Quotidianità del prete: partire da bisogni concreti e scovarvi il bisogno di senso e verità

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La quotidianità del prete: un tema stimolante quello proposto ai preti bergamaschi mercoledì 14 settembre, all’Assemblea del Clero, da monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara: il tempo del ministero ha una struttura settimanale, ha nella domenica il suo cuore festivo e pulsante, che scandisce il tempo feriale e il ritmo del suo tempo interiore. Da questa impostazione di fondo, tre lancette segnano lo scorrere del quotidiano: le passioni del prete, cioè ciò che ha a che fare con il suo ministero; le sue azioni, simboleggiate dal suo essere per strada e per le strade della sua comunità; le sue condizioni di vita, che hanno nella casa che abita la rappresentazione più efficace.

A livello di ministero, il cambiamento più significativo da riconoscere è che il contesto sociale non chiede più ai preti quella funzione loro specifica in cui essi si identificano: spesso vengono cercati per bisogni che confinano con la fede, ma che non la includono. E questo fa soffrire e fa patire uno strappo interiore, a livello di identità: sono prete per il Vangelo, ma vengo cercato per tutt’altro. Questa cosa che fa patire è però ciò che può far appassionare (pathos è la radice greca sia di passione come sofferenza che di passione come dedizione piena): partire dai bisogni concreti e scovarvi il bisogno di senso e di verità dentro cui risplende una pagliuzza dimenticata di vangelo. Questo è ciò a cui i preti sono chiamati ad appassionarsi nuovamente: alla vita della gente, come terreno imperfetto e spurio dentro cui prende forma la ricerca del Signore, solo se accompagnata e non scartata come insufficiente.

A livello di strada che percorre, il prete mette in viaggio non solo se stesso, ma la propria interiorità e le proprie azioni. È la strada che entra nella vita del prete e che si prende spazio, con il suo portato di vita vera che chiede di essere preso in carico. Cinque sono le azioni attraverso cui il prete si trova ferialmente rimesso per via e interrogato: la preparazione dell’omelia, l’ascolto delle persone, la visita alle famiglie, l’amministrazione dei beni, la cura dei poveri. È la strada con i suoi incontri che impolvera la casa e la vita dei preti. E li tiene tali. Un affondo è la questione sempre più annosa legata all’aspetto amministrativo: la pesantezza diffusa legata a questa mansione causa spesso sofferenze e fatiche che paiono trovare scarsa risposta. Come immaginare un cambio di passo dal basso, per non rimanere impigliati in un compito necessario come quello dell’amministrazione del patrimonio, ma che nelle modalità rischia di trasformarsi in un lavoro a tempo pieno e in un salasso emotivo?

La casa del prete è il luogo dove abita, dove scorre la sua vita ordinata e ordinaria: è un’immagine veloce del suo modo di stare, della sua presenza in mezzo alla gente, perché non sia né in ritirata, né militante al punto da non avere l’equilibrio e la grazia delle cose umane e vivibili. Una casa sobria, che non sia porto di mare né tana dormitorio; una casa intima, in cui esiste un equilibrio tra i luoghi simbolici della cucina, dello studio e della camera (mangiare, formarsi e dormire sono un equilibrio fondamentale); una casa accogliente per tutti, dove sentirsi ospitati senza che qualcuno se ne impossessi e la faccia da padrone.