Romano, al Macs «Ritrovarsi con l’Arte» riallaccia legami e relazioni

L’arte è un linguaggio universale e può parlare ad ogni singolo individuo, in quanto è veicolo in grado di suscitare emozioni, ricordi e impressioni. Questo è il motore che ha guidato, nel corso degli ultimi mesi, partendo dallo scorso anno, l’iniziativa «Ritrovarsi con l’Arte. Riallacciare legami e relazioni nel mondo della terza età grazie all’arte» ideata dal Macs di Romano e raccontata nel cortile del museo sabato scorso.

«Questo pomeriggio – dice don Tarcisio Tironi, Direttore del M.A.C.S. di Romano –  è la rendicontazione di quest’esperienza che si è fatta avendo partecipato a un bando della Fondazione Bergamasca onlus che, aveva previsto, nel marzo dello scorso anno, di venire in aiuto a delle realtà che potessero attivare percorsi finalizzati a risocializzare, a ritrovare o far ritrovare degli anziani, diceva il bando».

Sulla base delle indicazioni di questo bando, prosegue don Tironi, «con Benedetta abbiamo pensato una proposta» che ha coinvolto l’Associazione Anziani e Pensionati G.B. Rubini di Romano e alcuni ospiti della casa di riposo RSA Fondazione Balicco di Martinengo, «invitandoli, – aggiunge don Tironi – a fare esperienza sia qui, nel Museo di Arte e Cultura Sacra, sia nella RSA di Martinengo, dove l’educatore Alberto Di Monaco ha accettato di essere il punto di riferimento per coordinare attivamente i vari lavori che sono stati fatti».

Riprendere a vivere dopo la pandemia

Durante la giornata, oltre ad alcuni partecipanti presenti al progetto c’erano: Nicoletta, Miriam, Fulvio Carlo che hanno letto le sensazioni e i pensieri dei partecipanti, gli artisti Doriano Scazzosi e Mario Paschetta, l’educatore Alberto Di Monaco della RSA di Martinengo, il contrabbassista Stefano e Benedetta Frosi, segretaria del Macs e referente del progetto.

«Ritrovarsi con l’Arte è stata l’occasione per riprendere a colorare il nostro mondo, anche perché il percorso è partito appena dopo la pandemia», afferma l’educatore Alberto Di Monaco.
All’interno di questo progetto, sono state prese in esame cinque opere presenti nel museo, di cui ogni partecipante, attuando i messaggi dell’opera d’arte esaminata di volta in volta e calandola all’interno del proprio vissuto personale, ha fornito un importante contributo a livello individuale, innescando, nel resto del gruppo, una dinamica di dialogo, di scambio e di riflessioni su un domani.

Il primo dipinto che è stato scelto come introduzione agli incontri «Ritrovarsi con l’Arte» è L’Annunciazione  di Rinaldo Pigola (1995, circa). Si tratta di un bozzetto in carboncino e tempera che serviva per la realizzazione di una vetrata all’interno di una RSA Bergamasca. «I soggetti – racconta l’educatore Di Monaco – sono quelli classici: l’Arcangelo, la Vergine Maria, Dio Padre. Il grande grembo di Maria va a formare, insieme allo Spirito Santo in forma di colomba e Dio Padre che veglia su di lei, una sorta di Trinità. Molto chiara è la contrapposizione tra l’Arcangelo che porta il lieto annuncio e una giovane Maria sconvolta dalla visione da quello che sta per apprendere. I colori dell’opera sono particolarissimi e piuttosto caldi, probabilmente per accentuare ancor di più il bagliore della luce, trattandosi di uno studio per una vetrata».

L’Annunciazione  di Rinaldo Pigola
(1995, circa)

Alla visione di questo quadro, sono emerse varie suggestioni. Caterina, una partecipante, aveva affermato: «A me ricorda la Sacra Famiglia e la colomba annuncia l’arrivo al mondo del Messia. Questo quadro mi trasmette grande sicurezza e i suoi colori mi fanno tornare alla mente i colori della stalla di tanti anni fa».

Prende la parola Serafina che aveva detto: «La colomba apre le ali a croce e la croce è il simbolo della cristianità. Anche se quando guardo la croce, ogni tanto, mi viene in mente il momento in cui è mancato mio marito».

Scoprire nell’arte momenti della propria vita

Altri invece avevano paragonato il dipinto con una propria annunciazione personale: «A me fa tornare alla mente il lieto annuncio della nascita del mio primo nipote», aveva detto Silvano e anche Piera, «l’annunciazione più bella per me è stata quando ho ricevuto la notizia che era andato tutto bene, dopo il parto».

