Da Scanzorosciate a Sarajevo: “Questo viaggio ha scardinato le nostre certezze”

Orsi ScanzoRosciate a Sarajevo foto di gruppo

16 ragazzi di Scanzorosciate, tra i 24 e i 18 anni, quest’estate hanno fatto le valigie in direzione Sarajevo. Gli oratori di Scanzo sono tornati a progettare un viaggio all’insegna del servizio dopo due anni di interruzione. 

“L’idea di questo viaggio non nasce per caso, ogni anno con il gruppo giovani dei nostri oratori viene scelta una meta extra-italiana in cui andare a fare un viaggio di servizio – racconta Rebecca, una dei giovani coinvolti -. Ci si accorda con le realtà locali e, per una settimana o poco più, si porta aiuto dove necessario. Quest’anno è stato un po’ diverso: è stato il primo viaggio giovani dopo la pandemia, un viaggio tanto atteso per due anni, due anni che ci hanno messo tutti a dura prova e che, per quelli che sono rimasti vicini all’oratorio, sono stati di fatto due anni di servizio. Così il viaggio di quest’anno ha preso una piega un po’ diversa, è stato un viaggio all’insegna del ricordo e della riflessione, un viaggio in cui abbiamo scoperto moltissime cose su un paese e un popolo che a noi erano quasi sconosciuti, un viaggio che ha scardinato molte delle nostre certezze e che forse ci ha lasciato con più dubbi di prima, ma da cui abbiamo imparato che la realtà ha più sfaccettature di quante ne immaginavamo”.

I giovani di Scanzo durante l’anno vivono degli incontri di formazione organizzati da don Sergio Armentini con alcuni adulti dell’oratorio.

“Sono un modo per riflettere sulle tematiche più svariate, da come essere dei buoni educatori per i ragazzi più giovani, a come essere delle buone persone per noi stessi e gli altri, a come navigare questo mondo tanto grande che spesso non sembra avere spazio per noi nella misura in cui vorremmo, e in qualche modo questi incontri diventano una preparazione al fatidico viaggio giovani – prosegue Rebecca -. Così ci siamo preparati, tra CRE e esami ci siamo documentati sulla storia, la politica, il cibo tipico e infine il 27 luglio siamo partiti, con tanto entusiasmo e due mini van che per nove giorni sono diventati la nostra casa”.

La prima tappa è stata a Zagabria, scelta per spezzare in due il viaggio dell’andata, che ha permesso di visitare questa recentissima capitale. 

