Dalla Bolivia a Bergamo. Il vescovo: “La missione ci dona apertura contro l’autoreferenzialità”

Il viaggio del vescovo Francesco Beschi in Bolivia, nelle varie missioni bergamasche, si è concluso, all’inizio di luglio, con due giorni di riflessioni fra i missionari stessi e con i giovani che l’hanno accompagnato, oltre che con l’arcivescovo Sergio Gualberti, che ha tenuto una relazione sulla storia dei 60 anni di questa missione. Continua ad essere interessante parlarne adesso – quando sta per iniziare l’ottobre missionario – per le tracce e la riflessione che sono rimasti a disposizione di tutti.

Le domande sul presente e sul futuro della missione bergamasca in Bolivia sono state poste da don Fabio Calvi e don Gian Luca Mascheroni, “tra i più giovani rappresentanti del clero in Bolivia”, come ha scritto, su L’Eco di Bergamo del 4 luglio, don Mattia Magoni, responsabile dell’ufficio diocesano comunicazioni sociali della diocesi, che pure accompagnava il vescovo nel viaggio, insieme con il direttore del Centro missionario diocesano, don Massimo Rizzi.

Le domande non hanno riguardato solamente la missione in Bolivia, ma direttamente Bergamo; anzi ha scritto don Mattia: «La missione in Bolivia rimane profetica se è in grado di mettere in discussione le scelte personali e comunitarie delle due Chiese, sia in Bolivia che a Bergamo aprendole maggiormente ai poveri» innanzitutto. La domanda di fondo che è stata posta: la missione in Bolivia non è solo «il gesto generoso della diocesi di Bergamo nei confronti di una più povera, ma è uno scambio alla pari»?

La missione in Bolivia, infatti, può fare da specchio alla Chiesa di Bergamo, mostrando analogie e differenze.

La missione in Bolivia, un esercizio di profezia

«La missione in Bolivia ha regalato alla Chiesa di Bergamo lo spazio per esercitarsi nella profezia», per «essere fedeli ancora oggi all’opzione preferenziale per i poveri e al Vangelo come forza liberante».

Quanto questa profezia guida la missione della Chiesa bergamasca in Bolivia e a Bergamo, qui e là, là e qui? Quanto la missione in Bolivia e a Bergamo è «profetica nel segno delle beatitudini del Regno» hanno chiesto espressamente don Fabio e don Gian Luca; nella costruzione del Regno di Dio, prima che della Chiesa. 

Quanto le due esperienze aiutano «i cristiani delle due Chiese» a «mettere in discussione le proprie scelte personali e comunitarie”? Esiste uno scambio, un “scambio alla pari” fra le due esperienze?

Don Mattia ha dettagliato le domande sottese alla domanda generale.

La missione in Bolivia è guidata dallo «spirito di profezia se riesce a suscitare nelle persone il desiderio di maturare una coscienza critica non solo il bisogno religioso di ricevere i sacramenti per sentirsi a posto nella comunità» ovvero, con le parole di Calvi-Mascheroni, se «forma una coscienza sociale ispirata ai valori della giustizia, rispetto della dignità umana, senza discriminazioni», «esprimere il proprio pensiero liberamente, favorendo processi autentici di democrazia».

La Chiesa contribuisce a creare coscienza critica?

Ma le domande riguardano anche Bergamo: la Chiesa si accontenta di rappresentare una religione civile o contribuisce a formare una coscienza critica e sociale, a «incidere su una cultura»? a formare una mentalità di fede, come si proponeva il Rinnovamento della catechesi in Italia dal 1970.

In Bolivia si sono solamente «medicate le emergenze»? continua a riportare don Mattia: «il fascino della straordinaria rete di servizi che si è creata in terra boliviana, quali meccanismi assistenziali ha legato all’evangelizzazione in modo quasi irrinunciabile?». E Calvi-Mascheroni: si è riusciti a «rompere i meccanismi di assistenzialismo che Chiesa e governo hanno creato»?

E come non pensare a legami analoghi qui?

Ma incalza don Mattia, nel relazionare sulla Bolivia, con una riflessione in cui può specchiarsi anche Bergamo: «Provare a mettersi insieme di fronte a queste questioni di senso, permette di non smarrire alcuni sogni che hanno animato la missione: il sogno che si continui a farsi carico integralmente della promozione umana e della formazione delle persone affinché il cristianesimo non venga scambiato per una corsia preferenziale per poter accedere ad alcuni servizi o per una religiosità quasi magica ridotta ad alcune parole e ad alcuni riti». 

Nuove esperienze pastorali attente alla formazione

E son Fabio e don Gian Luca, per qui e là o là e qui: «Sogniamo collaborare reciprocamente con clero e laici per maturare nuove esperienze pastorali che possano superare una religiosità legata alla sacramentalizzazione e alle diverse forme di devozione (in passato per esempio erano le comunità di base), ponendo attenzione alla formazione degli adulti e degli agenti pastorali».

L’articolo-documento pubblicato da don Mattia Magoni su L’Eco di Bergamo del 4 agosto si propone per una revisione delle scelte comunitarie delle due Chiese e per sviluppare uno scambio permanente di pensieri ed esperienze. Si propone ai consigli pastorali, non solo ai gruppi missionari, alle CET della diocesi, agli incontri sinodali, per uno scambio qui e con chi sta là, direttamente o attraverso il Centro missionario diocesano.

Don Fabio e don Gian Luca: «Cresca sempre più la consapevolezza, in noi fidei donum e nella Chiesa di Bergamo, che in questa esperienza di missionarietà non solo diamo e siamo un’espressione della Chiesa di Bergamo, ma riceviamo e dobbiamo far sì che questi doni siano condivisi nella nostra diocesi».

“La missione ci ha regalato apertura contro l’autoreferenzialità”

Il viaggio in Bolivia, il sinodo, non è finito.

Lo ha sottolineato il vescovo Francesco nella sua intervista finale del 5 agosto: «C’è un aspetto che appartiene alla missione in generale: è la capacità di aprire. Questo è il primo dono della missione: anche a Bergamo, anche nelle nostre belle parrocchie e nelle nostre tradizioni si possono manifestare le tentazioni di una chiusura. La missione ci ha regalato apertura contro l’autoreferenzialità. Bergamo è nel mondo sicuramente attraverso l’imprenditorialità e i suoi artigiani, ma non di meno è nel mondo grazie ai suoi missionari. Da loro ha ricevuto e riceve costantemente un volto di generosità, apertura e dedizione»; «lo stile bergamasco della missione non è visibile solo nelle opere, ma nella capacità di vivere la vita dei poveri insieme a loro»; «ultimo carattere, l’arte di condividere alla pari: gli altri non sono destinatari, ma fratelli, sorelle, amici».