Questa Annunciazione di Pigola è andata ad aggiungersi ad un altro dipinto dal medesimo soggetto custodito al M.A.C.S., ovvero una Annunciazione di autore ignoto di ambito bergamasco, risalente alla prima metà del XVII secolo. In questa versione Maria viene sorpresa dall’Angelo mentre sta leggendo il libro (di preghiera o della Torah) poggiato sul leggio.

I soggetti presenti, ovvero l’Arcangelo Gabriele con il giglio (simbolo mariano per eccellenza) da una parte, lo Spirito Santo in alto al centro sotto forma di colomba e il resto degli angeli a delimitare la scena, sottolineano che quanto avviene in Maria è opera divina. Il pregevole dipinto è stato donato alla chiesa di Romano nell’anno 1950 dai signori Mario Vavassori e Bortolo Cislacchi, i quali, a loro volta, lo acquistarono da un antiquariato romanese in cambio di 28 quintali di legna da ardere.

Un cielo nero come i momenti di difficoltà

Anche qui i partecipanti avevano espresso delle sensazioni positive. «Un gran bel quadro, questa luce attira il mio sguardo, apre il cuore e mi regala la sensazione di beatitudine», aveva esordito Silvano. Lo aveva seguito Teresa: «È un quadro che trasmette tanta devozione e annuncia felicità, la felicità che si prova quando si diventa mamma. È un mistero».  Invece, Roberto aveva sottolineato: «C’è una parte misteriosa vicina alla Madonna e una più luminosa dettata dall’Angelo. Luce e mistero. Due volti della stessa medaglia».

Il terzo dipinto che è stato analizzato è stato Il Padre misericordioso. Il ritorno del Figlio a cura di Mario Paschetta (2016). Quest’opera è tra le più suggestive della collezione perché incarna due dimensioni: una bidimensionale, classica, e una tridimensionale in quanto restituisce anche un’idea di profondità, soprattutto nella parte del sottosuolo dove sembra di poter palpare la terra e le radici che “fuoriescono” dal quadro. «L’autore dell’opera – sottolinea Di Monaco – è infatti un pittore poli materico di gusto plastico. La composizione termina con un cielo scurissimo, nero e con una linea di demarcazione all’orizzonte costellata di verde. Vediamo un viandante in cammino su un suolo arido, mentre avanza solitario verso un’oasi ubicata in lontananza. Sotto di lui percepiamo la porosità della terra, fatta di radici e alberi secchi, che l’autore ha rappresentato impiegando materiali non convenzionali, come brandelli di camicia di jeans, per conferire appunto una sensazione materica all’insieme».

Il Padre misericordioso. Il ritorno del Figlio a cura
di Mario Paschetta (2016)

Tra i partecipanti, Cesira aveva detto: «Ciò che mi angoscia è il nero del cielo, che mi provoca una sensazione di asfissia, esattamente come l’infinito del mare; il cielo nero è praticamente la situazione che stiamo vivendo noi da due anni a questa parte». Invece Elsa aveva dato un’interpretazione allegorica: «È una specie di purgatorio col viandante che si incammina verso il Paradiso»; o di Rino «Sotto terra sembra che la vita sia stata soffocata e il viandante, al contrario, va alla ricerca della vita».

Altri ancora, si sono focalizzati sul messaggio intrinseco del dipinto: a Silvano aveva ricordato il viaggio in solitario a Rovereto; a Laura l’importanza di camminare da soli; a Cesare, il quadro aveva riportato alla mente che una sera temeva di essere aggredito ma scoprì che era uno scherzo di cattivo gusto.

Immagini di un passato che ritorna

Il quarto dipinto protagonista è stato La fuga in Egitto di anonimo lombardo-veneto risalente alla seconda metà del Settecento. Spiega Di Monaco che: «È un olio su tela che, nello stile, l’autore si rifà alle tele di Francesco Capella, pur con una chiara impostazione neoclassica. Rispetto alle tradizionali raffigurazioni della Fuga, in questo dipinto trovano posto elementi tratti dai Vangeli Apocrifi, come l’attraversamento del Nilo a bordo di una barca con il rematore al servizio della Sacra Famiglia e l’Angelo che trattiene l’imbarcazione alla riva per farvi salire a bordo i fuggitivi. Il quadro è stato scelto essenzialmente per riattivare le risorse personali e le riflessioni partendo da un punto: sentirsi protetti e rispondere alla domanda qual è per me il senso dell’abbraccio?».

