Papa Francesco nel Bahrein: “Dialogo senza pregiudizi tra Oriente e Occidente”

Papa Francesco compirà il 39esimo viaggio apostolico dal 3 al 6 novembre nel Regno del Bahrein, piccolo stato situato su un arcipelago di 33 isole vicino alle coste occidentali del Golfo Persico, capitale la moderna città di Manama. Primo Pontefice a visitare questo Paese del Golfo Persico Papa Francesco, si recherà alle ore 10 del 4 novembre presso la piazza Al-Fida di Awali per la conclusione del “Bahrein Forum for Dialogue”, dedicato alla coesistenza umana tra Oriente e Occidente. 

Se il tema del viaggio è “Pace in terra agli uomini di buona volontà”, passo tratto dal Vangelo di Luca, il motto si ispira alle parole cantate dagli angeli nel racconto della nascita del Signore del Vangelo di Luca. Il logo è formato dalle bandiere del Regno del Bahrein e della Santa Sede, rappresentate in forma stilizzata, come due mani aperte verso Dio, a simboleggiare anche l’impegno dei popoli e delle nazioni a incontrarsi in spirito di apertura, senza pregiudizi, come “fratelli e sorelle”. Il frutto dell’incontro fraterno è il dono della pace, simboleggiato dal ramo d’ulivo raffigurato al centro delle “due mani”. La scritta “Papa Francesco” è di colore blu per indicare che il Viaggio Apostolico è affidato all’intercessione della Beata Vergine Maria, venerata con il titolo di Nostra Signora d’Arabia, patrona del Golfo Persico, in particolare nell’omonima cattedrale. 

Della missione di Bergoglio nel Golfo Persico dialoghiamo con il giornalista Gianni Valente, da poco direttore dell’Agenzia missionaria Fides.

  • Quali saranno i momenti più importanti e significativi del breve viaggio pastorale di Bergoglio in Bahrein? 

«Gli appuntamenti più importanti del viaggio papale si aggregano lungo tre “linee direttive”. Ci sono gli incontri con le autorità locali del Regno, e la partecipazione del Papa a iniziative promosse dal governo locale di concerto con organizzazioni islamiche. Tra questi appuntamenti, il più importante è rappresentato dalla partecipazione del vescovo di Roma come ospite d’onore alla chiusura del “Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence”, la mattina di venerdì 4 novembre. Si tratta di un incontro organizzato da enti come il “Consiglio internazionale dei Saggi musulmani” (Muslim council of Elders), dal Consiglio supremo per gli Affari islamici e dal King Hamad Global Center for Peaceful Coexistence. La seconda direttrice è quella ecumenica, che avrà il suo momento più rilevante nell’incontro di preghiera per la pace coi cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali convocato la sera del 4 novembre presso la Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia. La terza direttrice è rappresentata dalla serie degli incontri e delle celebrazioni con la variegata comunità cattolica locale, che avrà il suo culmine nella messa celebrata sabato 5 novembre ad Awali, presso il Bahrain National Stadium, a cui prenderanno parte almeno 20mila cattolici provenienti dal Bahrein ma anche da altri Paesi della Penisola arabica, compresa l’Arabia Saudita e il Qatar». 

  • “Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence”, cioè forum sul dialogo dedicato alla coesistenza umana tra Oriente e Occidente. Il richiamo immediato va al “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale” firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 dal Papa e dal grande imam di al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib? 

«Sì. Le autorità del Paese hanno fatto esplicito riferimento al documento di Abu Dhabi per indicare la matrice ispirativa e la cornice di riferimento in cui si inscrive l’invito rivolto al Papa a visitare il Regno del Bahrein. Fuori da ogni retorica, è evidente che Papa Francesco col Documento di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana ha trovato un registro e una piattaforma preziosa per rilanciare il linguaggio della reciproca comprensione tra la Chiesa cattolica, apparati e leader del mondo arabo-islamico. Trovo interessante e significativo che a insistere nell’invitare il Papa nei propri Paesi siano sovrani e capi politici musulmani, che esercitano il loro potere con modalità e formule molto lontane dai modelli occidentali di gestione del potere».

  • Il tema del viaggio è “Pace in terra agli uomini di buona volontà”, tema attualissimo in una fase storica in cui molti nel mondo sperimentano varie forme di conflitto, ostilità e guerre?

