Papa Francesco in Kazakhstan: tre giorni di dialogo fra le religioni. Il patriarca Kirill non ci sarà

“Un viaggio tranquillo, senza tanto movimento… “, è stato lo stesso Papa Francesco, a bordo dell’aereo che lo riportava in Vaticano dal Canada lo scorso fine luglio, ad annunciare ai giornalisti del seguito che il suo trentottesimo viaggio apostolico si sarebbe svolto in Kazakhstan dal 13 al 15 settembre.

L’occasione è il VII Congress of Leaders of World and Traditional Religions, presso il Palazzo della Pace e della Riconciliazione, summit interreligioso con i principali leader mondiali, che avrà luogo nella capitale del Kazakhstan, Nur-Sultan. Un viaggio apostolico dalla grande valenza per il Santo Padre, tre giorni all’insegna del dialogo tra le religioni, peccato che il capo della chiesa ortodossa russa Kirill vicino alle posizioni del presidente russo Vladimir Putin, non parteciperà. Inoltre questo è il primo viaggio del Santo Padre al confine con la Russia e la Cina da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, sei mesi fa.

Della trasferta internazionale del Papa nel Paese centro-asiatico di Bergoglio dialoghiamo con Luigi Accattoli, vaticanista, giornalista e scrittore, firma del “Corriere della Sera” e del “Regno”, e moderatore del blog www.luigiaccattoli.it.

Dottor Accattoli, il VII Congress of leaders of World and Traditional Religions, ha tra le sue priorità “l’affermazione della pace, dell’armonia e della tolleranza come principi incrollabili dell’esistenza umana”, oltre a voler affrontare “il tema dell’uso dei sentimenti religiosi delle persone per l’escalation di conflitti e ostilità”. L’evento avrà luogo in un’area geografica a dir poco turbolenta, ci riferiamo alla guerra in Ucraina, occasione preziosa per parlare di pace?

«Ci saranno 108 delegazioni da 50 Paesi, con esponenti dell’Islam del Cristianesimo e dell’Ebraismo, ma anche del Buddismo, del Taoismo, dell’Induismo, dello Zoroastrismo e dello Shintoismo. Dunque un incontro simile a quelli di Assisi e con un’analoga importanza. Nelle precedenti sei edizioni la delegazione della Santa Sede era guidata da un cardinale, questa volta è il Papa stesso a guidarla. L’occasione è propizia, perché Francesco possa proporre di nuovo e sempre il suo appello di pace con riferimento esplicito alla guerra in atto. L’uditorio interreligioso potrebbe riceverne una spinta significativa ad aprire gli occhi sulla realtà della guerra mondiale a pezzi, come la chiama il Papa».

Chi è Kirill, il Patriarca della chiesa russa ortodossa, che ha definito l’Occidente “male assoluto”, il quale per la Commissione Europea sarebbe “responsabile del sostegno o dell’attuazione di azioni o politiche che minano o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, nonché la stabilità e la sicurezza in Ucraina”? 

«In questo momento Kirill è un segno di contraddizione ed è comprensibile che abbia scelto di non essere presente all’evento kazago. Ma noi guardando da lontano dobbiamo conservare un atteggiamento di rispetto verso quest’uomo di Chiesa, che vive un dramma personale altissimo: quella tra russi e ucraini è una guerra tra cristiani, e questo è già un fatto terribile; ma per Kirill il fatto è due volte terribile, perché si tratta di una guerra tra figli della sua chiesa e lui ha scelto di benedire i figli russi ponendosi in frontale contraddizione con quelli ucraini».  

Come sono attualmente i rapporti tra la Chiesa ortodossa e quella di Roma? 

«Kirill nel febbraio del 2016 è stato protagonista di un coraggioso incontro a Cuba con Papa Francesco: primo incontro in tutta la storia delle due Chiese e noi cattolici dobbiamo essergli grati per quell’evento. Molti nella sua Chiesa disapprovarono quell’avvicinamento a Roma. Ma egli mantenne il punto e restò fedele al passo compiuto, tant’è che un nuovo appuntamento con il Papa era già programmato per la primavera scorsa, da tenere a Gerusalemme, non fosse intervenuta la guerra ucraina. La guerra ha congelato un dialogo che era ai primi passi ma che prometteva bene». 

Com’è la situazione politica in Kazakhstan? 

«Per più aspetti precaria e traballante. All’inizio di quest’anno la repressione delle proteste per i prezzi del carburante ha causato la morte di oltre duecento persone. In quella repressione il presidente Tokayev – che ora accoglierà il Papa – potè contare sul diretto aiuto di Putin, che mandò in suo soccorso truppe scelte. Ma il mese seguente Tokajev si è rifiutato di appoggiare l’invasione russa dell’Ucraina. Nel Nord del vasto paese, al confine con la Russia, vive una forte comunità russa e il presidente non vuole incoraggiare la tendenza di Putin a estendere il dominio di Mosca su tutte le popolazioni russofone dell’ex Impero Sovietico». 

 “Un Paese aperto all’incontro e al dialogo”, definì San Giovanni Paolo II il Kazakhstan, visitato dal Papa polacco nel settembre del 2001, nel quale i cattolici sono una piccola minoranza, là dove convivono 130 diverse nazionalità e moltissime religioni. Ricorda lo storico viaggio di Wojtyla avvenuto pochi giorni dopo l’attentato alle Torri gemelle di New York? 

«Ero in quel viaggio come inviato del “Corriere della Sera” e vedo due similitudini tra quella trasferta papale e l’attuale di Francesco: una riguardante la situazione interna al paese ospitante e l’altra la situazione internazionale. “Un Paese aperto all’incontro e al dialogo”, definì Giovanni Paolo II il Kazakhstan e certamente qualcosa di simile potrà affermare Francesco, che ha mostrato coraggio nell’accettare un invito a un incontro interreligioso che è il fiore all’occhiello dell’ufficialità kazaga. Ma è simile anche la situazione di dramma internazionale in cui le due visite papali si sono venute a collocare: confido che Bergoglio saprà cavare dall’attuale congiuntura parole di profezia come allora seppe fare Wojtyla».