Leggende bergamasche: Pacì Paciana, il brigante difensore dei deboli

Sul personaggio di Vincenzo Pacchiana, detto Pacì Paciana (noto anche come “ol padrù dela Al Brembana”) sono fiorite le leggende che lo hanno indicato come un brigante buono il quale, ingiustamente accusato di furto e fuggito per sottrarsi alla cattura, visse a lungo alla macchia, diventando, nella fantasia popolare, il difensore dei deboli contro le soperchierie dei potenti.

In realtà la sua vicenda storica è assai meno leggendaria e può essere accomunata a quella dei tanti briganti che a quei tempi infestavano la Valle Brembana. A 11 anni Vincenzo perse il padre per morte violenta e in seguito, seguendo l’esempio del fratello Angelo, con il quale aveva ereditato l’osteria situata al Ponte Vecchio di Zogno, si mise ben presto sulla cattiva strada e sembra che con l’avvento del governo francese, fosse passato al servizio di Venezia, ruolo che gli garantiva la protezione dei tanti che avversavano il dominio napoleonico.

La prima leggenda che lo riguarda è relativa alle circostanze che lo indussero, suo malgrado, a diventare un bandito. 

Da giovane gestiva l’osteria di famiglia e una sera si presentarono nel locale due viaggiatori i quali chiesero di cenare e pernottare.

Prima di ritirarsi, pagarono il conto e comunicarono all’oste l’intenzione di alzarsi presto all’indomani, tuttavia si mostrarono preoccupati circa l’orario della sveglia, non avendo l’orologio.

Il Pacì, che era persona di buon cuore, si offrì di svegliarli all’ora stabilita e, per giunta, diede loro in prestito l’orologio del suo povero padre.

La mattina seguente Vincenzo bussò alla porta della loro stanza per svegliarli, ma si accorse che si erano già alzati e che se ne stavano andando alla chetichella. 

Entra nella stanza, guarda dappertutto se hanno lasciato l’orologio, ma non lo trova, allora pensa che l’abbiano rubato.

Esce di corsa dall’osteria e li raggiunge proprio mentre stanno attraversando il ponte sul Brembo. Li ferma e chiede la restituzione dell’orologio, ma loro cascano dalle nuvole, sostenendo che non sanno di quale orologio stia parlando.

A quel punto il Pacì si arrabbia e ne prende uno per il collo, mentre l’altro se la dà a gambe.

Ma non c’è verso di fargli restituire il mal tolto. Allora, più infuriato che mai, abbranca il malcapitato con tutta la sua forza, lo fa sporgere oltre il parapetto del ponte e lo tiene a penzolare nel vuoto, minacciando di farlo precipitare nel fiume se non confessa la sua colpa.

Finalmente il ladro si convince a restituire l’orologio, scampando così da un pericoloso volo nel Brembo, ma ricevendo in cambio un sonoro ceffone e una pedata.

Ma non finisce lì: i due malandrini vanno dai gendarmi e raccontano addirittura di essere stati derubati dell’orologio proprio dall’oste, entrato di soppiatto nella loro stanza mentre dormivano.

I gendarmi credono alle dichiarazioni dei due ed arrestano il Pacchiana, che invano tenta di difendersi sostenendo la sua versione dei fatti.

Messo in prigione, Pacì Paciana viene riconosciuto colpevole grazie alla testimonianza dei gendarmi e condannato ad una pena detentiva. 

Riacquistata la libertà, invece di riprendere la sua vita normale, giura a se stesso di farsi ripagare con gli interessi di questa ingiustizia: inizia veramente a rubare, ma solo alle persone ricche e non si lascia più catturare.

Ormai è diventato un bandito.

Disegno di Jacopo Ghisalberti

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