«Certo, e non si tratta di una postura idealistica o di una fuga dalla realtà verso astratti spiritualismi. Veniamo da anni in cui la patologia jihadista ha usato i richiami al Corano e all’islam per seminare morte e devastazione in tutto il mondo, dando pretesto a molti circoli occidentali di identificare il “nemico” nell’islam in quanto tale, bollato come fede intrinsecamente violenta. Adesso, nel cuore dell’Europa, una guerra sanguinaria e assurda mette uno contro l’altro popoli e nazioni che attingono la propria identità spirituale dalla stessa tradizione cristiana ortodossa. Indicando la strada della Fratellanza, Papa Francesco non teorizza nessuna “superiorità etica” degli uomini religiosi rispetto agli altri. Lo scorso 14 settembre, nel suo intervento al VII Congresso dei Capi delle religioni mondiali e tradizionali svoltosi nella Capitale del Kazakhistan, il Papa ha ripetuto che le diverse tradizioni religiose possono dare un contributo alla pace solo se e quando ricordano e riconoscono che “non siamo onnipotenti”, e che rimaniamo creature limitate davanti “al mistero infinito che ci sovrasta e ci attira” uomini e donne in cammino “verso la medesima meta celeste”, uniti in un vincolo di reale fratellanza “in quanto figli e figlie dello stesso cielo”. Solo abbracciando la propria condizione di creature limitate le diverse comunità di credenti possono offrire insieme un contributo prezioso e unico a beneficio dell’intera famiglia umana».

  • È vero che la prima pietra della Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia ad Awali inaugurata nel dicembre 2021, era stata donata da Papa Francesco? 

«In effetti, la prima pietra della Cattedrale è un dono di Papa Francesco, e proviene dalla Basilica di San Pietro. Si tratta di un mattone già posto nella Porta Santa della basilica di San Pietro alla fine dell’Anno Santo straordinario della Redenzione del 1983, e recuperato poi in occasione dell’apertura della stessa porta da Giovanni Paolo II all’inizio del Giubileo del 2000. La storia della costruzione di quella basilica rappresenta essa stessa un emblema delle dinamiche e delle condizioni in cui fiorisce la vita ecclesiale di tante comunità cristiane presenti nella Penisola arabica. Nel febbraio del 2013 fu il rimpianto Arcivescovo comboniano Camillo Ballin, allora Vicario apostolico di Arabia del nord, a dare la notizia che il Re del Bahrain aveva donato al Vicariato apostolico un terreno di 9mila metri quadrati per la cotruzione di una chiesa. Ballin notò subito che il documento della donazione regale portava la data dell’11 febbraio, giorno in cui la Chiesa cattolica celebra la festa della Beata Vergine Maria di Lourdes. “Le nostre preghiere – disse allora l’Arcivescovo  – sono state esaudite. Nostra Signora di Arabia è proprio capace di fare miracoli”. Il 19 maggio 2014, durante la visita resa in Vaticano a Papa Francesco, fu lo stesso Re musulmano Hamad bin Isa a presentare al Pontefice un modello plastico della Cattedrale in costruzione».

  • In questo piccolo Stato arabo, emirato diventato regno nel 2002 organizzato come monarchia costituzionale guidata dalla famiglia Al Khalifa, quanti sono tra la popolazione i cristiani? 

«In Bahrain vivono circa 80 mila cattolici, in gran parte lavoratori provenienti dall’Asia: filippini, indiani, libanesi, pakistani, srilankesi… È convinzione diffusa che i Paesi della penisola arabica siano “vuoti” di cristiani. Invece, nel solo Vicariato apostolico dell’Arabia settentrionale, che comprende oltre al Bahrain anche Arabia Saudita, Qatar e Kuwait, vivono più di due milioni e mezzo di cattolici, su una popolazione complessiva di 43 milioni di abitanti. Si tratta di un Chiesa che fiorisce non per “programmazione missionaria” o per strategie organizzate. Semplicemente, i migranti battezzati che si trasferiscono in quei Paesi seguendo la concretissima e umanissima urgenza di trovare lavoro e guadagnarsi da vivere, portano con sé la loro fede, la loro speranza e la loro carità. In questo modo, con discrezione, e adattandosi alla situazione locale, confessano il nome di Cristo in contesti plasmati dall’islam. Conviene ricordare che in Arabia Saudita, il Paese di Mecca e Medina, città sante dell’islam, tutto il territorio nazionale è considerato dai Sauditi “terra sacra” islamica, e per questo in quel Paese permane ancora il divieto di costruire chiese e luoghi di culto non islamici». 

  • Nel Paese dove vige la sharia, la legge islamica e che invita il pontefice ed esalta il dialogo vi sono anche elementi di preoccupazione e violazioni dei diritti. Ce ne vuole parlare? 

«Sì, sono stati rilanciati da media occidentali gli appelli di gruppi di opposizione e anche di intellettuali e studiosi sciiti in prigione, che chiedono al Papa di intervenire sul terreno politico e mettere sotto pressione le autorità del Regno accusate da loro di pratiche repressive. Non so quanto effetto possano avere tali appelli. La Chiesa non è Amnesty International, la Santa Sede ha le sue modalità proprie di trattare con le legittime autorità politiche, e i Papi possono mettere una buona parola e dare consigli ai capi politici, anche a quelli dei sistemi oligarchici e autoritari, ma non hanno né la forza né tantomeno la missione di cambiare o addirittura abbattere i regimi».