco), che ha dato prova della sua ottima preparazione tecnica con una serie di ammirevoli improvvisazioni su celebri arie tratte da opere di Gaetano Donizetti (compresa la Furtiva lagrima).

Ed eccoci arrivati al primo duetto, tra Nadio Marenco, alla fisarmonica, e Andrea Candeloro, all’organo Hammond. I due, che suonavano insieme per la prima volta, hanno trasformato le canzoni napoletane Reginella e Tu si’ ‘na cosa grande in qualcosa di etereo, come sospeso tra terra e cielo, prediligendo sonorità soffuse, quasi in punta di dita.

Il secondo organista in scaletta era Stefano Rattini (l’annunciato Massimiliano Di Fino, che compariva scritto sul libretto di sala, non ha potuto presenziare per un’improvvisa indisposizione), intervenuto con l’esecuzione di cinque brani: Diferencias sobre la Gallarda Milanesa (da Obras de musica para tecla, arpa y vihuela, 1570) del compositore spagnolo Antonio de Cabezón, Canzon “Bergamasca” SSWV 64 di Samuel Scheidt, Concerto in Si bemolle maggiore op. 1 n. 1 (nella trascrizione per organo di J. S. Bach, BWV 982) di Johann Ernst von Sachsen Weimar, Hommage à Fr. Landino op. 6 n. 12 (da 24 Pièces pour Harmonium ou Orgue) di Jean Langlais e l’inedito Per Venezia – Movimento di concerto, composto per l’occasione dallo stesso Rattini.

Alberto Bonacina e Mauro Salera hanno dato vita al secondo duetto della serata, utilizzando flauti dolci di varie dimensioni e cimentandosi in una carrellata di invenzioni in stile italiano che prendevano le mosse dal Verdi della Traviata (Brindisi verdiano annacquato), per poi dirigersi verso il “Prete rosso” (Tre Stagioni vivaldiane speziate) e concludere con il basso ostinato di una Ciaccona alla fiamma.

Alberto Bonacina e Mauro Salera ai flauti dolci suonano alcune composizioni in stile italiano.

L’organista Ivan Ronda ha portato all’attenzione del pubblico una cinquina di brani: Sempre libera (da La Traviata, Atto I) di Giuseppe Verdi in un suo originale arrangiamento, le saporite Variazioni Capricciose (sopra il tema del Capriccio n. 24 di N. Paganini), nuova creazione di Grimoaldo Macchia, il primo tempo del Concerto in stile italiano BWV 971 di J. S. Bach, la elegante, proporzionata e smagliante Toccata italiana di Hans-André Stamm e il Moses theme di Ennio Morricone, ancora nell’arrangiamento di Ronda.

Proseguendo senza sosta nella maratona musicale, si è fatto notare Roberto Olzer, con alcune improvvisazioni jazzistiche all’organo basate su temi di musiche tratte da colonne sonore di film firmate da Ennio Morricone (Eat it e Stark System) e da Nino Rota, quali Giulietta e Romeo e Carlotta’s Galop (da ).
Un tocco di assoluta magia sonora è stato dato dagli interventi inediti, creati appositamente per questa Notte bianca, dai torinesi Alberto Varaldo ed Enrico Euron. Il primo all’harmonica cromatica e il secondo all’arpa celtica, hanno creato un equilibrato connubio tra il folk irlandese e la musica barocca italiana, improvvisando su temi d’ispirazione corelliana di Turlough O’Carolan (1670-1738) e di Arcangelo Corelli (1653-1713). La performance, particolarmente gradita al folto pubblico presente, è stata seguita da quella dell’organista Manuel Tomadin, in cui il maestro si faceva accreditato interprete di un’autentica rarità: il Concerto ex G.b. per organo solo col Pedale Obbligato di J. G. Graun. Subito dopo ha preso la scena Fausto Caporali, artista che ha fatto dell’improvvisazione il suo cavallo di battaglia, dimostrandosi ancora una volta
musicista in progress: le sue rielaborazioni da Paganini, in particolare quelle sul celeberrimo Capriccio n. 24, hanno evidenziato una ricerca timbrica di grande qualità, mai scontata, tesa al perseguimento di effetti coloristici ai limiti delle possibilità foniche dello strumento.

In un rossiniano crescendo di interventi solistici e abbinamenti mai ordinari, è arrivato il momento anche per Tino Tracanna (sassofono soprano e tenore) e per il giovane Federico Calcagno (clarinetto basso), impegnati in una poetica rilettura di capolavori madrigalistici (ma non solo) di Claudio Monteverdi (1567-1643) e Gesualdo da Venosa (1566-1613), seguiti a ruota dall’eclettico musicista milanese Sandro Di Pisa alla chitarra jazz elettrica, capace di intrattenere il pubblico con una serie di incursioni su temi di popolari canzoni di Mina (anche lei di Cremona, come il divin Monteverdi) degli anni ’60-’70, tra cui ben riconoscibili spiccavano Parole parole, Se telefonando e Una zebra a pois.

Ancora un intervento alla tastiera dell’organo da parte del precisissimo Manuel Tomadin, per l’esecuzione del Concerto VI delle Stravaganze del S. Vivaldi in Re minore Op. 4 n. 6, nella trascrizione per strumento a tastiera contenuta nel manoscritto Anne Dawson’s Book, 1720, inanellato, subito dopo, al memorabile duetto tra Giovanni Falzone e Nadio Marenco. Due fuoriclasse, della tromba e della fisarmonica, uniti in uno scintillante omaggio a Lucio Battisti e Mogol, capaci di produrre per quasi venti minuti pirotecniche effusioni sonore e sprigionare virtuosismi ai limiti del consentito, con invenzioni e colpi di scena istrioneschi, sfociati addirittura in un diretto coinvolgimento del pubblico. Che, alla fine, si è lasciato letteralmente trascinare nel canto ad alta voce di E penso a te e Dieci ragazze.

Nadio Marenco alla fisarmonica e Giovanni Falzone alla tromba duettano insieme eseguendo delle improvvisazioni jazz.

A suggellare la serata, ricca di estri, invenzioni ed emozioni, il maestoso Preludio e Fuga in La minore BWV 543 di Johann Sebastian Bach nella solida interpretazione del pluripremiato Manuel Tomadin.

Un monumento, certo. E un ottimo punto da cui ripartire.

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