“Il giorno dopo ci siamo rimessi in viaggio e la seconda tappa è stata Jasenovac, dove abbiamo visitato il più grande campo di concentramento ustascia, operante dal 1941 al 1945, in cui hanno trovato la morte circa 50.000 serbi, al tempo ritenuti nemici dello stato, e in cui sorge uno splendido monumento a forma di fiore in onore di queste vittime, simbolo di una speranza che cresce anche dove sembra non possa sopravvivere. Dopodiché abbiamo proseguito il nostro viaggio e la sera siamo finalmente arrivati a Sarajevo, la nostra meta principale, dove abbiamo cenato e fatto una veloce passeggiata notturna per poi dedicarci a grandi partite di Lupus in Fabula, che avrebbero segnato tutto il nostro viaggio. Il terzo giorno è iniziato il nostro percorso a Sarajevo cominciando con un tour della Memoria tenuto dal servizio civilista italiano in Bosnia, Morgan, che ci ha raccontato la tragica storia della guerra in Jugoslavia e del famoso assedio di Sarajevo, e nel pomeriggio abbiamo incontrato Amir, un ex detenuto dei campi di concentramento durante la guerra, che ci ha parlato della sua esperienza nel campo e di come, dopo anni di silenzio, abbia scelto di parlare e di raccontare insieme ad altri testimoni, la sua storia. Il quarto giorno abbiamo partecipato a un tour inter-religioso nella parte ottomana di Sarajevo, abbiamo visitato una moschea, una chiesa protestante e una chiesa cattolica, ammirando non solo l’architettura e la storia di ogni edificio, ma anche ogni differenza e somiglianza tra queste religioni che sembrano così lontane le une dalle altre, ma che forse sono più vicine di quanto appaia; il pomeriggio invece ci siamo recati a Kakanj, un paese qualche chilometro fuori da Sarajevo, spostato verso le montagne, dove è in corso un progetto dell’ONG Alternativa che prevede una collaborazione tra Kakanj e Bergamo e che si occupa di accogliere e di offrire una sistemazione ad una famiglia di migranti per un anno. Il loro progetto però si è rivelato più difficoltoso del previsto, perché nonostante si offra loro una casa, un’istruzione per i figli e un lavoro per i genitori, sono poche le famiglie che scelgono di restare in Bosnia anche solo per un anno, perché tutti mirano ad arrivare nei paesi più ricchi dell’Europa, dove possono trovare un futuro migliore. Il quinto giorno abbiamo passato l’intera giornata a Kakanj con un gruppo di ragazzi che, oltre a mostrarci luoghi molto importanti per la loro storia, ci hanno coinvolto attivamente, per esempio attraverso la pulizia delle tombe dei partigiani bosniaci, di cui lo Stato ha smesso di occuparsi, oppure mostrandoci concretamente un sito di scavi che sta danneggiando l’acqua potabile che arriva al loro villaggio e da cui solo il governo trae vantaggio; infine ci siamo salutati con un magnifico pranzo a base di pesce e qualche canzone accompagnati dalla chitarra e siamo tornati a Sarajevo dove ci aspettava un concerto del famoso Denis Barta, cantante cieco che ha vinto il Supertalent croato e che cantato con lo stesso Botticelli. Il sesto giorno abbiamo visitato il campo di Usivak, un campo di accoglienza per migranti, dove viene offerto loro un posto dove stare, cibo, cure mediche e molte attività tra cui laboratori pratici e manuali, come un negozio vero e proprio di vestiti cuciti direttamente da loro i cui ricavati vanno al campo, oppure corsi per la lingua o spazi di ritrovo per parlare delle difficoltà, ma anche opzioni per i bambini, in cui possono giocare e imparare; dopo aver visitato il campo e giocato con i bambini, siamo partiti per Mostar, città bellissima che meritava di essere visitata. Il giorno seguente siamo andati alle cascate di Kravice che abbiamo ammirato da lontano e poi abbiamo visitato Medjugorje straripante di turisti, e al nostro ritorno ci aspettava una sorpresa, un nostro amico della Caritas bergamasca ci attendeva per passare la sera con noi, così dopo il Tempo dello Spirito, un momento di riflessione in cui condividiamo i nostri pensieri, ci siamo avventurati nella parte musulmana di Mostar per la cena. La mattina seguente siamo partiti per la nostra ultima tappa in Croazia a Porec, dove ci siamo goduti un po’ del limpido mare croato e il giorno dopo siamo ripartiti alla volta dell’Italia, per tornare nella nostra amata Bergamo”.

Un viaggio che sembrava una vacanza ma si è rivelato invece impegnativo emotivamente. “La Bosnia si è rivelata un paese contradditorio che ti lascia dentro emozioni a loro volta contradditorie, a partire dalla capitale, Sarajevo, una città bellissima in cui i palazzi nuovi e moderni si mischiano a edifici cadenti in cui sono ancora ben visibili i segni dei proiettili, una cosa che mi ha molto colpito di Sarajevo in particolare è che nei parchi ci sono le tombe, perché durante la guerra non avevano più posto per seppellire i loro morti nei cimiteri, così lo facevano nei parchi o nei giardini di casa, e questo mi ha lasciato con degli interrogativi enormi sul legame che oggi i vivi hanno con la morte, i bambini giocano tranquillamente vicino alle lapidi di persone che sono state uccise e mi chiedo se se ne rendano conto. Anche Kakanj mi ha lasciato sorpresa, perché nonostante la povertà e le poche possibilità della gente, tutti sembravano felici e speranzosi e quasi orgogliosi del loro piccolo paese che ai miei occhi sembrava esistere quasi nella miseria, da dove la prendono tutta questa gioia? Perché per noi, che abbiamo così tanto di più, è così difficile essere felici? E dalla parte opposta della medaglia troviamo invece Amir, ex detenuto dei campi di concentramento che non può lasciarsi la storia alle spalle, che ha perso fiducia nel suo governo, che vive nella paura di una possibile replica della storia, e che è pieno di rabbia e di rancore verso quelle persone che gli hanno tolto tutto e che probabilmente non riuscirà mai a perdonare”.

Una terra ricca di contraddizioni. “Ma per quanto sia difficile comprenderla e per quanto tutto sembri gridare al suo opposto, è meravigliosamente umana – prosegue ancora Rebecca -, perché noi siamo fatti così, fatti di antinomie e incongruenze, di sbagli e di marce indietro, ma in ogni difficoltà troviamo sempre la speranza di andare avanti, quindi se c’è una cosa che ho imparato della Bosnia è che è un paese che farà di tutto per andare avanti, e che nonostante molti si siano arresi, e nonostante molti stiano fuggendo da un paese che sembra non promettere più nulla, altrettanti sono ancora qui, fermi nella speranza che un giorno le cose possano andare meglio, fiduciosi in un futuro che ancora non possono vedere”.