La fuga in Egitto di
anonimo lombardo-veneto (XVIII secolo)

Serafina, ispirata dalla presentazione del dipinto, ha detto: «Parlando di viaggio non posso non raccontarvi quello che mia mamma raccontava a me. Quando Romano era circondata dall’acqua, alle nove e trenta della sera suonava sempre una campana che permetteva ai viandanti di orientarsi. Infatti era facile perdersi vicino alle rive del fiume Serio. La campana è un importante lascito di quel passato».  Invece, per Laura, dal quadro, era emerso il tormento della fuga, ma anche la bellezza della protezione materna, il bambino in braccio alla mamma si calma. Ester aveva rammentato che non vedeva l’ora di tornare a casa dalla colonia estiva perché quello era l’unico momento in cui sua mamma l’abbracciava.

Il calore di un abbraccio collettivo

Ma l’abbraccio può anche essere inteso in senso collettivo, «come quando la sera ci si ritrovava rigorosamente tutti insieme a dire il rosario nella stalla»  aveva ricordato Caterina. E Gina aveva aggiunto: «Un tempo ci si aiutava di più. Una volta sperimentavamo l’abbraccio dei vicini».

Un altro aspetto di questo quadro è la fuga di uomini da luoghi di guerra, morte, oppressione, come aveva affermato Natalina: « Non possiamo dimenticarci dei barconi con i quali oggi gli immigrati viaggiano,  la fuga è una cosa brutta».

L’ultimo quadro analizzato è stato Si alzò e tornò da suo padre di Doriano Scazzosi (2016). Questo dipinto è una tecnica mista su carta e prende il nome da un versetto del Vangelo secondo Luca: Si alzò e tornò da suo padre (Luca 15, 20). «Il soggetto della composizione – spiega Di Monaco – sono quattro mani che si stringono e che, insieme con il titolo, evocano molteplici suggestioni. Secondo la visione dell’artista, l’incontro delle mani, da una parte simboleggia il ritorno del figlio e dall’altra l’accoglienza del Padre. Il tema è infatti quello della Parabola del figliol prodigo. “Affidarsi” ed “Accogliere” sono state le due parole chiave su cui i partecipanti sono stati invitati a riflettere».

Si alzò e tornò da suo padre
di Doriano Scazzosi (2016)

I partecipanti sono stati un fiume in piena. Silvano aveva raccontato: «Sembrano mani che hanno bisogno e che chiedono affetto. Per anni ho fatto il volontariato in Croce Rossa. Ho prestato servizio, soccorso, ho raccolto cocci di vite spezzate. Ho dato sollievo, ho regalato parte di me». Cesare invece aveva ricordato:«la stretta di mano è simbolo di pace, di accordo, di saluto. Una volta gli affari si concludevano con una stretta di mano». Per Giovanni erano: «mani che raccolgono, sulle quali ci sono i segni di un passato di duro lavoro. Il mio passato è un passato da contadino».

Mani per sollevare, sostenere e accompagnare

Anche Alberto Di Monaco è intervenuto, dicendo: «Mi sono venute in mente altre riflessioni sulle mani; ho 44 anni e sono in una generazione di mezzo e penso che le mani possano essere usate per sollevare, per accompagnare e, facendoci un po’ anche all’Eneide, per sorreggere i nostri genitori e per tenere per mano i nostri figli, una sfida e una visione di speranza per il futuro».

Come ultima suggestione, precisa Di Monaco, «ai partecipanti è stato chiesto cosa potessero raccontare ai posteri sulla situazione che stiamo vivendo, come se dovessero idealmente lanciare un messaggio in bottiglia, nel mare del tempo e dell’esistenza; un lascito ideale degli incontri di “Ritrovarsi con l’Arte”, il cui invito ovviamente è a non fermarsi qui».

E poi aggiunge: «Avete sentito nominare, all’interno delle narrazioni e delle letture dei nostri volontari, alcuni nomi dei partecipanti a questo progetto che erano degli ospiti della RSA di Martinengo: Maddalena, Maria, Giuseppe, Roberto e Cesare purtroppo non sono più fra noi e questo è il segno del tempo e quindi penso che sia opportuno fare una bella dedica anche a queste persone; ma dico anche che, mercoledì, avremo qui altri ospiti sempre della Fondazione Balicco di Martinengo e della casa di riposo e questo per dire che il viaggio continua sempre».