Una comunità che nasca … dal saluto

Sto andando a visitare una persona in paese. È uno dei momenti più belli: passare a fare quattro chiacchiere con un parrocchiano e ascoltarlo, vedere se sta bene, se desidera confessarsi. A pochi metri da me, una nonna si trova con la figlia e il nipotino. La figlia di questa nonna ha studiato scienze della formazione ed è docente. Passa una persona, che evidentemente sia madre che figlia conoscono, mentre il nipotino dorme beatamente nel passeggino. Questa signora che passa guarda nonna e mamma del bambino e, sorridendo, saluta: “Buongiorno!”. La nonna risponde, ricambiando anche il sorriso: “Buongiorno!”. La figlia, col capo chino, tace. La madre, ad alta voce, dice alla figlia: “Saluta!”. E la figlia continua a tacere, come nulla fosse.

Proseguo verso la mia meta. Non ho idea se vi sia stato un dialogo tra madre e figlia su quanto appena avvenuto, se la figlia abbia risposto al richiamo educativo della madre o tutto si sia concluso in quell’istante. Rifletto. La parola “comunità” continua a tornare con frequenza nei nostri discorsi. È un termine che fa parte del linguaggio ecclesiale da tanto tempo, è presente in quello civile e appartiene perfino a quello virtuale, tant’è che “community” è un termine famigliare per chi naviga sul web e frequenta il mondo dei social networks. Forse proprio l’uso molteplice di questo vocabolo ci ha reso così difficile capire e dire cosa sia davvero “comunità”. Ho percezione che anche a livello ecclesiale ciò che un tempo era immediatamente chiaro alla sola evocazione di questo termine, ora apra a una molteplicità di interpretazioni tale che risulta necessario, quando si parla di “comunità”, esplicitare quale sia la propria. 

Tuttavia, qualunque interpretazione diamo, credo possiamo convergere su un passaggio importante: non esiste comunità se manca .. il saluto! 

Se una madre e nonna deve richiamare la figlia, trentenne, genitore, laureata in discipline pedagogiche e docente (che quindi dovrebbe porsi come figura educativa per gli alunni…), perché la figlia non saluta una persona che conosce, non credo ci siano possibilità di costruire una “comunità”.

Non lo so, forse sento troppo fortemente questa questione. Certamente l’educazione che ciascuno di noi riceve da bambino è determinante: nel mio caso, i miei genitori mi hanno sempre insegnato a salutare, perché il saluto riconosce la dignità dell’altra persona, che non dipende della mia stima nei suoi confronti né da eventuali dissidi che possiamo aver avuto. La persona che si conosce si saluta e basta: magari ci sarà soltanto il saluto e non una parola di  più, ma il saluto deve esserci. 

Io resto convinto che ogni nostro discorso sulla comunità e sulla necessità di creare o ricreare un senso comunitario, civile o ecclesiale che sia, debba iniziare da qui, da quell’ “abc” della buona educazione senza la quale non si costruisce alcun legame umano serio. 

E allora iniziamo a costruire davvero la comunità umana, iniziando da un semplice “buongiorno!”.